Il 30 ottobre il senato ha approvato in via definitiva la riforma della giustizia con 112 voti a favore, 59 contrari e nove astenuti.
La riforma, proposta dal governo, prevede la separazione delle carriere tra magistrati requirenti (cioè i pubblici ministeri) e giudicanti. Cambia anche la composizione del consiglio superiore della magistratura, che sarà diviso in due organi distinti. Inoltre istituisce un’alta corte disciplinare incaricata di valutare e sanzionare eventuali abusi o negligenze dei magistrati.
La riforma, che modifica sette articoli della costituzione, è stata approvata in parlamento da una larga maggioranza, senza raggiungere però quella dei due terzi (i voti a favore sono stati 243 su quattrocento alla camera, e 112 su duecento al senato). In questi casi l’articolo 138 della costituzione prevede la possibilità di chiedere una consultazione popolare per confermare la decisione del parlamento di fare delle modifiche costituzionali. Il referendum confermativo per questa riforma è stato chiesto sia dalla maggioranza sia dall’opposizione.
La corte di cassazione valuterà le due richieste e, se almeno una sarà approvata, il referendum sarà indetto entro sessanta giorni dalla decisione della corte con un decreto del presidente della repubblica. Probabilmente il referendum si svolgerà nella primavera del 2026.
Secondo i primi sondaggi i sì alla riforma sono in vantaggio sui no, e il 30 per cento degli elettori è indeciso. Nel referendum confermativo non è previsto un quorum, cioè non importa quante persone vanno a votare: per rendere valido il risultato non è necessario che la partecipazione al voto raggiunga una quota stabilita.
Per i sostenitori, spiega il responsabile editoriale di Pagella politica Carlo Canepa intervistato nel podcast Il Mondo, “è una riforma di garanzia”, perché la separazione tra magistrati e pubblici ministeri (pm) “riduce il rischio anche solo percepito di promiscuità tra chi accusa e chi decide”. Inoltre “i promotori usano spesso l’argomento della fiducia”: “Distinguere nettamente i ruoli tra giudici e pm renderebbe più trasparente agli occhi dei cittadini chi fa che cosa, cioè chi esercita l’azione penale (il pubblico ministero) e chi invece emette le sentenze”.
I contrari alla riforma sostengono invece che l’ordinamento italiano ha già una sostanziale separazione delle funzioni e che la riforma non risolve i problemi più gravi della giustizia (i tempi dei processi, l’organizzazione degli uffici, le carenze di personale, gli scarsi investimenti tecnologici). Inoltre, prosegue Canepa, temono che “il nuovo sistema riduca la rappresentatività dei magistrati” nei consigli di autogoverno e “aumenti invece l’influenza della politica”.
I punti principali
- Separazione delle carriere Le carriere di giudice e pubblico ministero saranno distinte. Il magistrato dovrà scegliere all’inizio della sua carriera e in modo definitivo se fare il giudice o il pubblico ministero. La scelta sarà irrevocabile. Oggi con la legge Cartabia tutti i magistrati seguono lo stesso percorso formativo e nei primi dieci anni di carriera possono cambiare funzione una sola volta, passando dal ruolo giudicante a quello requirente o viceversa.
- Consiglio superiore della magistratura (Csm) L’organo di autogoverno della magistratura sarà diviso in due: ce ne sarà uno per la magistratura giudicante e uno per i pubblici ministeri. Entrambi saranno presieduti dal presidente della repubblica, come avviene oggi per il Csm. Ai due consigli spetteranno le decisioni sulle “assunzioni, le assegnazioni, i trasferimenti, le valutazioni di professionalità e i conferimenti di funzioni”, ma non le questioni disciplinari (che finora spettavano al Csm), affidate a una corte separata. I componenti dei due consigli saranno sorteggiati e non più eletti come avviene ora per il Csm. Saranno in parte magistrati (i cosiddetti “togati”) e in parte professori universitari di diritto e avvocati (i “laici”), questi ultimi estratti a sorte da liste di candidati decise dal parlamento.
- Alta corte disciplinare Avrà il compito di giudicare i magistrati in caso di abusi, negligenze e comportamenti che non rispettano la deontologia professionale. Sarà composta da quindici giudici in carica per quattro anni senza possibilità di rinnovo. Tre dei quindici giudici saranno nominati dal presidente della repubblica tra professori universitari di diritto e avvocati con almeno vent’anni di carriera; tre saranno estratti a sorte da un elenco di persone con questi stessi requisiti compilato dal parlamento in seduta comune; sei saranno estratti a sorte fra i magistrati giudicanti e tre fra i pubblici ministeri, in entrambi i casi tra quelli con almeno vent’anni di carriera.
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