Il vertice delle Nazioni Unite sul clima che si è svolto il 24 settembre a New York sarà probabilmente ricordato come il momento in cui la Cina ha definitivamente sostituito l’occidente alla guida della transizione energetica globale.

In collegamento video da Pechino, il presidente cinese Xi Jinping ha annunciato per la prima volta un obiettivo per la riduzione delle emissioni di gas serra del paese, che entro il 2035 dovrebbero calare di una quota compresa tra il 7 e il 10 per cento rispetto al picco massimo. Per raggiungerlo, la Cina ha intenzione di aumentare di sei volte la capacità installata delle fonti di energia rinnovabile rispetto al 2020.

L’impegno è stato definito insufficiente da alcuni osservatori, che avevano sperato in una riduzione del 15 per cento e temono che non basti a garantire il rispetto dell’obiettivo di azzerare le emissioni nette entro il 2060.

Ma altri credono che la scelta sia dovuta alla tradizionale preferenza delle autorità cinesi per la prudenza e la stabilità, e alla necessità di conciliare la decarbonizzazione con il rilancio dell’economia, che negli ultimi tempi ha dato segni di rallentamento.

Se lo sviluppo delle energie rinnovabili nel paese proseguirà al ritmo attuale, l’obiettivo potrebbe essere raggiunto in anticipo, com’è successo per quello sul picco delle emissioni, che avrebbe dovuto essere toccato entro il 2030 e sarà probabilmente superato già quest’anno.

L’aspetto più importante dell’annuncio è che il paese con le più alte emissioni al mondo ha confermato di essere determinato a proseguire sul percorso che nel giro di pochi anni ne ha fatto il motore industriale della transizione energetica mondiale, e sembra pronto ad assumere anche il ruolo di leader degli sforzi diplomatici internazionali contro il cambiamento climatico.

Durante il collegamento Xi ha infatti criticato indirettamente l’atteggiamento del presidente statunitense Donald Trump, che non ha partecipato al vertice e che il giorno precedente, durante il suo intervento all’assemblea generale delle Nazioni Unite, aveva definito il cambiamento climatico una truffa e invitato gli altri paesi ad abbandonare la transizione energetica e comprare più combustibili fossili dagli Stati Uniti.

Pur non rinnegando apertamente il suo impegno per il clima, anche l’Europa sembra aver definitivamente smarrito l’ambizione a svolgere un ruolo di primo piano. Come gli altri firmatari degli accordi di Parigi, l’Unione dovrà presentare un nuovo piano per la riduzione delle emissioni in vista della conferenza delle parti (Cop30) che si aprirà a novembre a Belém, in Brasile.

La Commissione avrebbe voluto annunciare i nuovi obiettivi al vertice sul clima, rispettando l’esortazione del segretario generale António Guterres, ma i governi dell’Unione non sono riusciti a trovare un accordo, e si sono limitati a proporre un obiettivo “temporaneo” che prevede una riduzione compresa tra il 66 e il 72 per cento rispetto ai livelli del 1990.

La cifra precisa dovrebbe essere stabilita prima dell’apertura della conferenza di Belém, ma non è chiaro come l’Unione riuscirà a conciliare questo obiettivo con l’impegno a comprare 750 miliardi di dollari di combustibili fossili dagli Stati Uniti entro la fine del mandato di Trump, che la Commissione ha dovuto assumere ad agosto nel quadro dell’accordo sui dazi commerciali raggiunto con Washington.

Questo testo è tratto dalla newsletter Pianeta.

Iscriviti a
Pianeta
Ogni giovedì le notizie più importanti sulla crisi climatica e ambientale. A cura di Gabriele Crescente.
Iscriviti
Iscriviti a
Pianeta
Ogni giovedì le notizie più importanti sulla crisi climatica e ambientale. A cura di Gabriele Crescente.
Iscriviti

Internazionale pubblica ogni settimana una pagina di lettere. Ci piacerebbe sapere cosa pensi di questo articolo. Scrivici a: posta@internazionale.it