La marina militare israeliana ha intercettato in acque internazionali la Global sumud flotilla. L’abbordaggio è avvenuto il 1 ottobre intorno alle 19 in acque internazionali a circa 70 miglia nautiche (130 chilometri) da Gaza, con sedici navi israeliane che hanno circondato le imbarcazioni degli attivisti interrompendo le comunicazioni.
Gli attivisti hanno raccontato che prima di essere abbordati hanno ricevuto un’allerta dalla marina israeliana che gli intimava di fermarsi perché si stavano avvicinando a un’area sottoposta al blocco navale.
Secondo il ministro degli esteri italiano Antonio Tajani, i cittadini italiani fermati nella notte tra il 1 e il 2 ottobre saranno trasferiti al porto israeliano di Ashdod e trattenuti in dei centri di detenzione. Potranno scegliere tra espulsione volontaria immediata o detenzione fino al rimpatrio forzato, processo che richiede una decisione giudiziaria entro qualche ora.
Il 2 ottobre il ministero degli esteri israeliano ha dichiarato che gli attivisti di Gaza trattenuti dalla flottiglia sono “sani e salvi”, dopo che i commando della marina li hanno arrestati in mare. Le “procedure di espulsione” verso l’Europa cominceranno nelle prossime ore.
La Spagna ha convocato il massimo rappresentante di Israele a Madrid in risposta all’intercettazione della flottiglia diretta a Gaza. “Oggi ho convocato l’incaricato diplomatico qui a Madrid”, ha dichiarato il ministro degli esteri spagnolo José Manuel Albares all’emittente pubblica Tve, precisando che 65 cittadini spagnoli viaggiano con la flottiglia. Israele ha ritirato il suo ambasciatore a Madrid lo scorso anno, dopo che la Spagna ha riconosciuto lo stato palestinese.
Un’operazione illegale
La flottiglia era composta da 44 imbarcazioni con a bordo cinquecento attivisti di 46 paesi, tra cui l’ambientalista Greta Thunberg e l’ex sindaca di Barcellona Ada Colau. Stava navigando in acque internazionali al limite del blocco navale dichiarato da Israele nelle acque territoriali palestinesi a ridosso della Striscia di Gaza nel 2009. “È illegale attaccare o sequestrare imbarcazioni che trasportano materiale umanitario in acque internazionali in base alla Convenzione delle Nazioni Unite sul diritto del mare (Unclos)”, spiega Francesca De Vittor, ricercatrice in diritto internazionale ed esperta di diritto del mare alla facoltà di giurisprudenza dell’università cattolica di Milano.
Le norme internazionali non escludono la possibilità di “blocchi navali” in una situazione di guerra, ma specificano che fermare chi supera il blocco (cosa che le barche intercettate non hanno fatto) è in ogni caso contrario alle leggi internazionali e in particolare al Manuale di Sanremo, che regola i conflitti armati in mare, perché queste imbarcazioni trasportavano materiale umanitario. Le norme infatti vietano un blocco navale che causi fame e sofferenze alla popolazione civile e proibiscono di prendere di mira missioni umanitarie neutrali.
Acque internazionali, acque territoriali, blocco navale
La parte di mare entro le dodici miglia dalla costa di Gaza è considerata parte delle “acque territoriali palestinesi”, fino alle 24 miglia si tratta di “acque contigue alle acque territoriali palestinesi”, dopo le 24 miglia dalla costa cominciano le “acque internazionali”. Dal 2009 Israele ha dichiarato il blocco navale nelle acque territoriali al largo di Gaza e ne ha comunicato le coordinate all’Imo, l’organizzazione marittima internazionale delle Nazioni Unite.
“Il blocco navale è consentito dal diritto internazionale di guerra. Ma ha delle limitazioni estremamente precise”, spiega Francesca De Vittor. Questi limiti, che discendono dal diritto umanitario consuetudinario, sono raccolte nel Manuale di Sanremo del 1994. All’articolo 102 è scritto che è vietato il blocco navale se ha il solo proposito di affamare la popolazione civile o impedire l’arrivo di beni essenziali alla sopravvivenza della popolazione civile, oppure se il danno provocato dal blocco alla popolazione civile è sproporzionato rispetto agli obiettivi militari.
“Anche ammettendo che il blocco navale israeliano sia legittimo, farlo valere contro le barche che trasportano aiuti umanitari è illegale”, spiega De Vittor. “Qualsiasi abbordaggio di navi che battono una bandiera diversa da quella israeliana e che trasportano materiale per scopi umanitari è contro la legge, anche se dovessero superare le coordinate del blocco imposto. L’attività di queste navi è un semplice esercizio della libertà di navigazione, quindi l’abbordaggio è illegittimo”.
Cosa rischiano gli attivisti
“Quando si superano i limiti imposti dal diritto internazionale, tutto è affidato all’arbitrio e alla forza dei singoli governi. Gli attivisti per ora sono nelle mani di uno stato che non riconosce il diritto internazionale”, spiega De Vittor. “Stiamo parlando di uno stato che sta commettendo un genocidio, che è guidato da un uomo colpito da un mandato di arresto della corte penale internazionale (Cpi) per crimini contro l’umanità. Uno stato a cui la corte internazionale di giustizia e l’assemblea generale delle Nazioni Unite hanno chiesto di ritirarsi dai territori palestinesi, uno stato a cui tre ordinanze della corte penale internazionale chiedono di assicurare l’arrivo di aiuti a Gaza”.
“Nulla di tutto questo è stato rispettato”, continua la giurista. Quando il diritto internazionale non è rispettato, tutto è affidato alla diplomazia internazionale e quindi ai rapporti bilaterali tra gli stati. In passato l’arrivo di aiuti umanitari nella Striscia di Gaza sarebbe stato assicurato con dei corridoi umanitari gestiti dalle stesse Nazioni Unite e dai caschi blu come in altri conflitti del passato, dai Balcani alla Siria, ma in questo caso le iniziative del Consiglio di sicurezza dell’Onu sono state bloccate dal veto degli Stati Uniti.
In una situazione simile diventa centrale la politica estera e il lavoro diplomatico dei singoli paesi. “L’Italia”, conclude De Vittor, “potrebbe fare molte cose dal punto di vista della diplomazia internazionale per fare pressione su Israele: richiamare l’ambasciatore, approvare sanzioni, interrompere i rapporti commerciali o diplomatici”.
- Convenzione delle Nazioni Unite sul diritto del mare (Unclos) Garantisce la libertà di navigazione in alto mare.
- Manuale di San Remo sul diritto internazionale applicabile ai conflitti armati in mare Vieta i blocchi che causano fame o sofferenze sproporzionate e proibisce di prendere di mira missioni umanitarie neutrali.
- Risoluzioni 2720 e 2728 del Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite La prima chiede che sia “consentita, agevolata e resa possibile la consegna immediata, sicura e senza ostacoli degli aiuti umanitari” alla popolazione palestinese; la seconda ripete la richiesta della prima e ne sottolinea l’urgenza.
- Convenzione per la prevenzione e la repressione del crimine di genocidio Include la prevenzione di atti che mettono deliberatamente in pericolo i civili.
- Quarta convenzione di Ginevra Impone l’obbligo di consentire il libero passaggio degli aiuti umanitari e proibisce d’interferire con le operazioni di soccorso e di prendere di mira le infrastrutture civili.
- Statuto di Roma della Corte penale internazionale Elenca tra i crimini su cui la la corte ha giurisdizione “l’uso intenzionale della fame come metodo di guerra nei confronti dei civili, privandoli di beni indispensabili alla loro sopravvivenza, compreso l’ostacolo intenzionale all’invio di aiuti umanitari”.
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