Lo scorso 11 aprile la filiera italiana della canapa si è data appuntamento a Bologna per un evento importante. Quel giorno, infatti, è cominciata Indica sativa trade, la più antica fiera del settore in Italia, che da dieci anni unisce operatori e visitatori tra stand, eventi culturali e dibattiti. Doveva essere una giornata di festa, ma la manifestazione si è svolta in un clima surreale, incerto e dalla forte connotazione politica. Proprio il giorno dell’inaugurazione della fiera, infatti, il presidente della repubblica Sergio Mattarella ha firmato il decreto sicurezza approvato dal governo Meloni, che tra le altre cose ha messo fuorilegge “la lavorazione, la distribuzione, il commercio, il trasporto, l’invio, la spedizione e la consegna delle infiorescenze della canapa” e “i prodotti contenenti o costituiti da tali infiorescenze”.

La legge 242 del 2016 promuoveva l’uso della canapa per fini alimentari, tessili, cosmetici e bioedilizi. Il margine di tolleranza per il tetraidrocannabinolo (Thc), il principio attivo con effetti psicotropi contenuto nella pianta, era dello 0,2 per cento, ma nel 2018 la cassazione lo aveva alzato a 0,6 per cento. L’obiettivo della legge del 2016 era quello di regolamentare la coltivazione della canapa per fini industriali, ma l’assenza di riferimenti alle finalità ricreative ha creato un vuoto normativo su cui si è sviluppato un settore di migliaia di aziende, impegnate nella produzione e nel commercio di infiorescenze della cosiddetta cannabis light. Oggi conta circa tremila imprese, quindicimila lavoratori, che nei momenti di picco arrivano a trentamila, e un fatturato che si aggira sui cinquecento milioni di euro all’anno.

Da tempo la destra italiana ha inserito la cannabis light nella sua battaglia contro le droghe, definendola un incentivo al consumo di stupefacenti ed equiparando i rivenditori ufficiali a spacciatori. Come sottolineano diversi esperti, nonché la stessa cassazione, si tratta di una presa di posizione antiscientifica. La componente psicoattiva all’interno della sostanza è di fatto assente, mentre a dominare è il cannabidiolo (cbd), principio attivo che crea rilassatezza ed è usato anche per scopi terapeutici. Con il provvedimento del governo la cannabis light è stata inserita nel registro delle tabelle degli stupefacenti e le infiorescenze, così come oli e resine derivati, sono stati messi fuorilegge.

Produttori, commercianti e consumatori italiani di cannabis light rischiano ora di essere incriminati, mentre sono già stati organizzati i primi ricorsi in tribunale e le prime mobilitazioni civili. Anche alcune regioni hanno fatto un appello al governo perché torni sui suoi passi, evidenziando il rischio di affossare un settore che crea lavoro.

Abbiamo chiesto ad alcuni produttori e consumatori com’è cambiata la loro vita nelle ultime settimane, dopo l’approvazione del decreto sicurezza.

Andrea Cavattoni, 34 anni, imprenditore, Trento

L’azienda Cime di montagna è nata nel 2017. Abbiamo circa due-tre ettari sui monti trentini, in cui coltiviamo mezza tonnellata di canapa all’anno. L’azienda è composta da quattro persone, ma durante il raccolto arriviamo anche a 15. Siamo abituati a momenti difficili come quello attuale, abbiamo sempre lavorato nell’incertezza. Potremmo ingrandirci, ma c’è sempre paura di fare nuovi investimenti. Se io devo comprare un magazzino o un macchinario ci penso due volte, ed è un peccato.

Ora a causa del decreto sicurezza abbiamo dovuto fermare la produzione. Per fortuna questa è una fase in cui abbiamo moltissimo lavoro nella preparazione dei terreni per le piantagioni e ci concentriamo su quello. Noi poi esportiamo gran parte della merce all’estero, da dove continuano ad arrivare ordini. È una boccata d’ossigeno, ma se continua così la faccenda si fa più complicata. Il rischio è quello di chiudere, bruciando anni di investimenti e lasciando senza lavoro molte persone.

È una situazione molto frustrante. Capisco che non si voglia legalizzare la cannabis, ma questo non c’entra niente con la filiera della canapa e con la cannabis light. Ogni tanto viene da chiedersi chi ce l’ha fatto fare. Il rischio non è solo che ti sequestrano la merce, ma di essere arrestati e trattati come criminali.

Elisa Lombardi, 44 anni, consumatrice, Udine

Io ho diverse malattie, alcune delle quali degenerative, e nel corso degli anni sono diventata resistente ai farmaci. Questo rende difficile curarmi. Per la mia terapia del dolore sto usando la cannabis con thc, prescritta dal medico, e prodotti che contengono cbd. Sono prodotti locali e super controllati, gli unici che mi permettono di stare meglio. Soffrendo d’insonnia e fibromialgia spesso non riesco a dormire bene e invece con l’olio di cbd va meglio. Inoltre, mi permette di mantenere abbastanza sotto controllo il dolore cronico. Grazie a questi oli sono anche in grado di prendere meno cannabis terapeutica a base di thc.

Da circa tre mesi questi prodotti mi davano finalmente un po’ di sollievo, ma ora il governo me li toglie. I miei fornitori hanno dovuto sospendere l’attività in attesa di capire come muoversi, lo hanno fatto per mettersi in sicurezza e nella speranza che cambino le cose. Io ho delle scorte per un paio di mesi. Dopo di sicuro non mi metterò a comprare prodotti sul mercato nero o simili, sono già abbastanza spaventata e fragile di mio, se non ho prodotti su cui sono sicura al 100 per cento non rischio. Purtroppo temo che presto tornerò a passare le pene dell’inferno.

Clotilde Arduini, 45 anni, imprenditrice, Santo Stefano Belbo (Cuneo)

Con la nostra azienda GNRsystem produciamo macchinari per la pulitura della canapa. Abbiamo cominciato nel 2019, quando nella filiera non c’erano macchinari italiani. Negli ultimi anni abbiamo fatto enormi investimenti. Siamo partiti da zero, come tanti altri nel settore, siamo una realtà piccola e a conduzione familiare. I nostri fatturati sono andati bene i primi anni, poi la scorsa primavera si è cominciato a parlare di questo decreto sicurezza e le cose sono precipitate. Avevamo ordini fino a sessantamila euro, ma li abbiamo persi perché le persone hanno avuto paura a investire, visto lo scenario che si stava prospettando. Il decreto ha confermato tutto e abbiamo perso altri ordini ancora. C’è un ragazzo però che ne ha fatto uno nelle scorse settimane e dopo l’approvazione del decreto ha deciso di confermarlo perché ha detto che vuole disobbedire e continuare a lavorare la canapa.

È un periodo molto stressante. Pensare che dobbiamo chiudere è frustrante. Ho mandato varie email alla presidente del consiglio Giorgia Meloni, ma non ho avuto risposte. Dietro quello che facciamo c’è un grande lavoro di progettazione e investimento, sembra facile ma non è così. Abbiamo clienti in tutta Italia che sono diventati amici, siamo tutti demoralizzati.

Mattia Cusani, 31 anni, giurista e consulente, San Giovanni in Fiore (Cosenza)

L’associazione Canapa sativa Italia, di cui sono presidente, riunisce gli operatori del settore della canapa, dal mondo agricolo fino alla distribuzione. Sono anni che cerchiamo di dialogare con i diversi governi per trovare una soluzione al vuoto normativo che riguarda il settore. Parliamo di prodotti che possono essere paragonati a birre analcoliche: non hanno effetti stupefacenti, non creano dipendenza. Di fatto il governo sta togliendo un’alternativa per la riduzione del danno, basandosi sul presupposto sbagliato che i ragazzi cominciano con la cannabis light e poi passano alla cannabis. Ma non è così. I ragazzi la cannabis light non la consumano affatto, i dati che ci arrivano dai negozi e dagli studi dicono che il consumatore medio di cannabis light ha 35-45 anni, che era un consumatore di cannabis e che ha deciso di smettere o ridurre, preferendo un’alternativa legale, sicura, più controllata.

Il decreto era nell’aria e in questi mesi abbiamo elaborato un piano d’azione che ora ha preso il via. Stiamo presentando ricorsi con una procedura d’urgenza legata al pregiudizio irreparabile che si avrebbe dall’applicazione sbagliata di una legge che vieta un’intera filiera. Questi ricorsi sono presentati in più di un distretto di corte d’appello, potenzialmente fino a dieci, anche per ottenere una pronuncia più veloce.

La gran parte del settore della canapa per il momento sta continuando a lavorare, chi poi non ha dimensioni tali da potersi prendere questo rischio ha sospeso momentaneamente le vendite. Tanti imprenditori stanno scappando all’estero, dove il contesto legislativo è più sicuro. Stiamo stanziando dei fondi per tutelare le aziende che dovessero subire procedimenti penali. In quel caso le andremmo a difendere mettendo il massimo delle competenze sviluppate in questi anni, così da creare dei precedenti giuridici.

Marco Della Rosa, 42 anni, imprenditore, Belluno

La nostra realtà si chiama Canapalpino ed è nata nel 2007, molto prima del boom della cannabis light. Vendiamo materiale per la coltivazione, articoli per fumatori, alimenti, abbigliamento e cosmetici in canapa, bioedilizia e molto altro.

Essendo da tanto tempo nel settore abbiamo vissuto tutte le varie vicissitudini che lo hanno riguardato. Il blocco dettato dal decreto sicurezza ci ha danneggiato particolarmente dal punto di vista economico. Abbiamo dovuto chiudere uno dei nostri tre punti vendita, appena aperto, e lasciare a casa chi ci lavorava. Purtroppo non c’erano più le basi per continuare. Avevamo poi in programma di aprire una serie di distributori, ma anche questo progetto è andato a monte.

Con la firma del decreto siamo diventati illegali dal giorno alla notte, e anche le aziende produttrici a cui ci rivolgiamo qui nel bellunese, che sono due, ora hanno grossi problemi. Da una parte c’è la paura di essere incriminati, dall’altra il timore di fare nuovi investimenti. Questi due elementi messi insieme stanno paralizzando il settore. Restiamo vigili con il nostro supporto legale, nel frattempo andiamo avanti con la nostra produzione alimentare e attendiamo l’approvazione parlamentare del decreto per capire che ne sarà del settore.

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