L’atrio del Grande museo egizio, il 4 novembre 2025. (Gehad Hamdy, Picture alliance/Getty Images)

Ora si può visitare il “regalo dell’Egitto al mondo”. Così è definito sul sito il Grande museo egizio (Gem), un complesso di quasi cinquecentomila metri quadrati che ospiterà più di centomila manufatti risalenti a trenta dinastie dell’antico Egitto. Con uno spazio per le esibizioni di 45mila metri quadrati, è il sesto museo più grande del mondo dopo il Louvre (Parigi), l’Ermitage (San Pietroburgo), il Museo nazionale della Cina (Pechino), il Metropolitan (New York) e il Prado (Madrid).

L’apertura è stata preceduta da una cerimonia inaugurale che si è svolta il 2 novembre e ha compreso uno spettacolo laser, fuochi d’artificio, un’orchestra sinfonica, ballerini in tuniche ispirate agli affreschi antichi, scettri e corone dorate, e luci fluttuanti che formavano geroglifici in movimento. All’arrivo degli invitati – tra cui i presidenti di Germania, Palestina e Repubblica Democratica del Congo, i primi ministri di Paesi Bassi e Ungheria e i principi ereditari di Oman e Bahrein – alcuni droni hanno disegnato in cielo il messaggio in inglese: “Benvenuti nel paese della pace”.

Il museo, considerato il più grande sito archeologico al mondo dedicato a una singola civiltà, si trova a due chilometri dalle piramidi di Giza (visibili dall’edificio, la cui forma le rievoca) e a otto dal Cairo. All’ingresso i visitatori sono accolti dalla statua alta più di undici metri del faraone Ramses II, che risale a 3.200 anni fa e pesa 83 tonnellate. Scoperta nel 1820 e posizionata davanti alla stazione centrale della capitale dal 1954 al 2006, ha fatto due volte il giro del mondo ed è stata trasportata nella sua nuova dimora tutta intera su un veicolo speciale dotato di 128 ruote. Uno degli spazi espositivi più prestigiosi del museo è dedicato al faraone Tutankhamon e ai cinquemila manufatti della sua collezione, compresi la maschera funeraria d’oro, il trono, il sarcofago, i carri e i gioielli.

A differenza del museo del centro del Cairo, costruito nel 1902, in epoca coloniale, e già da anni obsoleto e fatiscente, l’atmosfera del Gem è calma e confortevole, con gallerie immersive, illuminazione di precisione, mostre in realtà virtuale e uno spazio dedicato ai bambini. La speranza è attirare fino a quindicimila visitatori al giorno, rilanciando così il settore turistico, una fonte vitale di valuta estera per l’economia egiziana, deteriorata da anni di conflitti regionali e incertezza finanziaria.

Il progetto è costato 1,2 miliardi di dollari, finanziato in gran parte da due prestiti giapponesi arrivati nel 2006 e nel 2016, per un totale di 750 milioni da ripagare nel corso di vent’anni. Il resto è coperto dal governo egiziano. Il museo è considerato un’entità economica: può costituire società, affittare sale conferenze, gestire negozi e ristoranti e fissare i prezzi dei biglietti. In breve, commenta il sito indipendente Mada Masr, “è progettato per generare profitti”. Annunciata nel 1992, sotto il regime di Hosni Mubarak, la costruzione del complesso è cominciata solo nel 2005 e ha poi subìto una serie di ritardi e rinvii a causa della primavera araba del 2011, della pandemia, della mancanza di fondi e delle tensioni regionali.

Mada Masr sottolinea che la retorica dietro alla celebrazione in pompa magna voluta dal governo del presidente Abdel Fattah al Sisi non è nuova. A organizzare la festa d’inaugurazione è stata la Saadi gohar, la stessa società di comunicazione che si è occupata della sontuosa parata dell’aprile 2021 al Cairo durante la quale le mummie di ventidue faraoni sono state spostate al Museo nazionale della civiltà egizia. In quell’occasione Catherine Cornet scriveva che i grandi eventi sono “un’espressione di forza” del regime di Al Sisi e s’iscrivono “in una lunga tradizione di leader egiziani che hanno sfruttato il ‘faraonismo’ in un momento di crisi di legittimità”. Mada Masr conferma: “Sembra che questo sia l’unico accordo che sappiamo suonare: abbiamo una storia antica, le nostre radici affondano nelle civiltà del passato; venite a trovarci, incarteremo il vecchio dono in modo nuovo e lo offriremo come uno splendido regalo ”.

Il sito panarabo Reseef22 commenta che l’apertura del museo ha raggiunto tutti i suoi obiettivi, sia esterni sia interni. Per prima cosa ha attirato l’attenzione mediatica del mondo e inoltre è servita a rafforzare la posizione diplomatica dell’Egitto, in un momento in cui il paese si presenta come mediatore del cessate il fuoco nella Striscia di Gaza, insieme al Qatar e agli Stati Uniti. Il messaggio di pace presentato all’inaugurazione s’inserisce in una narrazione promossa dal regime appena ne ha l’occasione, per esempio durante il vertice organizzato a Sharm el Sheikh a ottobre per consolidare il cessate il fuoco a Gaza, quando le strade del paese si sono riempite di cartelloni con il volto di Al Sisi e di Donald Trump e la scritta “Insieme in pace”.

Altrettanto importante era il messaggio interno: secondo Raseef22 “rafforzare l’orgoglio nazionale per il valore della civiltà egizia e sollevare il morale della popolazione”. In questo senso l’evento “non è stato immune dallo sfruttamento politico”, continua il sito, facendo riferimento alle critiche per i “costi esorbitanti” e per il tentativo di “coprire le condizioni politiche ed economiche disperate” del paese. Il sito conclude affermando che il nuovo museo può essere anche un’occasione per chiedere la restituzione di alcune opere conservate all’estero, come la stele di Rosetta, esposta al British museum di Londra, e il busto di Nefertiti, al Neues museum di Berlino.

Questo testo è tratto dalla newsletter Mediorientale.

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