Nelle scuole italiane ci sono quasi 338mila studenti con disabilità, circa il 4 per cento secondo l’ultimo rapporto dell’Istat. Le cifre si riferiscono all’anno scolastico 2022-2023 e registrano una crescita di 21mila persone rispetto al 2021-2022. Sono aumentati anche i professori di sostegno (del 10 per cento), tanto che ora il rapporto è di 1,6 studenti per professore, una proporzione migliore rispetto a quella prevista dalla legge 244/2007, che raccomandava un rapporto di due a uno.

L’inclusione delle persone con disabilità nella scuola italiana sta funzionando, dunque? Dipende. L’Istat dice che tra i professori uno su tre non ha una formazione specifica sul sostegno e che il 12 per cento prende servizio in ritardo.

Anche senza guardare i numeri, basta un giro nei gruppi informali dei genitori sui social network per capire che la gestione di quello che a tutti gli affetti è un diritto previsto dalla legge – frequentare la scuola e ricevere un piano didattico personalizzato in un ambiente accessibile e accogliente – per i ragazzi e le ragazze con disabilità è spesso una questione di fortuna. La fortuna è per esempio quella di trovare personale competente e in grado di fare un buon lavoro di squadra, come nella scuola secondaria di primo grado Eduardo De Filippo di San Damiano, nella periferia di Brugherio, un comune di 35mila abitanti in provincia di Monza.

Elena Mauri, professoressa di scienze, durante una lezione in occasione della giornata mondiale dell’acqua. (Francesca Leonardi per Internazionale)

Per usare una metafora, alla De Filippo il professore curricolare e quello di sostegno sono copiloti, hanno lo stesso ruolo nella pianificazione delle attività e nella conduzione delle lezioni.

Inoltre, a stare in cattedra sono spesso gli stessi studenti, anche quando le lezioni si svolgono fuori dalle aule. Ci sono laboratori di teatro, di podcast, di giornalismo, di musica. E c’è perfino un festival annuale di cultura, Life week, in cui sono invitati astronauti, scrittori e scrittrici, musicisti, sportivi e artisti.

Un giorno assisto a una lezione di storia che in realtà consiste in un quiz sullo stile del programma televisivo Chi vuol essere milionario?. Ci sono due professori che dialogano con i ragazzi e le ragazze presenti, li aiutano a rispondere, e a turno a presentare le domande ai compagni. “Non ti sei accorta chi erano i ragazzi con disabilità, vero?”, chiede Fiorella Iorio, professoressa di sostegno della De Filippo.

In effetti, gli unici momenti in cui si vedono i professori allontanarsi si verificano quando durante le attività di teatro e danza gli stimoli e il trambusto si moltiplicano a tal punto che magari qualche ragazzo o ragazza non riesce a reggerli e ha bisogno di un attimo per riconquistare un po’ di tranquillità. Nella scuola c’è un’aula dedicata alla decompressione e ai momenti in cui le educatrici di una cooperativa esterna possono portare i ragazzi per attività collaterali o per riunire i gruppi in cui dei tutor – studenti più preparati o avanti nel programma – affiancano i compagni.

“C’è un motivo se sono 24 anni che lavoro qui e non ho mai chiesto il trasferimento, anche se è impegnativo fare avanti e indietro da Milano”, racconta Iorio, che affianca i professori curriculari, cioè quelli che insegnano le materie specifiche, ed è coordinatrice di classe, quindi ha un contatto diretto con i genitori di tutti gli alunni, superando l’idea di essere assegnata a una singola persona con disabilità.

Quando si indaga la situazione della disabilità a scuola in effetti la De Filippo sembra un’eccezione: i dati Istat indicano che il 60 per cento degli alunni con disabilità cambia professore di sostegno da un anno all’altro, il 9 per cento nel corso dello stesso anno scolastico.

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La specificità della scuola di Brugherio, che fa parte dell’istituto comprensivo Nazario Sauro, è data dal fatto che ogni professore, anche di sostegno, lo è dell’intera classe non di singoli studenti. L’idea è quella di una cattedra inclusiva, in cui i professori curricolari e quelli di sostegno lavorino a turno sulla didattica e sul sostegno, spiega Evelina Chiocca, professoressa di sostegno della scuola primaria e promotrice insieme ad altri di una legge per sostenere questo modello.

La proposta, presentata al convegno del centro Erickson lo scorso novembre a Rimini, è in cerca di un sostegno politico. “Le sperimentazioni che abbiamo fatto sul territorio dimostrano che funziona”, dice Chiocca. Secondo i dati raccolti dall’Istat, l’attività dei professori di sostegno di circa un terzo degli studenti con disabilità è rivolta all’intera classe, permettendogli così di seguire le lezioni insieme ai coetanei. In metà dei casi l’insegnante lavora prevalentemente con l’alunno con disabilità, anche se non in modo esclusivo, mentre nel 17 per cento l’attività di sostegno è rivolta unicamente al singolo studente.

“Si è fatta strada l’idea, sostenuta anche dai pregiudizi che esistono nella società, che dedicarsi al sostegno sia una sorta di missione e che per questo serva una sorta di vocazione. In realtà è un lavoro e dovrebbe essere compito di tutti i professori, perché quando si insegna lo si fa a tutta la classe, non solo ad alcuni”, aggiunge Chiocca. “In questo senso la prima a fallire è stata la politica. Quando negli anni settanta sono state chiuse le classi differenziali non si è pensato a formare tutti i professori, ma solo chi doveva fare il sostegno”.

A sinistra: durante una jam session tra studenti e professori. A destra: Fiorella Iorio, docente di arte e sostegno. (Francesca Leonardi per Internazionale)

La figura del professore di sostegno in Italia è stata introdotta con la legge 517 del 1977, che ha abolito le classi differenziali. Con la ratifica della convenzione delle Nazioni Unite sui diritti delle persone con disabilità del 2009, i minori con disabilità sono riconosciuti come cittadini che hanno il diritto di superare le barriere che limitano la loro partecipazione attiva nella società, compresa la scuola. Per diventare professori di sostegno la formazione avviene a livello universitario, una specializzazione che segue l’abilitazione all’insegnamento.

Alla De Filippo su 157 studenti 23 hanno delle disabilità, 56 hanno bisogni educativi speciali (Bes), che comprendono anche i disturbi dell’apprendimento. Quarantadue hanno un background migratorio, e tredici di loro (di cui undici nati all’estero) sono affiancati da un facilitatore linguistico. “Questo vuol dire che in una classe di venti persone possiamo anche avere dieci-quindici compiti in classe diversi, a seconda delle esigenze”, spiega Iorio, che non vede nessuna anomalia in questo procedimento, ma solo una modalità per far raggiungere a tutti gli obiettivi.

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Nell’istituto c’è anche un laboratorio d’informatica, che lo scorso settembre è stato incendiato durante un atto vandalico. I computer sono stati distrutti ma grazie alle donazioni il laboratorio è di nuovo aperto. Tuttavia, gli impegni principali degli studenti sono altri: “Ci teniamo a fare attività pratiche, manuali”, spiega Stefano Galati, il professore di scienze che gestisce diversi laboratori. In uno stanzino con un lucernario un gruppo di ragazze e ragazzi misura la crescita delle piantine idroponiche e segna i dati su un quaderno. Il venerdì vanno nella piazza dove a Brugherio si fa il mercato per spiegare agli abitanti cosa fanno a scuola.

C’è anche un’aula dedicata agli esperimenti, con alcuni microscopi, in cui le classi di Galati hanno osservato il dna di una banana. Tutti questi spazi e attività andrebbero rivisti se il plesso della De Filippo di San Damiano dovesse essere incluso nei piani di accorpamento degli istituti, perché arriverebbero più studenti e ci sarebbe bisogno di spazi aggiuntivi. “In altre scuole noi stiamo letteralmente nei sotterranei, almeno qui abbiamo un posto per noi”, raccontano le educatrici Chiara Ragusa e Cristina Canevazzi della cooperativa sociale Progetto A.

Esperimenti di scienze al mercato di Brughiero. (Francesca Leonardi per Internazionale)

La scuola ha potuto portare avanti attività alternative, poi integrate pienamente nella didattica tradizionale, anche grazie al Programma operativo nazionale (Pon) per la scuola, che ha progetti dedicati all’inclusione ed è finanziato dalla politica di coesione dell’Unione europea. Nel 2022 e nel 2023 l’istituto è rimasto aperto nei mesi estivi, mettendo a disposizione i suoi spazi. Ci sono stati progetti come l’orto scolastico, ma anche laboratori di italiano, di matematica e di materie scientifiche.

Al centro delle aperture estive c’è l’idea di ridurre la dispersione scolastica, che in Italia riguarda l’11,5 per cento degli studenti (contro il 9,6 per cento della media europea, secondo Eurostat). La speranza è quella di sostenere la motivazione e lo studio con metodologie innovative, e coinvolgendo ragazze e ragazzi a lavorare insieme in una sorta di co-tutoraggio, incoraggiato anche per ridurre le differenze nell’apprendimento.

Per la dirigente Annamaria Sicilia la scuola dev’essere “un pilastro fondamentale per il sostegno alle famiglie e l’educazione dei giovani, non solo un luogo di trasmissione di conoscenze, ma anche uno spazio sicuro di crescita personale e sociale”. I recenti casi di allontanamento di un alunno con problemi di autismo dalla scuola di Afragola, in Campania, e di uno con disturbo da deficit dell’attenzione e iperattività a Ladispoli, nel Lazio, sono “un fallimento della scuola, anche nel garantire il diritto all’istruzione a tutti”, sostengono Sicilia e gli altri professori dell’istituto.

Secondo un sondaggio condotto dal centro studi Erickson, il cui cofondatore Dario Ianes è tra i promotori della legge sulla cattedra inclusiva, su tremila persone coinvolte nell’educazione degli studenti con disabilità il 32 per cento ritiene che l’inclusione scolastica è qualcosa di utopico e irrealizzabile, ma il 79 per cento crede che la cattedra inclusiva potrebbe migliorare la didattica per tutti. “La scuola non può essere un ambiente che esclude, deve strutturarsi in base alle persone che la frequentano”, dice Iorio.

Una spettacolo teatrale nell’auditorium della scuola. (Francesca Leonardi per Internazionale)

Nell’aula di musica, allestita come una sala prove, Lorenzo, dodici anni, fa un assolo di batteria, mentre i suoi compagni si spostano da un laboratorio all’altro per continuare con le attività d’inglese, arte e scienze. Inclusione è una parola che la comunità di attivisti con disabilità non vuole più usare, secondo loro indica una dinamica di potere in cui qualcuno può decidere di includere ma anche di escludere. Fabrizio Acanfora, scrittore e divulgatore, ha cominciato a parlare qualche anno fa di convivenza delle differenze, un termine che si adatta perfettamente alla situazione della De Filippo e al lavoro di Fiorella Iorio e dei suoi colleghi.

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