Donald Trump parla molto, anzi troppo. La sua diplomazia dei tweet risulta spesso efficace, soprattutto con gli alleati titubanti, ma indignazione e minacce hanno trovato nella Cina un avversario che sa come rispondere.
Appena tre settimane fa, il presidente degli Stati Uniti aveva minacciato di annullare il vertice previsto il 30 ottobre con il numero uno cinese Xi Jinping (il primo incontro dal 2019) e di imporre alla Cina dazi doganali del 100 per cento. Alla fine, però, è stato costretto a fare marcia indietro quando Pechino ha giocato una carta vincente: il controllo delle terre rare.
Le relazioni internazionali sono ormai determinate dai rapporti di forza, e così Donald Trump è finito nella sua stessa trappola. Imponendo dei limiti all’esportazione delle terre rare – minerali strategici indispensabili per l’industria del digitale, per la difesa e per le tecnologie verdi – la Cina ha fatto capire agli statunitensi che non possono condurre il gioco.
La crisi coinvolge anche il settore dei semiconduttori. Le case automobilistiche europee rischiano di dover fermare le loro catene di produzione da una settimana all’altra a causa delle pressioni cinesi su un piccolo produttore olandese, la Nexperia, vittima collaterale della guerra commerciale sino-statunitense.
Un elemento cruciale
Il problema delle superpotenze è che spesso sottovalutano gli altri paesi. Trump non ha capito (e neanche il suo entourage, evidentemente) che la Cina del 2025 non è quella del suo primo mandato, a cui aveva già cominciato a imporre delle sanzioni sulla tecnologia.
Ormai da anni Pechino si prepara alle pressioni di Washington. La settimana scorsa l’assemblea plenaria del comitato centrale del Partito comunista cinese, appuntamento cruciale della vita politica del paese, ha approvato il prossimo piano quinquennale, impostato soprattutto sull’autosufficienza tecnologica.
Se il momento attuale definirà i rapporti di forza dei prossimi anni, allora Trump ha commesso un errore madornale. In Corea è riuscito a negoziare con Xi Jinping solo una tregua nella guerra commerciale che farà contenti i mercati – in particolare con il rinvio delle restrizioni cinesi sulle terre rare – ma non l’equilibrio futuro tra le due principali potenze del ventunesimo secolo.
C’è un elemento cruciale tra queste che non viene affrontato apertamente: il destino di Taiwan. Per Xi Jinping riconquistare l’isola, che è sostanzialmente indipendente, è una missione storica. Significherebbe assicurarsi un posto nella storia della Cina.
Ma che importanza ha Taiwan per Trump? Il suo predecessore Joe Biden aveva dichiarato pubblicamente che sarebbe intervenuto in caso di attacco cinese. Ma Trump non è un sentimentale e non gli interessa difendere la democrazia dell’isola, al massimo si preoccupa dei semiconduttori prodotti a Taiwan.
La grande paura di Taipei è che Trump si lasci trascinare sulla via di un grande accordo con la Cina in cui Taiwan sarebbe merce di scambio. Se così fosse, sarebbe un errore fatale per l’influenza statunitense in Asia. Ma à da gennaio che Trump fa male i conti con Pechino, dunque niente può essere escluso.
Il vertice in Corea è solo una tappa nella lunga marcia dei rapporti tra Cina e Stati Uniti. Per ora Pechino è in vantaggio.
(Traduzione di Andrea Sparacino)
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