Donald Trump si è allontanato ulteriormente dai suoi alleati europei, tanto che forse, a questo punto, sarebbe meglio parlare di ex alleati. Il presidente statunitense vuole imporre la sua pace all’Ucraina, e ha lanciato un nuovo attacco sprezzante contro Volodymyr Zelenskyj.
Il fossato transatlantico è apparso ben visibile il 23 aprile: da un lato con gli avvertimenti unilaterali di Washington a Kiev (a cui è stato detto sostanzialmente “prendere o lasciare”), dall’altro nel contesto della guerra condotta da Israele a Gaza, con una presa di posizione più dura del solito da parte di Francia, Germania e Regno Unito in contrasto con il sostegno della Casa Bianca alla strategia sfrenata di Benjamin Netanyahu.
Sull’Ucraina, la prima crepa è emersa con la defezione del segretario di stato statunitense Marco Rubio dall’incontro tra Washington e l’Europa, previsto per il 23 aprile a Londra. Poi sono arrivate le fughe di notizie (deliberate) a proposito del piano della Casa Bianca, destinato a mettere Kiev davanti al fatto compiuto. Alla fine della giornata, quando la crisi era ormai aperta, gli attacchi di Trump sono partiti ancora una volta solamente in direzione dell’Ucraina, nonostante la Russia blocchi una parte importante del processo di pace.
Gli ucraini considerano il piano del presidente statunitense come una capitolazione. Kiev accetta l’idea di un cessate il fuoco sulla linea del fronte attuale, ma non vuole cedere i propri territori alla Russia. Trump, invece, è pronto a riconoscere giuridicamente il passaggio della Crimea alla Russia e forse anche quello delle regioni dell’Ucraina orientale, rifiutando allo stesso tempo l’ingresso di Kiev nella Nato.
Il piano è palesemente squilibrato. Mosca, tra l’altro, si oppone anche all’esistenza futura di un esercito ucraino forte e all’invio di soldati europei come garanzia di sicurezza. Il 23 aprile l’Unione non si è espressa sul tema. In generale, pur mostrandosi pragmatica sulla questione territoriale, non può tollerare che l’Ucraina, oltre che amputata, esca ulteriormente indebolita da questa pax americana.
Ancora una volta Washington dimostra la propria vicinanza a Putin, probabilmente influenzata anche da considerazioni economiche. Gli Stati Uniti, infatti, si dicono pronti a cancellare le sanzioni contro la Russia e in sostanza a riprendere il business as usual.
Nello scenario peggiore, l’Europa potrebbe ritrovarsi con un’Ucraina che vuole portare avanti la guerra senza il sostegno della Casa Bianca. E cosa farebbe in quel caso? Trump ha dichiarato con tono sprezzante che Kiev, se vuole, può continuare a combattere e perdere il resto del paese. Evidentemente, il presidente statunitense non crede che l’Unione sia capace di aiutare l’Ucraina a proseguire i combattimenti per arrivare a una soluzione più giusta.
Sempre il 23 aprile, la distanza tra Washington e Bruxelles è stata evidente anche in una dichiarazione congiunta di Parigi, Londra e Berlino, che hanno definito “intollerabile” il fatto che Israele blocchi dal 2 marzo ogni aiuto umanitario destinato agli abitanti della Striscia di Gaza. “La consegna di aiuti umanitari non può essere strumentalizzata a fini politici”, hanno precisato i tre paesi.
Alla vigilia di questo messaggio, il nuovo ambasciatore statunitense a Tel Aviv, Michael Huckabee, aveva invece giustificato il blocco, nonostante costituisca una palese violazione del diritto umanitario internazionale.
Sull’Ucraina e su Gaza l’Europa vuole essere garante della legge e della ragione davanti a Washington, che ha deciso di privilegiare la forza e di ignorare le norme internazionali. Resta da capire se avrà i mezzi per mettere in pratica le sue dichiarazioni. In ogni caso, ora sa di non potere in alcun modo contare sull’amministrazione statunitense.
(Traduzione di Andrea Sparacino)
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