Nel giugno del 1982 uscì l’album Titanic del cantautore Francesco De Gregori, che conteneva un brano dedicato al più grande bombardamento aereo mai subito dalla città di Roma. La canzone si intitola San Lorenzo, nome di un quartiere della capitale, e inizia con le parole: “Cadevano le bombe come neve il 19 luglio, a San Lorenzo”.
Il bombardamento fu uno degli episodi più rilevanti per l’Italia in conflitto, il momento in cui la guerra aerea tornò a mordere il paese che l’aveva inventata. Quel giorno, cinquecento aeroplani statunitensi rovesciarono sulla città più di novemila bombe. Cercavano di colpire gli svincoli ferroviari di San Lorenzo e della Tiburtina, ma riuscirono soprattutto a distruggere i quartieri operai della povera gente. A San Lorenzo morirono più di 1.500 persone e altrettante rimasero sotto le macerie nelle aree circostanti.
Il papa, Pio XII, uscì per la prima volta dal Vaticano dall’inizio della guerra per andare a visitare le vittime. Il bombardamento convinse i gerarchi fascisti a sfiduciare Mussolini e il re a farlo imprigionare. La scrittrice Elsa Morante ne ha fatto lo snodo principale del suo romanzo La Storia: la distruzione della casa di Ida e ’Useppe darà il via alle loro peripezie.
“Il loro caseggiato era distrutto. Ne rimaneva solo una quinta spalancata sul vuoto. Cercando con gli occhi in alto, al posto del loro appartamento, si scorgeva fra la nuvolaglia del fumo un pezzo di pianerottolo, sotto a due cassoni dell’acqua rimasti in piedi. Dabbasso delle figure urlanti o ammutolite si aggiravano fra i lastroni di cemento, i mobili sconquassati, i cumuli di rottami e di immondezze. Nessun lamento ne saliva, là sotto dovevano essere tutti morti”.
Oggi i bombardamenti dal cielo, come quello che distrusse San Lorenzo, sono il modo in cui la grande maggioranza dei civili sperimenta la guerra. A loro è dedicato il secondo episodio di Guerra, “Sirene”.
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Guerra Cos’è la guerra e perché non vogliamo che si ripeta. Con Davide Maria De Luca.  
Sirene
Si imparano parecchie cose mentre si studia la storia delle sirene aeree. Per esempio, si può scoprire che le autorità del Regno Unito avevano molti dubbi di fronte all’idea di installare sistemi d’allarme aereo. Ci si poteva davvero fidare che la popolazione, in particolare le classi subalterne, corresse a ripararsi invece di riversarsi in strada per ammirare lo spettacolo degli Zeppelin da bombardamento tedeschi?
La storia dei bombardamenti è strettamente intrecciata con quella dei pregiudizi razziali e di classe. Ancora prima del primo attacco aereo, le macchine volanti furono immaginate come l’arma perfetta per soggiogare popoli barbari e colonizzati, e per sterminare le orde asiatiche che si temeva avrebbero sommerso il mondo. Negli anni tra le due guerre, teorici militari e politici si immaginarono intere società europee soccombere alla barbarie, quando bombe a gas piovute dal cielo avrebbero liberato gli istinti animali del proletariato.
L’aereo da bombardamento, che porta il pilota nei cieli da dove può decidere la vita o la morte di chi si trova sotto di lui come farebbe una divinità, è sempre stato qualcosa di più di un semplice artificio tecnico. Un simbolo di superiorità tecnologica e quindi morale. La prova che alcuni esseri umani sono diversi dagli altri e quindi hanno il diritto di disporre di questi come meglio credono.
Mattatoio n. 5, dello scrittore americano Kurt Vonnegut, è il romanzo che più di ogni altro ha raccontato i bombardamenti dal cielo, trasformandoli una metafora della guerra. Il mio libro preferito sul tema, però, è un altro. Si intitola Sei morto! (Ponte alle Grazie 2001) ed è stato scritto dall’autore svedese Sven Lindqvist. Se un giorno nella mia vita scrivessi qualcosa valido la metà di questo libro, mi considererò uno scrittore di successo.
Una storia italiana
Ho scritto che durante il bombardamento di San Lorenzo un fenomeno nato da mani italiane tornò a perseguitare il nostro paese. Intendevo questo: il primo essere umano a gettare una bomba da un aereo, quindi il primo “bombardatore dal cielo”, fu un italiano e, dopo di lui, fu sempre un italiano a teorizzare l’idea che le guerre si potessero vincere bombardando il nemico dal cielo.
Parliamo del tenente pilota Giulio Gavotti e del maggiore (poi generale) Giulio Douhet. Siamo nel 1911 e sono passati appena otto anni da quando l’aereo dei fratelli Wright si è alzato in volo per la prima volta. L’Italia è in guerra con l’Impero ottomano per occupare la Libia, e Gavotti fa parte di un piccolo reparto di ricognizione aerea aggregato al contingente d’invasione.
A Napoli, in attesa di partire per la Libia, Gavotti si vede consegnare due scatole di bombe senza altra istruzione. “È strano che nessuno ci abbia detto niente”, commenta in una lettera al padre, “sarà molto interessante provarle sui turchi”.
Arrivato in Libia, Gavotti decolla per la sua prima missione a bordo di un primitivo monoplano tedesco, fabbricato con legno e tela, che ha la forma elegante di un uccello. Gavotti sistema tre bombe in una scatola dentro il minuscolo abitacolo e ne infila una quarta in una tasca del giaccone. Così armato, decolla per l’oasi di Ain Zara, dove erano state avvistate truppe turche e irregolari arabi.
Pochi minuti dopo, Gavotti fa cadere la prima bomba su una tenda. “La vedo cadere dal cielo per un paio di secondi e poi scompare. E dopo un po’, vedo una piccola nube scura al centro dell’accampamento. Ho colpito il bersaglio!”. L’era dei bombardamenti è iniziata.
Alla base lo attende il maggiore Douhet, ufficiale di stato maggiore incaricato di redigere un rapporto sull’uso dell’aviazione nella campagna di Libia. Da quel documento, nel 1921, Douhet trae un saggio che intitola Il dominio dell’aria e in cui sarà uno dei primi a esporre una teoria che diventerà dominante negli anni tra le due guerre: in futuro i conflitti saranno brevi e brutali. Enormi flotte di aerei decolleranno al momento della dichiarazione di guerra e colpiranno i centri vitali del nemico: città, industrie, centri di comando e governo. Chi sarà il più veloce a colpire eliminerà l’avversario potenzialmente senza subire una sola perdita.
Queste guerre saranno brutali e i civili saranno presi di mira, scriveva Douhet, ma saranno anche brevi e meno sanguinose del grande conflitto che in Europa si era appena concluso.
Ucraina
Sono passati 104 anni da quando Douhet scrisse il suo libro e i generali provano ancora a seguire la sua ricetta. I russi sono ormai in grado di lanciare sull’Ucraina più di 500 droni a lungo raggio e più di cinquanta missili in una sola notte. Obiettivo: distruggere industrie militari, linee di comunicazione, spezzare il morale della popolazione, spingerla a rivoltarsi contro il governo e a chiedere la pace. Dopo quasi quattro anni e migliaia di morti, non sembrano essersi avvicinati molto ai loro obiettivi.
Gli ucraini stanno facendo più o meno lo stesso, con mezzi inferiori e, per ora, con un riguardo per le vite dei civili apparentemente maggiore. Riescono a lanciare 150 droni in una notte, seguiti forse da una decina di missili.
Ma la Russia è molto più grande dell’Ucraina e quindi è anche molto più difficile da difendere. E gli ucraini non cercano di colpire tutto insieme (industrie, strade, ferrovie, aeroporti eccetera), ma si concentrano sulle raffinerie di petrolio, sperando che chiudendo questo collo di bottiglia dell’economia russa si possa costringere Putin ad accettare la pace o almeno ad avviare serie trattative diplomatiche. Come la Russia, anche gli ucraini non sembrano essersi avvicinati molto all’obiettivo.
Gaza
La differenza principale tra i bombardamenti a Gaza e tutti quelli che abbiamo visto negli ultimi anni è che Gaza è completamente indifesa. O meglio: le milizie armate di Gaza hanno molti fucili, lanciarazzi, bombe artigianali e, all’inizio della guerra, avevano piccoli missili in grado di arrivare fino a Tel Aviv. Ma non c’è nulla che possa colpire un aereo.
I russi devono usare missili a lungo raggio e aerei senza pilota per colpire l’Ucraina, i cui cieli sono protetti da strati di difese aeree, e lo stesso devono fare gli ucraini contro la Russia. Perfino gli israeliani in Iran hanno dovuto esercitare cautela nei loro attacchi, facendo prendere ai loro bombardieri lunghe e tortuose rotte e usando missili a lunga gittata.
A Gaza, invece, non ci sono radar, non ci sono missili e nemmeno cannoni antiaerei. L’aviazione israeliana ha totale impunità nell’agire. E questo consente anche di usare tecniche molto ciniche. Una delle più famose, e più ricordate dalla propaganda israeliana, sono gli avvertimenti che spesso precedono i bombardamenti.
A volte si tratta di un piccolo missile, chiamato in gergo roof-knocker, “bussa tetto”, che colpisce il tetto del palazzo senza causare grandi danni, poco prima che arrivi la bomba che lo raderà al suolo. A volte gli israeliani telefonano agli abitanti del palazzo ordinandogli di abbandonarlo entro pochi minuti.
Questa tecnica viene è usata in genere quando gli israeliani vogliono distruggere grandi palazzi dove vivono centinaia di persone, oppure dove sanno che si trovano giornalisti e organizzazioni straniere.
È quello che è accaduto con la Torre al Jalaa, dove si trovavano gli uffici dell’agenzia di stampa Associated Press, della società di consulenza Ernst & Young e più di 60 appartamenti. Dopo i consueti avvertimenti, i giornalisti presenti e la proprietà dell’edificio riuscirono a ritardare il bombardamento di un’ora. Poi, il palazzo fu completamente distrutto da tre missili.
La stessa tattica è stata usata in molte occasioni durante l’attacco contro Gaza nell’estate del 2025, quando l’aviazione israeliana si è concentrata nella distruzione di tutti gli edifici oltre una certa altezza, definiti dalla propaganda israeliana Hamas high-rises, “torri di Hamas”.
Ovviamente, in centinaia di casi, gli attacchi aerei israeliani non sono preceduti da un avvertimento.
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