Quando i protagonisti stessi di un movimento lo chiamano GenZ, cioè col nome della generazione che ha un’età fra i 13 e i 23 anni, si può parlare di una rivolta generazionale. Dopo l’Asia – Bangladesh, Nepal, Sri Lanka, Indonesia – l’ondata di rivolte ha contagiato l’Africa, prima il Madagascar e poi, da una settimana, il Marocco. E ora ha toccato il Perù, in America Latina.

In Marocco la sigla GenZ-212 (il numero è il prefisso telefonico del paese) è comparsa sui social network per promuovere manifestazioni che sono state represse duramente dalle forze dell’ordine. A Laqliaa, vicino ad Agadir, quando i manifestanti hanno attaccato una caserma della gendarmeria due persone sono state uccise con dei colpi di arma da fuoco. Incidenti simili sono avvenuti a Tangeri e Casablanca, con più di 400 arresti, numerosi feriti e danneggiamenti.

Queste rivolte spontanee, nate ai quattro angoli del pianeta in società e sistemi politici diversissimi, hanno vari punti in comune.

Innanzitutto la GenZ è la prima generazione totalmente digitale, dunque è naturale che i social media siano il luogo in cui è nato il movimento e lo strumento che ha permesso la sua diffusione da un paese all’altro. La piattaforma preferita dai manifestanti è Discord, un sistema di messaggeria istantanea che inizialmente veniva utilizzato soprattutto dagli appassionati di videogiochi e che oggi conta più di 600 milioni di utenti in tutto il mondo. Discord ha già avuto un ruolo politico importante negli Stati Uniti: è stata la piattaforma su cui è stato organizzato l’assalto al Campidoglio del 6 gennaio 2022.

Il secondo punto in comune è l’assenza di leader riconosciuti, accompagnata da una profonda sfiducia verso i partiti e i sindacati. In questo si ritrovano alcuni ingredienti della primavera araba del 2011, che aveva messo in subbuglio un’intera regione.

Il terzo punto in comune sono le rivendicazioni: lotta alla corruzione e più giustizia sociale. “Il popolo vuole la fine della corruzione”, scandiscono i manifestanti marocchini contestando gli enormi investimenti nelle infrastrutture per la prossima Coppa d’Africa e per la Coppa del mondo di calcio del 2030, in un paese dove la sanità e l’istruzione sono in profonda crisi.

Frattura politica

Qual è la dimensione politica di queste rivolte? Inevitabilmente a pagarne il prezzo sono i governi in carica. In Nepal il governo è stato addirittura rovesciato e sostituito con una squadra di tecnici incaricati di organizzare le elezioni a marzo dell’anno prossimo. Per ora non è chiaro se i giovani manifestanti decideranno di presentare dei candidati. Se così fosse, sarebbe un’evoluzione interessante.

Anche in Madagascar il governo è in difficoltà davanti alle manifestazioni, che non accennano a fermarsi. Il Marocco, invece, rappresenta un caso a parte: la monarchia marocchina viene risparmiata dagli slogan, che prendono di mira la classe politica e la gestione del paese. Nel 2011 il re Mohammed VI era riuscito a bloccare sul nascere la “primavera” locale con delle riforme costituzionali. Stavolta, però, è rimasto in silenzio.

La vera questione è il futuro del movimento. Di sicuro la protesta coinvolgerà altri paesi, soprattutto in Africa, dove è più evidente il contrasto tra la giovane età della popolazione e quella di una classe dirigente in là con gli anni. La frattura generazionale, in questo senso, si trasforma in frattura politica.

Ancora una volta è bastato un granello di sabbia imprevisto per turbare situazioni politiche che sembravano sotto controllo. La GenZ ha raggiunto la maturità e fa sentire la sua voce. Oggi molti leader autoritari (e non solo) faranno bene a temere che la rivolta arrivi anche a casa loro.

(Traduzione di Andrea Sparacino)

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