Due giorni nella vita di due persone innamorate. Il primo, quando tutto comincia, e l’ultimo, quando ci si lascia. A chi legge, la possibilità di immaginare cosa è successo in mezzo. In questa puntata: Vincent, 33 anni.
Il primo giorno
“Una mattina d’agosto mi alzo e decido che ho pianto abbastanza. Che è il momento di smettere di piangere tutti i giorni per la rottura con il mio ex, l’uomo che ho tradito. È finita, devo rimettermi in sesto, faccio sempre più sport, per sfogarmi delle mie ottanta ore di lavoro settimanale in ospedale. Fitness, sala pesi, nell’ambiente gay si è costretti ad avere un bel corpo, muscoloso, virile, attraente. È un universo narcisistico, molto attento all’aspetto fisico. Se voglio piacere, continuare la mia vita da single, non ho molta scelta. In realtà non cerco nulla, esco poco, ogni tanto conosco qualcuno sulle app di incontri, ma non ho né dei bisogni compulsivi né delle esigenze particolari.
La mia palestra è piccola, scomoda. I muri sono dipinti di nero, ci sono grosse macchine, pochissime donne, molto testosterone e quelli che chiamo le ‘stronzette’: uomini molti concentrati sul loro aspetto, superficiali, senza particolare empatia né voglia di avere un legame. Io voglio sposarmi, avere dei figli. Ho dei sogni da eterosessuale.
Sto lavorando sui tricipiti, ho un peso in mano che avvicino e allontano. Sulla panca di fronte c’è un uomo che parla con un amico. Mi guarda, ho l’impressione che dica al suo amico che gli piaccio. Anche lui è alto e muscoloso, ma se ne va. Dopo l’allenamento faccio una sauna, c’è anche lui e parla dei viaggi che fa: mi immagino che sia un assistente di volo e penso ridendo alla sottocategoria delle ‘stronzette hostess’: uomini che non brillano per la loro fedeltà e che moltiplicano le relazioni tra un aereo e l’altro. Nello spogliatoio mi passa accanto tutto vestito, se ne sta andando, mi chiede il numero di telefono? No, si limita a un ‘beh, buonasera a tutti’, e se ne va.
Per fortuna ci sono le app con la geolocalizzaziome, anche lui ha un account e, sì, mi scrive. Non è un assistente di volo, è un interprete, mi propone di rivederci. Una domenica sera, in un ristorante di pesce con poltrone di velluto rosso e luci soffuse, mi parla di sua madre che è molto malata. Sono medico e la cosa mi tocca, questo lo colpisce a sua volta: le è molto affezionato e per lui è dura, è sconvolto e lo sono anch’io. ‘È la prima volta che un ragazzo che conosco si interessa a queste cose’, si giustifica.
Ripenso alle ‘stronzette’, alla sensazione che quando si è gay, da bambini, si sperimenta sempre una forma di rifiuto. Una vergogna che spinge a chiudersi di fronte all’eteronormatività della società. Il risultato è che poi contiamo solo noi e si sviluppa una forma di egoismo. Si vive in un supermercato del corpo e dei sentimenti. Mentre invece, guardandolo, capisco che si è innamorati il giorno in cui si amano anche i difetti dell’altro.
Mi piace talmente che non voglio passare la notte con lui, non voglio andarci a letto la prima sera, dopo i frutti di mare e la conversazione sul cancro. Ma accetto un ultimo bicchiere a casa sua, di fatto lui non mi lascia altra scelta. Rifiuto di restare per la notte e torno a casa. Durante il tragitto penso che questa storia sarà importante”.
L’ultimo giorno
“‘Non voglio più stare con te’. Sono da mia madre, nel sud della Francia, a vagare sulla ghiaia accanto a un grande cancello di ferro. La frase mi piomba addosso, e anch’io piombo per terra, non capisco, non riesco a dire una parola. Farfuglio che tre giorni prima eravamo in vacanza alle Bahamas. Mi risponde che vuole lasciarmi, che possiamo rimanere ‘amici’. Gli attacco il telefono in faccia, piango per tutto il fine settimana, non riesco a fermarmi, piango con mia madre, con mia sorella, nel treno tornando a casa.
Mi manda un messaggio: ‘Ti amo profondamente’. Lo richiamo e lo aggredisco con violenza: ‘Lassù, tua madre deve vergognarsi di te, ti comporti da stronzo’. Sul marciapiede della stazione mi rendo conto che nell’agitazione ho lasciato la metà delle mie cose sul treno. Non voglio un’amicizia, una versione degradata della nostra relazione. Solo tre giorni prima eravamo ai tropici, a camminare mano nella mano, a comportarci come una coppia. È vero, la nostra relazione è stata caotica fin dall’inizio. Sua madre è morta, ci siamo lasciati otto volte, sempre con lo stesso schema: è insopportabile, me ne vado, ma lui torna dicendo che mi ama, che è triste, che il suo dolore è troppo grande, e mi ci rimetto insieme.
Un giorno, in vacanza su un’altra isola paradisiaca, voglio mettere un suo costume da bagno ma lui rifiuta categoricamente di prestarmelo, s’infastidisce tanto da guardare i biglietti dell’aereo per tornare in Francia prima del previsto. ‘Se vai via non mi rivedrai mai più’, gli dico. Lui resta. Quella volta ai Caraibi va tutto molto bene, ma una notte lui si sveglia alle quattro del mattino. Si muove e sveglia anche me. Mi prende tra le braccia, ma non è come al solito. È pieno di tenerezza, quasi triste, e capisco che mi sta dicendo addio. Sapeva già che sarebbe andato via, ma non sapeva come dirmelo. Sull’aereo di ritorno credo ancora in questa storia, gli dico che lo amo profondamente, che trascorreremo la nostra vita insieme.
Penso che il destino mi abbia messo sulla sua strada per accompagnarlo nel lutto per la madre, per riportarlo alla vita. Mi sono sentito un po’ usato. Dopo mi ha confessato che a volte creava dei litigi apposta per mandarmi via. Da allora, quando lo incontro in palestra, non mi saluta più”.
(Traduzione di Andrea De Ritis)
Amore che vieni, amore che vai è una serie del quotidiano francese Le Monde che racconta il primo e l’ultimo giorno di una storia d’amore. Qui ci sono tutte le puntate.
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