Mercoledì 26 febbraio, verso le sei del pomeriggio, Ana Luiza Hernández Raudelez ha notato che il suo compagno Juan Bautista Silva, 70 anni, aveva appena ricevuto una telefonata. Attivista per il diritto alla terra impegnato da più di vent’anni nella difesa del territorio, Silva si stava preparando a salire sulla sua moto per fotografare le attività di disboscamento illegali vicino a Las Botijas, nel dipartimento di Comayagua, nell’Honduras centrale. Le foto avrebbero dovuto accompagnare una denuncia alle autorità locali.
Quando Silva stava per uscire di casa, Ana gli ha suggerito di portare con sé il figlio Juan Antonio Hernández, 20 anni, perché il suo nuovo cellulare avrebbe scattato delle foto migliori.
Silva ed Hernández si sono incamminati dicendo che sarebbero rientrati entro un paio d’ore. A mezzanotte la famiglia, in preda all’ansia, ha avvisato le autorità che non erano tornati ed è partita un’operazione di ricerca. Il giorno dopo i corpi smembrati dei due uomini sono stati trovati sotto una rupe, vicino a Las Botijas.
A scoprire i cadaveri è stato uno dei figli di Silva. I corpi erano stati fatti a pezzi con una motosega e abbandonati in fondo a un burrone. Le braccia e il busto di Silva non sono mai stati trovati, così come la testa di Hernández.
Questa vicenda raccapricciante è l’ennesimo episodio di violenza nei confronti degli attivisti ambientali in Honduras, un paese che nel 2023 ha raggiunto il primo posto nella classifica mondiale per numero di attivisti uccisi rispetto alla popolazione.
Selvin David Ventura Hernández, uno dei figli di Silva, è convinto che la telefonata ricevuta dal padre, proveniente da un numero sconosciuto, sia il primo indizio per trovare i colpevoli del doppio omicidio. La famiglia delle vittime crede che la persona all’altro capo del telefono si sia spacciata per un pubblico ufficiale. “Mio padre non ci ha fatto molto caso”, racconta Ventura. “E sul momento neanche a noi è sembrata una cosa importante”.
Ora la famiglia vive nella paura. Gli Hernández escono raramente di casa e stanno pensando di trasferirsi. “Uccidendo mio padre pensavano che avrebbero messo fine alle attività contro il disboscamento illegale. Avevano ragione, perché nessuno di noi seguirà il suo esempio”, dice Ventura. “Ma forse non si aspettavano che pretendessimo giustizia. Di sicuro stanno aspettando che l’attenzione diminuisca e che il nostro sistema giudiziario si riveli ancora una volta inadeguato. Ma noi continuiamo a combattere”.
I parenti di Silva raccontano che a marzo del 2020 l’uomo era stato aggredito con un machete, riportando una ferita grave al braccio che lo aveva costretto a restare in ospedale per sei giorni. Inoltre riferiscono che Silva aveva ripetutamente contattato la procura locale per denunciare il disboscamento illegale, ma le autorità lo avevano quasi sempre ignorato.
Dopo il duplice omicidio, l’Istituto honduregno per la tutela forestale (Icf) ha diffuso un comunicato per condannare gli “atti violenti”, descrivendo la morte di Silva e del figlio come “una tragedia” e chiedendo un’indagine adeguata e la protezione “di chi denuncia i crimini ambientali per difendere la natura”.
Nel 2023 l’ong Global witness ha registrato un totale di 196 omicidi e rapimenti di attivisti per l’ambiente in tutto il mondo. L’Honduras era al terzo posto per numero complessivo di omicidi, 18 (alla pari con il Messico), superato solo dal Brasile (25) e dalla Colombia (79). Questo significa che in rapporto al numero di abitanti l’Honduras quell’anno è stato il paese più pericoloso del pianeta per gli attivisti. Diverse ricerche indicano che tra il 2012 e il 2022 in Honduras sono stati uccisi almeno 131 attivisti per la terra e l’ambiente. Solo nel 2016 le vittime erano state 70.
Laura Furones, consulente di Global witness, sottolinea che l’Honduras si distingue come “paese estremamente rischioso” per gli attivisti. Secondo Furones, la presenza di risorse naturali che possono essere sfruttate per scopi agricoli o imprenditoriali è uno dei fattori più rilevanti all’origine delle violenze.
Inoltre il paese ha “una società civile molto attiva” di cui fanno parte anche le organizzazioni delle popolazioni native. In diversi casi “chi prende posizione e cerca di proteggere le terre e le risorse” cade vittima della violenza, così come tutti gli attivisti che sono considerati “un ostacolo per i grandi interessi economici”.
I dati di Global witness ricalcano quelli pubblicati dalle autorità locali. Alla fine di febbraio la Commissione per i diritti umani dell’Honduras (Conadeh) ha rivelato che dal 2022 nel paese sono stati uccisi 35 attivisti per la difesa della terra. Secondo Frank Cruz, coordinatore della Conadeh che si occupa delle comunità indigene e afrodiscendenti, i casi come quello di Silva e del figlio scoraggeranno ulteriormente gli attivisti che vogliono denunciare i crimini ambientali. “Il messaggio è chiaro: non denunciate, altrimenti vi ammazziamo”, dice, convinto che ci siano diversi motivi per cui molti honduregni decidono di non parlare dei reati contro l’ambiente. “Lo stato non ha le risorse per agire”, oltre al fatto che chi vive nelle zone più remote “spesso non conosce i suoi diritti” e non sa di poter chiedere protezione, spiega Cruz. In questo senso, l’impunità sta contribuendo alla normalizzazione della violenza contro gli attivisti.
“Se i colpevoli di questi crimini, omicidi e atti di violenza temessero di essere indagati, incriminati e perseguiti dalle autorità, allora non commetterebbero reati”, spiega Cruz, suggerendo che il governo dovrebbe introdurre misure a medio e lungo termine per “riconquistare la fiducia” delle comunità. “Riducendo l’impunità si riduce la normalizzazione dei crimini. Più le autorità giudiziarie si occupano di queste vicende e più aumenta la consapevolezza della società”.
Mauro Lara, coordinatore dell’Icf che ha lavorato con Silva in una cooperativa forestale, non ha mai registrato formalmente episodi di minacce nella regione in cui operava Silva, ma è sicuro che gli attivisti ne hanno subite molte. “In generale le persone hanno paura di affrontare o denunciare i criminali. In questa regione i responsabili del disboscamento illegale sono molto temuti”, spiega.
Già in passato il governo dell’Honduras è stato criticato per la mancata reazione agli omicidi degli attivisti ambientali. Nell’aprile del 2009 il paese è stato condannato dalla Corte interamericana dei diritti umani per la morte di Blanca Jeannette Kawas Fernández, un’attvista uccisa a febbraio del 1995.
Kawas si era opposta pubblicamente al disboscamento illegale e ai progetti imprenditoriali a Punta Sal, sulla costa settentrionale. Il tribunale ha stabilito che nella sua morte era coinvolto almeno un funzionario statale.
A marzo del 2016 l’omicidio dell’attivista Berta Cáceres ha provocato la rabbia della popolazione. Prima della morte, Cáceres si era opposta alla costruzione di una centrale idroelettrica sul fiume Gualcarque, considerato sacro dalla comunità indigena lenca.
Cáceres, vincitrice del premio Goldman per l’ambiente nel 2015, subiva minacce da tempo. Secondo le indagini sarebbe stata uccisa da alcuni sicari.
A settembre del 2024 l’omicidio di Juan López, un attivista contro lo sfruttamento dell’acqua e del sottosuolo oltre che esponente religioso locale, ha suscitato una condanna internazionale a cui si sono uniti il papa e l’amministrazione Biden.
López stava tornando a casa dalla sua chiesa quando un gruppo di uomini si è accostato alla sua auto e lo ha ucciso. Dal 2018 López combatteva contro un progetto minerario nel parco nazionale Carlos Escaleras, chiamato così in onore di un altro ambientalista honduregno ucciso nell’ottobre del 1997.
A più di un mese dall’omicidio di Silva e del figlio le autorità non hanno ancora realizzato alcun arresto. L’ultimo aggiornamento risale al 19 marzo, quando il capo della polizia Miguel Martínez ha dichiarato che il caso era “nelle mani della procura”, garantendo che le indagini stavano “facendo passi avanti”.
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