Negli ex mercati generali del quartiere Ostiense, a Roma, è nato un ecosistema fluviale. Ai piedi degli edifici e tra i serbatoi dell’acqua sono cresciuti migliaia di salici, pioppi bianchi e cannucce palustri. I nove ettari di suolo pubblico nel cuore della città sono diventati un’area di grande biodiversità.

I padiglioni del mercato, dove si vendevano all’ingrosso frutta, verdura, pesce, carne e uova, erano stati inaugurati nel 1922 e hanno chiuso nel 2002. Da allora si cerca una soluzione per restituire l’area ai cittadini. I primi scavi, cominciati vent’anni fa e poi interrotti, hanno portato alla luce migliaia di anfore usate per bonificare e coltivare il terreno. La zona è una piana alluvionale, in passato attraversata dal fiume Almone, che sfociava nel Tevere poco più a sud, prima di essere interrato alla fine dell’ottocento. “Roma era piena di canali e corsi d’acqua”, spiega l’ecologo Giuliano Fanelli.

Nella parte a ridosso della ferrovia, sotto il ponte Settimia Spizzichino, è nata una zona umida. “Le zone umide mitigano il clima, filtrano l’inquinamento atmosferico e assorbono le piogge eccessive”, spiega Fanelli. “Ricostruire il patrimonio di acque cancellato dall’urbanizzazione dovrebbe essere un obiettivo strategico del comune di Roma”. Al museo civico di zoologia c’è una collezione di coleotteri che risale all’unità d’Italia. “Da allora in città sono scomparse tutte le specie acquatiche”.

Il progetto

Dopo la chiusura dei mercati generali, nel 2003 il comune ha bandito una gara per realizzare una “città dei giovani” con spazi universitari, culturali e ricreativi. Un gruppo di aziende, guidato dalla Lamaro Appalti del costruttore Claudio Toti, avrebbe dovuto realizzare e gestire il progetto per l’area, data in concessione per sessant’anni a un canone di 165mila euro all’anno. Nel 2006 è stata sottoscritta una convenzione e nel 2009 è stato approvato il progetto definitivo.

Poi sono cominciati i problemi: dopo la crisi dell’edilizia del 2008, Toti ha chiesto di modificare il progetto per recuperare l’investimento previsto, aumentando i costi dei lavori e rimandando l’inizio del periodo di concessione, come ha ricostruito anche l’autorità nazionale anticorruzione (Anac). Dopo anni di negoziati, nel 2022 il gruppo di aziende ha presentato un altro progetto e lo scorso luglio il comune lo ha approvato, definendolo di pubblico interesse.

Il comune, tramite la sua società Risorse per Roma, ha incaricato uno studio legale privato di preparare i documenti necessari per approvare il progetto; lo studio ha fornito assistenza per comunicare con l’Anac e per elaborare gli atti come la delibera dell’assemblea capitolina cha ha approvato il progetto, “comprensiva della parte motivazionale”, si legge nella determina di aggiudicazione dell’incarico del valore di 84mila euro.

Il nuovo progetto prevede più di “3,6 ettari dedicati a cultura, formazione e socialità – tra biblioteca, mediateca, sale per eventi, coworking, aree sportive e un centro di benessere urbano”, si legge in un comunicato stampa del comune. Accanto ai padiglioni restaurati saranno costruiti altri dieci edifici. Sette ospiteranno uno studentato privato da 2.056 posti. Sono previsti anche duemila parcheggi, alcuni interrati e a pagamento. L’operazione sarà finanziata dal fondo immobiliare statunitense Hines con 381 milioni di euro.

Una stanza singola costerà fino a 1.050 euro al mese, secondo il progetto preliminare allegato alla delibera n. 218. Il sindaco ha parlato di “alloggi a prezzi calmierati”, ma si tratta di posti letto in stanze doppie che saranno dati in affitto a 500 euro ciascuno, esclusa iva e ‘servizi ad hoc’. “Di fatto è un albergo, con il vincolo di rimanere uno studentato per i primi dieci anni”, spiega Stefano Barone, di Studenti alla Terza, un’organizzazione studentesca della vicina università Roma Tre.

“Gli studenti non hanno bisogno di parcheggi, ristoranti e palestre. Hanno bisogno di stanze a prezzi accessibili. Si sta speculando sulla loro pelle, altro che interesse pubblico”, dice Barone. A luglio ragazze e ragazzi hanno chiesto un incontro con il sindaco. “Siamo stati ricevuti e rassicurati dagli assessori ai lavori pubblici e all’urbanistica. Poi, però, l’assemblea capitolina ha approvato il progetto così com’era”.

L’assessora ai lavori pubblici Ornella Segnalini mi spiega che sul mercato “l’affitto di un posto letto o di una stanza non include i servizi e spesso nemmeno le utenze. Il canone dello studentato comprende, oltre al posto letto, utenze, wifi, aree comuni e servizi”. Il canone dei posti letto è calmierato, aggiunge, perché è più basso del prezzo di mercato.

Roma, 1 novembre 2025. All’interno degli ex mercati generali. (Simona Pampallona per Internazionale)

“Il riferimento per questo tipo di contratti non può essere il mercato. Deve essere l’accordo territoriale tra il comune e i sindacati, che stabilisce il canone concordato per studenti”, spiega Emiliano Guarneri del Sunia, il sindacato degli inquilini della Cgil. “E c’è l’obbligo di applicare questo canone quando gli immobili hanno una destinazione residenziale”. Lo studentato a Ostiense, invece, sarà classificato probabilmente come turistico-ricettivo, secondo il sindacalista: “Sulle strutture turistiche non si applica la normativa sulle locazioni residenziali, insomma non è chiaro di che tipo di contratti si sta parlando. Chiederemo più informazioni”.

Secondo Segnalini, “l’assemblea capitolina ha comunque formulato uno specifico invito a valutare la possibilità”, a patto di mantenere l’equilibrio finanziario del progetto, “di ridurre l’importo del canone calmierato”. E questa valutazione è in corso. L’assessora aggiunge che il comune sta lavorando per “attivare sinergie istituzionali affinché una quota di questi posti possa rientrare nel sistema pubblico di assegnazione, esattamente come avviene per altre strutture convenzionate”.

Nel piano economico allegato alla delibera si legge che a partire dal 2029 lo studentato frutterebbe ricavi per più di 21 milioni di euro all’anno. Altri ricavi verrebbero dalla locazione di uffici, parcheggi e spazi culturali. Le aree dedicate alla cultura e al tempo libero “saranno accessibili al pubblico ma forniranno spazi comuni e amenities pensate per la parte di studentato (incluse biblioteche, aree studio, a funzioni sportive)”.

“Oltre ad alloggi piccoli, con prezzi più alti del mercato ordinario, e servizi come spazi di coworking, palestra, piscina, lavanderia, wifi e pay tv, gli studentati privati offrono anche la comunità, chiamandola community”, spiega Chiara Davoli, sociologa e assegnista di ricerca all’università di Urbino, che sta studiando questa nuova offerta abitativa. “I contatti e le reti professionali rientrano nei pacchetti all inclusive, insieme alla palestra e alla lavanderia. Abitare la città e vivere la socialità diventa così qualcosa che si compra con un abbonamento, un servizio a pagamento”.

Le preoccupazioni degli abitanti

A settembre Angelo D’Arezzo, un agente immobiliare che abita davanti agli ex mercati generali, ha pubblicato una petizione online scritta con alcuni abitanti, indirizzata al sindaco di Roma Roberto Gualtieri e al presidente dell’ottavo municipio Amedeo Ciaccheri, per chiedere la modifica del progetto e l’inclusione di nuovi servizi per il quartiere. La petizione ha raccolto quasi seicento firme.

I cittadini sono preoccupati dall’assenza di informazioni, dibattito e partecipazione alle decisioni. Ogni lunedì s’incontrano nella parrocchia del quartiere per parlarne e il 28 ottobre hanno tenuto un’assemblea pubblica di fronte agli ex mercati.

Alberto Salice, che vive in zona e ha lavorato negli ex mercati, ha detto: “Questo è uno spazio pubblico, nostro, che il comune amministra. Per decenni i mercati hanno dato un servizio a tutta la città. Ora ci dobbiamo chiedere: che cosa serve a questo quartiere e a noi che ci abitiamo? Forse serve un parco dove possiamo venire d’estate, quando fanno quaranta gradi?”.

Il nuovo progetto prevede cinque grandi piazze che potranno ospitare “feste ed eventi”, si legge nella relazione allegata alla delibera. Ma a giudicare dalle immagini, le piazze sarebbero completamente pavimentate e il verde è confinato in vasi e aiuole ai bordi degli edifici.

“Negli ultimi anni questa zona si è trasformata in maniera impressionante”, ha detto Luciano Bevilacqua dell’associazione culturale Controchiave, una scuola popolare di musica e teatro che organizza corsi nelle scuole del quartiere. “L’università Roma Tre ha cannibalizzato il quartiere, contribuendo a far alzare i prezzi”.

Nel municipio ci sono circa venti richieste di sfratto al mese, sostiene Giulia D’Aguanno, coordinatrice all’agenzia diritti del municipio: “I proprietari di case non rinnovano i contratti d’affitto. Alcuni sono sfrattati, ma molti se ne vanno senza fare rumore”.

Con più di 77mila case popolari di proprietà del comune e della regione Lazio, a Roma la pubblica amministrazione possiede un terzo delle case in affitto, ma le sta vendendo. Molte di quelle in vendita sono a Garbatella, area storicamente popolare di Ostiense, dove dal 2015 gli affitti sono aumentati dell’8,4 per cento.

L’accordo per il nuovo studentato prevede che le stanze siano affittate per dieci mesi all’anno agli studenti e nei due mesi estivi ai turisti. “Questo inciderà su tutta l’area. Diventerà come il centro, solo per turisti”, afferma D’Aguanno. A Trastevere e Testaccio, i quartieri confinanti con Ostiense, non ci sono più sfratti. “Lì il processo di gentrificazione si è concluso”.

Al di là del progetto per gli ex mercati generali, a Ostiense saranno costruite centinaia di case e residenze di lusso. In viale del Caravaggio uno stabile occupato da famiglie in difficoltà e sgomberato nel 2021 diventerà un complesso residenziale con cinque torri. In piazza dei Navigatori è in costruzione un complesso di dodici piani di case di lusso che dovrebbero rappresentare una “foresta abitata”. “Vivere nella natura. Come un grande albero”, si legge sul sito del cantiere.

Il costo del consumo di suolo

L’idea che costruire sia una forma di sviluppo e che lasciar crescere il verde in modo spontaneo sia indice di degrado è molto diffusa: è il riflesso culturale di un’economia basata sull’attività edilizia. Le mappe delle città rappresentano proprio questo: tutto ciò che è costruito sarebbe un “pieno” e tutto il resto un “vuoto”, che dunque può essere riempito. Da un punto di vista ecologico è esattamente il contrario, spiega Fanelli: “Al netto degli abitanti, un edificio è un vuoto mentre un prato, un bosco e un’area umida sono dei pieni”. Sorride, e prosegue: “Gli ecosistemi naturali sono reti di relazioni. Gli alberi sono la punta visibile di un ecosistema fatto di frutti, insetti e microrganismi invisibili. È praticamente impossibile ricreare un ecosistema, non basta piantare degli alberi”, spiega. “Quando la natura fa da sé, l’albero cresce dove trova le condizioni ottimali, non solo per lui ma per tutti gli organismi con cui convive”.

Secondo l’Istituto superiore per la protezione e la ricerca ambientale (Ispra) il costo del consumo di suolo dovuto alla perdita di “servizi ecosistemici”, cioè l’insieme di benefici che otteniamo dagli ecosistemi naturali come il sequestro di CO2 e la regolazione del clima e delle temperature, è di circa 70mila euro per ettaro all’anno. A Roma tra il 2006 e il 2022 la perdita di questi benefici sarebbe costata più di due miliardi di euro, secondo un’elaborazione del comitato Salviamo il paesaggio. Nel 2024 in Italia il consumo di suolo è proseguito al ritmo di 159 metri quadri al minuto.

Roma, 1 novembre 2025. Il ponte Settimia Spizzichino visto dagli ex mercati generali. (Simona Pampallona per Internazionale)

Nel maggio 2023 l’assemblea capitolina ha approvato la costruzione di un nuovo stadio della Roma in un’area di Pietralata che secondo il piano regolatore dovrebbe essere un parco. Anche quest’opera sarebbe di interesse pubblico.

Spesso i comuni non frenano la spinta a costruire perché temono i contenziosi che nascerebbero con i proprietari di aree che vecchi piani regolatori hanno reso edificabili. Tuttavia, l’esito dei contenziosi non è sempre scontato: nel 2017 una sentenza ha dato ragione al comune di Roma, che aveva ridotto le cubature consentite per il progetto sull’ex fiera di Roma, un’altra area pubblica non lontana dagli ex mercati, obbligando l’azienda a risarcire le spese legali.

Altre volte, quando il comune prende le difese dei costruttori, vincono i cittadini. Nel quartiere Trieste-Nemorense un gruppo di residenti ha bloccato la costruzione di due palazzi dopo che il proprietario dell’area, la Green Stone Sicaf, una delle aziende coinvolte nell’inchiesta sull’urbanistica milanese, aveva ottenuto la moltiplicazione della cubatura. In questo caso il comune di Roma si è opposto ai cittadini davanti al consiglio di stato per difendere la legittimità del permesso di costruire.

Il tema è politico, sostiene Veronica Dini, avvocata che si occupa di diritto ambientale e che ha avviato alcune delle cause sui cantieri sotto inchiesta a Milano: “Le amministrazioni pubbliche hanno tutti gli strumenti per difendere il valore ecologico dei loro territori dal rischio cementificazione, soprattutto in tempi di crisi climatica”.

Dini ricorda che la riforma della costituzione del 2022 ha inserito la tutela dell’ambiente, della biodiversità e degli ecosistemi per le future generazioni tra i princìpi costituzionali, specificando che l’iniziativa economica privata è libera, ma non può danneggiare la dignità umana, la salute o l’ambiente: “È il sistema politico ed economico che prova ad aggirare le leggi, costruendo nuove prassi per liberalizzare ulteriormente l’edilizia, per evitare di affrontare il consumo di suolo e continuare a consentire operazioni spesso solo speculative”.

Dini sta seguendo alcuni comitati di cittadini che a Milano, Como ed Empoli si battono contro la costruzione di nuovi stadi, e ha parlato anche con quelli di Pietralata. È sommersa di lavoro: oggi anche ottenere documenti pubblici con una semplice richiesta di accesso agli atti è diventato un’impresa tale per cui si deve ricorrere a un avvocato, racconta.

Un regolamento europeo in vigore dall’agosto 2024 impone agli stati il ripristino degli ecosistemi degradati. “Non si può prescindere da questi princìpi: il verde urbano dev’essere conservato, mantenuto e dal 2031 fatto crescere”, afferma l’avvocata Antonella Puoti, che ha vinto la causa per i cittadini del quartiere Trieste-Nemorense a Roma. “L’iniziativa imprenditoriale è più che lecita, ma bisogna bilanciare gli interessi e augurarsi che prevalgano quelli collettivi. E non si può mascherare come sociale un intervento speculativo”.

Un vero cambiamento

Da dove può partire un vero cambiamento? Secondo gli architetti Lorenzo Romito e Giulia Fiocca, sono le forme di autorganizzazione dei cittadini e della stessa natura che oggi stanno rispondendo alle sfide poste dal cambiamento climatico. Da anni i due architetti esplorano come la natura si riappropria degli spazi abbandonati. “Quando i luoghi sono dimenticati e sfuggono al controllo emerge un’organizzazione spontanea”, spiega Romito, che insieme a Michael Obrist e Sabine Pollak ha curato il padiglione austriaco alla biennale di architettura a Venezia. Ne è nata una mostra, al museo Macro di Roma dall’11 dicembre, che mette a confronto l’autorganizzazione romana con la pianificazione pubblica di Vienna, in Austria, per riflettere sul futuro dell’architettura e delle città.

Vienna ha mantenuto il controllo pubblico della pianificazione urbana. Ma nella capitale austriaca manca la partecipazione che c’è in quella italiana, dove le comunità si riappropriano dei luoghi e del diritto ad abitarli, spiega Romito: “Le azioni che nascono in modo informale nei luoghi da rigenerare sono molto interessanti. Ma l’amministrazione non le fa proprie, non le capisce perché è intrappolata nelle scelte del passato, non comprende il valore della partecipazione, che peraltro riduce i costi per il recupero di edifici e siti naturali”.

Anche secondo Fanelli la cura dei cittadini è più efficiente di una gestione tradizionale del verde, perché crea una consapevolezza diffusa del valore ecologico di aree come quella del lago Bullicante a Roma, al centro di una battaglia dal basso per la sua tutela. Aree come il parco regionale dell’Appia Antica, ma anche i due parchi ai lati della Cristoforo Colombo, un’autostrada urbana non lontana dagli ex mercati generali, esistono perché gli abitanti li hanno salvati dal cemento. Roma è un mosaico di queste lotte, anche piccole, ma importanti.

“La storia di Roma è una storia di espulsione delle classi popolari per liberare parti di città su cui fare profitti”, spiega Giulia Fiocca. “In assenza di politiche abitative, nel secondo dopoguerra chi arrivava a Roma si autorganizzava. In alcuni casi le amministrazioni hanno capito, hanno accolto le istanze dal basso, hanno fatto politiche per la casa, per lo spazio pubblico, per i servizi”. La mostra alla Biennale racconta questa storia. “Le aree verdi protette sono spesso il risultato delle lotte dal basso, sono il punto d’incontro tra bisogni e desideri. E noi siamo parte di questa storia”.

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