Subito dopo aver giurato da nuova premier del Nepal, il 12 settembre, la giurista Sushila Karki è andata in visita all’ospedale dove sono ricoverati i ragazzi rimasti feriti durante gli scontri con l’esercito della settimana scorsa a Kathmandu. Più chiaro di così il segnale non poteva essere: la generazione Z ha vinto, almeno per ora.
Karki, che ha 73 anni ed è stata presidente della corte suprema, resterà in carica solo sei mesi e non intende candidarsi alle elezioni anticipate del marzo prossimo. Che invece probabilmente vedranno in gara (da favorito) il rapper Balendra Shah, da tutti conosciuto semplicemente come “Balen”. Trentacinque anni, una laurea in ingegneria elettronica, nel 2022 Balen ha vinto le elezioni a sindaco di Kathmandu con slogan e programmi incentrati sulla lotta alla corruzione e all’illegalità. Da indipendente, con una campagna elettorale solo online, ha sbaragliato i leader tradizionali e ora punta al bersaglio grosso.
È anche inneggiando al suo nome che l’8 settembre scorso nella capitale del Nepal è scoppiata la rivolta. La scintilla è stata la decisione del governo di chiudere i social network e i servizi di messaggistica attraverso i quali gli under trenta si scambiavano testi, video e meme sempre più duri contro la corruzione della politica e contro i “vecchi partiti”, che sono sostanzialmente tre: il Congress (storico emulatore centrista dell’omonimo partito indiano), i comunisti marxisti-leninisti (in realtà socialdemocratici o poco più) e i maoisti dell’ex capo guerrigliero Prachanda (anche in questo caso non bisogna farsi ingannare dal nome: quando sono stati al governo i maoisti hanno fatto politiche moderate cercando di attirare capitali esteri).
Con varie alleanze e una buona dose di consociativismo, questi tre partiti dominano la scena politica da quando, nel 2006, è caduta la monarchia. I nomi di palazzo in questi vent’anni sono rimasti sempre gli stessi e quelli non in odore di malversazioni sono pochissimi. In sostanza in Nepal si è creata nel tempo un’élite politico-affaristica che ha escluso il 90 per cento della popolazione dal benessere, in un capitalismo di relazione spesso al di là della legge. Toccando a volte punte grottesche, come quando un ministro dell’interno ha venduto a privati cittadini i visti per gli Stati Uniti che Washington aveva concesso ai profughi provenienti dal Bhutan.
Quella dell’emigrazione è la seconda grande questione del Nepal, accanto alla corruzione. Ogni anno se ne va dal paese quasi l’uno per cento della popolazione maggiorenne, e si tratta in gran parte di giovani. I più poveri vanno a farsi schiavizzare nei paesi del golfo Persico, i meno sfortunati riescono a ottenere un “invito” per lavorare in altri paesi asiatici (Malaysia, Singapore eccetera) e a volte in occidente.
Abituati alle rivolte
Corruzione ed emigrazione hanno creato la miscela che ha portato Balen alla vittoria come sindaco e che negli ultimi tre o quattro anni anni ha fatto montare la protesta antigovernativa su internet. L’ultimo governo dei “vecchi partiti” ha temuto che scoppiasse una rivolta e all’inizio di settembre ha chiuso tutto, da Facebook a WhatsApp, da Instagram a You Tube. Il risultato è stato che la rivolta è scoppiata davvero, alcuni palazzi delle istituzioni sono andati in fiamme e l’esercito ha sparato uccidendo una cinquantina di manifestanti. La moglie di un ex primo ministro è morta nella sua casa, a cui i rivoltosi avevano dato fuoco. Il ministro delle finanze è stato inseguito a bastonate e si è salvato buttandosi nel fiume Bagmati.
Nella paura che la rivolta diventasse una vera rivoluzione (o, per reazione, un colpo di stato dell’esercito), l’establishment ha ceduto. I social media sono stati riattivati ma soprattutto il governo si è dimesso e il presidente della repubblica ha affidato la transizione all’anziana e stimata giurista Karki, lontana da tutti i partiti ma presente nel dibattito pubblico con posizioni molto severe sulla corruzione. Karki è anche una scrittrice: il suo libro più noto è il racconto dei suoi anni in prigione dopo aver partecipato alla sommossa popolare del 1990, quella che vide i partiti democratici uniti contro la monarchia assoluta e impose al re di cedere molti poteri al parlamento.
Il Nepal del resto è abituato alle rivolte e anche ai loro successi. Dopo il 1990 ci fu quella del 2006, quando gli studenti e il ceto medio della capitale scesero in piazza mandando via l’ultimo re e aprendo la capitale agli ex guerriglieri maoisti. Anche i moti del 2025 hanno ottenuto, finora, quello che i manifestanti chiedevano, cioè un cambio di governo ed elezioni anticipate. “Erano anni che la corruzione aveva pervaso tutto, creando una frattura gigantesca tra i pochi dentro il sistema e i tanti rimasti fuori. Censurare internet da un giorno all’altro è stata la cosa più stupida che potessero fare”, spiega Hari, 29 anni, neolaureato in informatica in cerca di una borsa di studio negli Stati Uniti. È anche lui un fan di Balen, ovviamente, e per rendere più chiaro il suo messaggio, lo chiude con i due hashtag simbolo di questi giorni: #gen-Z, cioè i buoni, e #nepokids, cioè i cattivi, favoriti dal sistema nepotistico.
Internazionale pubblica ogni settimana una pagina di lettere. Ci piacerebbe sapere cosa pensi di questo articolo. Scrivici a: posta@internazionale.it