C’è una cosa per la quale Taylor Swift si distingue da tutte le altre popstar contemporanee: la cura per la propria immagine e la propria reputazione, ossessiva perfino per gli standard attuali. La sua addetta stampa, Tree Paine, della quale nel 2024 abbiamo pubblicato un ritratto su Internazionale, fa da filtro a quasi ogni informazione che riguarda la cantante e negli anni ha contribuito a creare una specie di culto attorno alla personalità di Swift.

I mezzi d’informazione statunitensi, e non solo loro, le hanno dedicato montagne di articoli, servizi e opinioni. Il Guardian ha creato perfino una newsletter interamente dedicata a lei. La portata del fenomeno Swift ha spinto anche noi di Internazionale a metterla in copertina nel 2024, traducendo un articolo del quotidiano spagnolo El País che analizzava in modo molto interessante la sua parabola, culminata nell’Eras tour, il primo tour nella storia a superare il miliardo di dollari d’incassi. Insomma, anche volendo, le proporzioni del successo della cantante di West Reading erano troppo grandi per essere ignorate.

Nei mesi scorsi, finito il tour dei record, l’attenzione attorno alla cantante è fisiologicamente calata. Poi, però è uscita la notizia che Swift aveva vinto la battaglia per riappropriarsi dei master dei primi sei album e, giustamente, i riflettori sono stati puntati nuovamente su di lei. La conquista di Swift è stata sicuramente importante, ma è stata presentata come un avvenimento storico, come se lei fosse stata la prima a fare una cosa del genere. Ma non era così: Prince, per fare un esempio, nel 2014 aveva cominciato una battaglia legale con la Warner per riappropriarsi della sua musica, vincendola infine nel 2021.

Una parte dell’opinione pubblica statunitense ha perfino tentato di far passare alcune delle battaglie di Swift come lotte femministe, ma l’impressione è che la cantante, anche legittimamente, lotti anzitutto per difendere sé stessa. Le scaramucce con colleghe come Katy Perry, Olivia Rodrigo e ultima Charli XCX, tirata velatamente in ballo nel recente brano Actually romantic, sembrano dimostrarlo.

Eccoci ora al nuovo disco, The life of a showgirl, pubblicato il 3 ottobre a poche settimane di distanza dall’annuncio del fidanzamento ufficiale tra Swift e il giocatore di football americano Travis Kelce. Svelato a sorpresa al podcast New height show, dove la cantante è stata ospite proprio di Kelce, l’album ha stabilito un nuovo record ancora prima della sua uscita ufficiale: pochi giorni fa, infatti, è diventato il disco con più presave di sempre su Spotify, superando i cinque milioni e battendo un primato che già apparteneva alla stessa Swift, ottenuto nel 2024 con The tourtured poets department. E nella sola giornata del 3 ottobre ha venduto 2,7 milioni di copie.

C’è un problema, però. Se si lasciano da parte per un momento i comunicati stampa, le polemiche e il culto della persona e ci si concentra solo sulle canzoni, tutta questa aura sembra dissolversi in una specie di vuoto, perché le canzoni di Swift – in particolare quelle degli ultimi anni – sono molto meno eccitanti, sorprendenti e coraggiose di tutta la narrazione che le circonda.

The life of a showgirl – scritto dall’artista insieme ai produttori specializzati in hit Max Martin e Shellback, che insieme a lei avevano realizzato l’ottimo 1989 – è stato presentato come un ritorno al pop, un disco energico e sexy. Peccato che sia solo una raccolta di canzoni innocue e spesso prevedibili. I guizzi degni di nota si contano sulle dita di una mano: la già citata The fate of Ophelia, che scomoda nientemeno che William Shakespeare e ha un ritornello orecchiabile, la ballata Eldest daughter, riflessione sul ruolo di sorella maggiore e sulla celebrità, e il brano conclusivo, nel quale è ospite Sabrina Carpenter. Per il resto, calma piatta.

Swift, come sempre, canta di sé. Ma se le rotture con gli ex fidanzati, le relazioni difficili e le insicurezze all’inizio della sua carriera le avevano ispirato qualche buona canzone, oggi sembra scarica e priva di mordente. Sentirla cantare di quanto è innamorata e felice è molto meno divertente di quando era incasinata e “ubriaca nel sedile posteriore dell’auto”. Il culmine della scontatezza in questo disco viene raggiunto nel brano Wi$h li$t, nel quale Swift dice che altre ragazze desiderano uno yacht, una vita sotto i riflettori e un Oscar sul pavimento del bagno, mentre a lei basta il suo fidanzato. A prescindere dalla banalità del testo, il fatto che questo pezzo sia stato scritto da una persona che con un singolo tour ha incassato più di un miliardo di dollari suona quasi come una presa in giro. Un discorso simile vale per Wood, il tentativo fallito di fare una canzone autoironica e vagamente sconcia su un tappeto di chitarre disco.

Di Taylor Swift si parla tanto, e spesso giustamente, perché il suo successo non ha precedenti. Al tempo stesso, come detto, la musica fa fatica a seguire il passo delle fanfare che accompagnano ogni suo passo. E il rischio è che, alla lunga, si parli di lei solo perché si parla tanto di lei, e ci si dimentichi che dovremmo occuparcene anzitutto per la musica che fa. Se The life of a showgirl fosse stato pubblicato da una cantante esordiente, probabilmente, quasi nessuno se ne sarebbe occupato.

Questo testo è tratto dalla newsletter Musicale.

Internazionale pubblica ogni settimana una pagina di lettere. Ci piacerebbe sapere cosa pensi di questo articolo. Scrivici a: posta@internazionale.it