È una doppia “prima” che smentisce tutte le speculazioni su un negoziato per mettere fine alla guerra russa in Ucraina. All’alba del 7 settembre le forze russe hanno lanciato il più grande attacco aereo in tre anni di guerra: 805 droni da combattimento, nove missili cruise e quattro missili balistici. Inoltre, per la prima volta, è stata colpita la sede del governo a Kiev. Alcuni video mostrano danni consistenti alla struttura.
Questa escalation ha innanzitutto un valore simbolico: è un segnale politico a un mese dal vertice tra Donald Trump e Vladimir Putin in Alaska. L’incontro non ha prodotto nessun passo avanti verso una trattativa concreta.
Il presidente russo ha proposto un incontro con l’ucraino Volodymyr Zelenskyj a Mosca invece che in un luogo neutro. Un modo per rifiutare il negoziato senza dirlo. Fine della strada proposta da Trump, dunque. Nell’attesa che qualcosa si sblocchi, l’Ucraina deve affrontare la violenza delle bombe.
Il numero di ordigni lanciati verso l’Ucraina continua ad aumentare: il 65 per cento in più dal ritorno di Trump alla Casa Bianca, secondo il sito Le Grand Continent, quindici volte di più rispetto all’anno scorso. È una delle conseguenze della produzione in massa dei droni iraniani Shahed, realizzati nelle fabbriche russe.
Secondo le autorità ucraine, la difesa antiaerea ha abbattuto la maggior parte dei droni russi e quattro missili cruise, ma nessun missile balistico. Questo rivela i progressi della difesa antiaerea ucraina, che fabbrica da sé i droni in grado di abbattere gli Shahed in volo. In questo duro conflitto l’industria della difesa ucraina ha vissuto uno sviluppo considerevole, al punto che oggi rappresenta un banco di prova per gli stati maggiori di tutto il mondo.
Ma l’attacco rivela anche i limiti di quello che può fare l’Ucraina davanti a un avversario più potente, entrato a tutti gli effetti in un’economia di guerra, con capacità di produzione chiaramente superiori.
Il prezzo da pagare
È qui che entrano in gioco gli aiuti occidentali. A volte possiamo avere la sensazione che Zelenskyj sia ossessivo nella richiesta di armi, ma è innegabile che gli alleati dell’Ucraina agiscono sempre in ritardo.
Gli sforzi per fornire a Kiev gli equipaggiamenti necessari in vista dell’inverno si moltiplicano, perché la Russia colpirà sicuramente, come l’anno scorso, le infrastrutture energetiche ucraine per demoralizzare la popolazione. Gli europei fanno quello che possono, ma la loro produzione non regge il ritmo.
Il problema sono le batterie antiaeree statunitensi Patriot, le più efficaci in questo momento. Francia e Italia stanno lavorando a una nuova generazione del loro sistema Samp/T che sarà capace di intercettare i missili balistici o ipersonici, ma ci vorranno anni per metterlo a punto.
Nel frattempo, alla luce del negoziato tra gli europei e Trump, se l’Ucraina vuole i Patriot, i suoi alleati europei dovranno comprarli negli Stati Uniti. È letteralmente il prezzo da pagare con un presidente degli Stati Uniti che non fa niente gratis: chi vuole protezione, deve pagare.
(Traduzione di Andrea Sparacino)
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