Nel suo studio di Losanna, Fabio Villa, psichiatra e psicoterapeuta, ha accompagnato più di 130 pazienti in percorsi di psicoterapia assistita con psichedelici: psilocibina, mdma, lsd. È una possibilità che in Svizzera esiste dal 2014, quando è stato autorizzato l’uso compassionevole di queste sostanze, in caso di sofferenze psichiche come il disturbo post-traumatico da stress (ptsd), la depressione maggiore ricorrente, l’ansia, il disturbo ossessivo-compulsivo. “In psichiatria abbiamo a disposizione degli strumenti relativamente efficaci. Ma capita di rimanere arenati in situazioni in cui la sofferenza è cronica”, spiega.
Anche se gli psichedelici non sono farmaci ufficialmente approvati, il personale medico può fare domanda all’ufficio federale della sanità pubblica. La richiesta è specifica per ogni paziente e riguarda solo persone che risiedono in Svizzera.
Villa si è avvicinato a queste terapie prima di tutto come paziente: “Ho avuto una malattia neurologica importante, oggi parzialmente risolta, e questo mi aveva provocato quella che viene chiamata depressione reattiva, da cui non riuscivo a uscire. La psilocibina – una sostanza psichedelica contenuta in alcuni funghi – mi ha aiutato molto, ha fatto la differenza”.
Dopo aver appreso il metodo usato dall’Ospedale universitario di Ginevra, l’unica struttura ospedaliera a fornire Pap (psicoterapia assistita da psichedelici) in Svizzera, ha iniziato a trattare i suoi pazienti in studio. “Li accompagniamo per diverse sedute di preparazione, gli spieghiamo tutto quello che potrà succedere. Ripercorriamo la loro storia personale e terapeutica, perché durante la seduta con gli psichedelici riaffiorano ricordi e pensieri che possono essere determinanti per la risoluzione di conflitti psichici. Ma di solito questi elementi sono già stati discussi nella preparazione”, spiega Villa.
L’autorizzazione dell’ufficio federale dura un anno per un massimo di sei sedute, ma è rinnovabile. Villa dice che in media un paziente per stare bene ha bisogno di tre o quattro sedute a distanza di un mese o due l’una dall’altra, anche se l’esperienza è molto soggettiva. I risultati positivi vanno da “persone che per vent’anni avevano preso antidepressivi e con qualche seduta riescono a lasciarsi la sofferenza alle spalle”, a miglioramenti “più sfumati e progressivi: una ritrovata speranza per il futuro, una rinuncia all’oggetto della dipendenza”. Oppure, nel caso dell’ansia, “si abbandona la necessità di controllo, si rimugina di meno”.
Villa definisce queste sostanze “una porta aperta”: “Come le si usa e cosa c’è dietro dipende dall’accompagnamento, dal contesto e dalla predisposizione della persona. Sono sostanze molto sicure, non stiamo parlando di una tecnica sperimentale. Io credo che siano un po’ il futuro della salute mentale. Certamente vanno selezionati bene i pazienti. Però sui cento e più che ho seguito, solo due otre non hanno avuto miglioramenti, e per ragioni che abbiamo identificato”, spiega.
Un rinnovato interesse scientifico
Lo scorso 9 luglio è partito a Chieti il primo test clinico in Italia con la psilocibina. Lo studio è coordinato dall’Istituto superiore di sanità e coinvolge sessantotto pazienti con depressione resistente, che non hanno tratto beneficio dai farmaci tradizionali. Secondo Giovanni Martinotti, docente di psichiatria all’università di Chieti e direttore della clinica in cui sarà condotto il test, rappresenta “una grande occasione per la ricerca italiana e per migliorare le cure per la salute mentale”.
In occidente, l’attenzione scientifica per le sostanze psichedeliche ha avuto il suo picco negli anni cinquanta e sessanta, con il proliferare di studi e ricerche promettenti, per poi subire una battuta di arresto e un lungo oblio dagli anni settanta, ai tempi della “guerra alla droga”.
Anche se quello di Chieti è il primo test clinico autorizzato nel nostro paese dall’Agenzia italiana per i farmaci, negli ultimi vent’anni gli studi di questo tipo nel mondo si sono moltiplicati, soprattutto negli Stati Uniti, nel Regno Unito e in Svizzera, sull’onda di quello che è stato definito “rinascimento psichedelico”. È il termine usato per indicare il riacceso interesse della comunità medico-scientifica verso il potenziale terapeutico di sostanze come la psilocibina, l’lsd, l’mdma o la ketamina. Oggi sono considerate una possibile nuova frontiera nel trattamento di molte patologie che coinvolgono la salute mentale: sindrome da stress post-traumatico, ansia da fine vita nei malati terminali, depressione, dipendenza da alcol, ma anche disturbi alimentari.
Uno dei principali centri in Europa è quello fondato dallo scienziato Robin Carhart-Harris all’interno dell’Imperial college di Londra. Carhart-Harris è noto per aver mostrato nel 2016 gli effetti dell’lsd sul cervello umano attraverso le tecniche di neuroimaging, un punto di svolta per la riscoperta scientifica di queste sostanze.
A gennaio del 2024, i progetti sull’impiego di farmaci psichedelici hanno raggiunto il secondo picco più alto di raccolta fondi nella loro storia. Nello stesso anno ha preso il via il primo trial clinico multicentrico europeo sulle terapie assistite con psichedelici (Tap), finanziato dalla Commissione europea. Lo studio si chiama PsyPal e ha l’obiettivo di valutare l’efficacia della psilocibina nel trattamento dell’ansia e della depressione nelle persone affette da patologie come broncopneumopatia cronica ostruttiva, sclerosi multipla, sclerosi laterale amiotrofica e Parkinson atipico.
Il setting giusto
Tra i pionieri della riscoperta degli psichedelici in medicina c’è Peter Gasser, psichiatra svizzero che ha pubblicato il primo studio clinico sulla psicoterapia assistita con l’lsd per il trattamento dell’ansia nei malati terminali.
È a lui che si è rivolto Andrea Siclari, cittadino svizzero con cittadinanza italiana, dopo una diagnosi di cancro al colon metastatico al quarto stadio nel 2019. “Avevo 36 anni, ero nel pieno della mia carriera e avevo tre figli piccoli. Ho fatto l’operazione e poi la chemioterapia per sei mesi. Ero entrato in una crisi esistenziale abbastanza importante”, ricorda.
Siclari ha fatto domanda ed è stato ammesso a partecipare a uno studio clinico sugli stati d’ansia in pazienti con malattie che possono portare alla morte. “Erano previste quattro sedute, il sabato, più o meno a tre mesi di distanza l’una dall’altra. Due con placebo e due con 200 microgrammi di lsd”, racconta.
“Era un setting (l’ambiente delle sedute terapeutiche) molto semplice: uno studio di psicoterapia normalissimo, con uno stereo, una playlist personalizzata e un materasso a terra. Ti trovi lì con una terapeuta. La cosa importante è potersi lasciar andare”, spiega Siclari.
Una possibilità per l’Italia
Andrea Siclari ha deciso di offrire la sua testimonianza all’associazione Luca Coscioni, che da tempo porta avanti una campagna affinché l’Italia “apra alle terapie psichedeliche” e chiede al governo di riconoscere e rendere accessibili queste cure.
Una petizione dell’associazione chiede al ministro della salute di includere gli psichedelici tra le terapie prescrivibili come cure palliative e compassionevoli, cioè terapie ancora sperimentali per tentare il tutto per tutto. In questa direzione è andata la Germania lo scorso 31 luglio, dando il via al primo programma in Europa di uso compassionevole della psilocibina.
“La reazione di medici e psichiatri sul tema spesso è: siamo sicuri che sia legale? È fondamentale spiegare che non si tratta di un atto di disobbedienza civile. Esistono già norme che offrono ai pazienti il diritto di sperare quando tutte le altre terapie hanno fallito”, spiega l’avvocata Claudia Moretti, coordinatrice della campagna dell’associazione Coscioni. “Dal 2017 l’ordinamento italiano tollera in alcune condizioni l’incertezza dell’uso terapeutico di farmaci non ancora approvati. Il principio è offrire al paziente il ‘male minore’”.
Significa che un medico “basandosi su studi scientifici validi, può chiedere al comitato etico competente e all’ufficio centrale del ministero della salute di importare una certa sostanza. Il rischio, nella peggiore delle ipotesi, è una risposta negativa, ma non si commette alcun illecito. Eppure, nonostante le procedure siano chiare, nessuno ha ancora avuto il coraggio di presentare una richiesta ufficiale”.
Considerati i numerosi studi all’estero anche in fase avanzata sulla psilocibina, aggiunge Moretti, “ci sono gli elementi per aggiornare con un decreto ministeriale le tabelle, come è stato fatto a suo tempo con la cannabis, riconoscendone l’uso medico in determinati contesti clinici”.
L’associazione Coscioni è anche tra le promotrici di PsychedeliCare, iniziativa civica europea per un accesso equo, economico, sicuro e legale a terapie assistite da sostanze psichedeliche. Tra le realtà a sostegno c’è Simepsi, la prima società scientifica dedicata alla ricerca, allo sviluppo e all’applicazione della medicina psichedelica in Italia.
Anche nel nostro paese, infatti, negli ultimi anni si parla sempre più spesso di terapie psichedeliche. Sia da un punto di vista divulgativo, per esempio con il podcast Illuminismo psichedelico di Federico di Vita, che da anni si occupa di questi temi; sia in campo scientifico: il 19 settembre a Roma l’associazione legata al podcast annuncerà un corso in terapie assistite con psichedelici, che sarà il primo in Italia di questo tipo rivolto a medici, psichiatri, psicologi e psicoterapeuti e valido per ottenere i crediti Ecm (educazione continua in medicina) per la formazione professionale obbligatoria. A novembre del 2024 si era tenuta la prima conferenza italiana sull’uso clinico delle sostanze psichedeliche, organizzata dall’università di Trento con la collaborazione di Maps e Maps Italia.
Maps è la sigla di Multidisciplinary association for psychedelic studies, un’organizzazione non profit nata nel 1986 negli Stati Uniti che promuove ricerche e sperimentazioni per sviluppare usi terapeutici delle sostanze psichedeliche. La branca italiana è nata di recente, con lo scopo di fare informazione sulle terapie. “Vogliamo comunicare alle persone quali trial sono in atto e dove, quali sono i dati scientifici, quali i rischi. E fare formazione per i professionisti della salute mentale”, spiega la presidente e cofondatrice Michèle Anne Barocchi, ricercatrice italoamericana.
La spinta è nata da un suo incontro negli Stati Uniti con Federico Menapace, ex manager nella Silicon valley andato a lavorare a Maps Usa dopo aver sperimentato dieci anni fa la terapia con gli psichedelici per curare un forte disturbo d’ansia, attacchi di panico e depressione legati a un grave trauma familiare. “A quel punto avevo provato di tutto, non avevo nulla da perdere. Mi ha aiutato tantissimo. Il mio trauma nasceva dal suicidio di mia madre. Ho pensato che se questo tipo di terapia fosse stato disponibile anche per lei, probabilmente le cose sarebbero andate diversamente”, racconta.
Secondo Menapace, alla luce degli studi in atto, delle iniziative di alcuni stati e anche del trial partito a Chieti, in futuro queste sostanze non saranno più un tabù: “Quando ci guarderemo indietro fra quindici anni non potremo credere che per quarant’anni abbiamo considerato criminali degli approcci terapeutici che avrebbero potuto salvare moltissime persone. Certo bisogna fare attenzione, perché sono sostanze molto potenti. Perciò è cruciale che la loro diffusione avvenga in modo controllato e sicuro”.
Internazionale pubblica ogni settimana una pagina di lettere. Ci piacerebbe sapere cosa pensi di questo articolo. Scrivici a: posta@internazionale.it