Il 9 settembre, due giorni prima del capodanno etiope, il governo del premier Abiy Ahmed ha organizzato una cerimonia in grande stile, con ospiti vari capi di stato stranieri, per festeggiare l’inaugurazione della Grand ethiopian renaissance dam (Gerd). In costruzione da quattordici anni sul Nilo Azzurro, è la più grande centrale per la produzione di energia idroelettrica di tutta l’Africa.

Il progetto, lanciato nel 2011 dall’allora primo ministro Meles Zenawi (al potere dal 1995 al 2012) e portato avanti dall’azienda italiana Webuild, è stato presentato alla popolazione e al resto del mondo come una grande promessa di sviluppo per il paese. L’Etiopia ha una popolazione di 126 milioni di abitanti, ricorda l’opinionista ugandese Charles Onyango-Obbo in un articolo che pubblichiamo questa settimana su Internazionale, cioè la seconda più grande dell’Africa dopo quella nigeriana. Tuttavia la metà degli abitanti non ha ancora accesso alla rete elettrica. Quindi per Abiy – ma anche per i suoi predecessori – l’elettrificazione è una tappa forzata sulla strada dello sviluppo economico. Non importa se la diga ha causato una grave frattura diplomatica con l’Egitto e il Sudan (ne avevamo già parlato qui e qui su Internazionale), facendo salire le tensioni in tutta la regione: per il governo etiope le promesse della Gerd sono troppo grandi per poterci rinunciare.

Contrariamente a quanto affermato in più occasioni dal presidente statunitense Donald Trump, la Gerd – che è costata cinque miliardi di dollari – non è stata costruita con i dollari statunitensi. “Il colpo di genio politico di Meles Zenawi fu chiedere agli etiopi di finanziare la Gerd con donazioni e attraverso l’acquisto di titoli di stato di piccolo taglio. Gli investitori privati e la Banca mondiale non avevano voluto contribuire, anche dietro le pressioni dell’Egitto. Così ogni cittadino diventò un investitore”, ricorda il corrispondente dell’Economist Tom Gardner.

La maggior parte dei finanziamenti è arrivata dalle istituzioni statali ma, secondo un funzionario citato da Al Jazeera, dal 2023 al 2024 sono stati raccolti circa 21 milioni di dollari tra i cittadini. Dal 2022 al 2025 la diaspora etiope ha versato altri dieci milioni. The Reporter intervista invece Aregawi Berhe, direttore dell’ufficio di coordinamento per la partecipazione pubblica ai lavori della diga, che paragona la costruzione della diga alla storica vittoria di Adua del 1896 contro le truppe coloniali italiane e che parla di un totale di contributi individuali pari a 23,6 miliardi di birr, l’equivalente di 165 milioni di dollari statunitensi.

In vista dell’inaugurazione molti osservatori stranieri non hanno potuto fare a meno di notare che, dietro la propaganda ufficiale, le parate, la sfilata delle autorità e i fuochi d’artificio, la diga ispira un genuino senso di unità e di orgoglio nazionale, in un paese spesso diviso lungo linee etniche, reduce da una guerra devastante nel nord e ancora minacciato da numerose insurrezioni.

La diga sul fiume del tempo
È stata costruita settant’anni fa tra Zambia e Zimbabwe, e oggi rischia di crollare. È il simbolo dell’incapacità degli esseri umani d’immaginare il futuro. Dall’archivio di Internazionale.

“L’Etiopia è considerata la ‘torre dell’acqua dell’Africa’ perché riceve piogge abbondanti e ha molti fiumi”, ricorda Al Jazeera. “Varie dighe sono state costruite all’inizio degli anni duemila, rendendo il paese uno dei principali produttori di energia idroelettrica del continente. Ma l’idea di costruirne una, molto più grande, sul Nilo ha cominciato a concretizzarsi solo verso la fine di quel decennio”.

“C’è chi la considera solo una centrale elettrica, ma per altri è una promessa di dignità, di indipendenza, di luce in case che sono rimaste a lungo al buio”, scrive con una certa enfasi il giornale etiope The Reporter, ricordando che l’infrastruttura è stata costruita anche grazie ai sacrifici della popolazione. “I contadini hanno venduto i loro animali, gli insegnanti hanno donato mesi dei loro stipendi e milioni di persone hanno comprato titoli di stato che potevano a malapena permettersi”.

Rapporti difficili

Questioni interne a parte, ora che la Gerd è un fatto compiuto, cosa sarà delle rivalità con i paesi vicini? In vista dell’inaugurazione, riporta The New Arab, l’Egitto e il Sudan avevano intensificato le attività e gli incontri diplomatici per ribadire che la costruzione della Gerd è illegale perché l’Etiopia ha agito unilateralmente, senza aspettare il raggiungimento di un accordo. Altri paesi, come il Kenya (il cui presidente William Ruto ha partecipato alle celebrazioni al fianco di Abiy), si sono proposti come mediatori, anche se allo stesso tempo hanno già fatto accordi per comprare l’elettricità dall’Etiopia.

Come fa notare The Reporter “la geopolitica della Gerd comincia ora”. Secondo alcuni, quando l’Egitto si renderà conto che la portata del Nilo a valle non sarà ridotta dalla presenza della diga si tranquillizzerà e le tensioni si ridurranno. Ma, in realtà, è una speranza debole: dal Sudan arrivano già denunce del fatto che la portata del Nilo è diminuita da quando l’Etiopia ha cominciato a riempire il bacino della diga. Altri, forse più realisticamente, prevedono un periodo di nuove tensioni, dovute anche all’eventualità che l’Etiopia continui a costruire dighe e altre infrastrutture per il controllo dell’acqua.

Resta il fatto che, dal punto di vista della sua immagine internazionale, l’Etiopia ora vuole mostrare il suo nuovo potere, in un momento in cui quello dell’Egitto sembra in calo. “Il Cairo ha perso il suo accesso privilegiato al Nilo”, commenta l’analista Rashid Abdi, intervistato dalla Bbc. Il completamento della diga segna infatti la fine dei trattati coloniali stipulati con il Regno Unito, che assicuravano all’Egitto circa l’80 per cento delle acque del Nilo.

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Questo testo è tratto dalla newsletter Africana.

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