Meno è, meglio è: una regola d’oro che vale per qualsiasi elemento della scrittura, tanto più quando si scrive un dialogo. Vi avevo chiesto di mandarmi uno scambio di battute tra due personaggi che discutono sulla ristrutturazione della biblioteca civica.

Doveva risultare chiaro che i due si detestano.

“‘Grigio!’.

‘Beige!’.

‘Grigio!’.

‘Beige!’”.

L’esercizio di Ruth mi è piaciuto molto, perché bastano quattro parole per capire che i due personaggi sono infantili e litigiosi. Ma sono anche in confidenza, perché due estranei non potrebbero avere uno scambio di battute così.

E qual è il tipo di relazione che lega i personaggi di Tom Rayfield?

“Fantastico, ristrutturano la biblioteca!”.

“Sprecano i soldi dei contribuenti, visto che ormai non legge più nessuno. Non bisogna aprire un libro nemmeno per prendere la maturità”.

“Io i libri li leggo e li amo. Tu, invece, dici un sacco di stupidaggini”.

“Certo, scommetto che anche quei quattro gatti dei tuoi amici la pensano come te”.

“Sei veramente una bestia”.

“Sarò pure una bestia, ma almeno non sono un topo di biblioteca che campa di libri in prestito”.

Leggendo questo dialogo m’immagino un uomo di una certa età, di origini modeste, un autodidatta che vive ancora con la madre musona; i due sono imprigionati in un rapporto di odio e amore, fatto di tenerezza e battibecchi. Riesco quasi a vederli.

T. Stanley ha usato la ripetizione – “Posso esserle d’aiuto, signore?” – per mostrare quanto si possa essere sgradevoli pronunciando le parole più gentili di questa terra.

Anche Stressless si è divertito a giocare con alcune frasi apparentemente cordiali, usate invece per essere scortesi: “Ehi, che bello il tuo cappotto. È tornato di moda?”.

Il dialogo sembra la cosa più facile del mondo – una battuta dopo l’altra, come una partita di tennis – e invece nasconde un’insidia: proprio perché è facile, si rischia di esagerare con la lunghezza e di usarlo come riempitivo. Per fortuna è altrettanto facile riscriverlo: basta tagliare riducendolo all’osso.

Se non siete sicuri che il vostro dialogo serva davvero, tornate all’argomento numero uno: la trama. Considerate lo scambio di battute rispetto al resto del romanzo e domandatevi in tutta sincerità: in che modo contribuisce a far progredire la trama? Arricchisce i personaggi? Insomma, che funzione ha?

Poi, dopo aver ridotto il dialogo ai minimi termini, cercate di spezzarlo qua e là aggiungendo un po’ di colore. Ripetere a ogni riga “lui disse” o “lei disse” è superfluo: di solito basta la logica per capire di chi sono le battute. Altrimenti, provate a inserire un piccolo gesto.

“‘Guarda, te l’ho già detto’. Sarah si sporse per prendere la cucitrice. ‘Mi piacerebbe aiutarti, lo sai’, e spillò i fogli con forza”. Insomma, cercate di creare un contrasto tra quello che il personaggio dice e quello che fa, in modo da insinuare nel testo una nota dissonante che attiri l’attenzione e conferisca un tocco di tensione realistica a uno scambio di battute altrimenti banale.

E di tensione parlavo anche l’altra volta, esortandovi a tirare una bomba tra i piedi del vostro protagonista. La tensione non nasce dall’imprevisto ma dal modo in cui i personaggi affrontano le conseguenze dell’imprevisto. Così torniamo a un’altra questione: l’uso delle situazioni drammatiche e conflittuali. Ma ne riparleremo più in là.

Intanto ecco il prossimo compito. Inventatevi un fatto per il vostro romanzo, sull’esempio di quelli che ho citato la settimana scorsa: un infarto, un incidente, una verità svelata all’improvviso. Qual è la conseguenza principale? Potete raccontare per filo e per segno quello che succede oppure fare una specie di riassunto, per esempio: “Paul riceve una lettera dalla madre. Gli hanno sempre detto che è morta in un incendio quando lui aveva quattro anni. Adesso vuole rintracciarla e sapere la verità”.

Scegliete la forma che preferite, l’importante è che non vi limitiate a menzionare il fatto, ma che raccontiate anche le sue conseguenze.

Internazionale, numero 671, 7 dicembre 2006

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