I video postati su YouTube da Sedat Peker sono guardati da milioni di turchi. Da settimane questo padrino della malavita turca fa tremare il mondo politico con i suoi filmati, registrati in camere d’albergo di Dubai. “Un cavalletto e una telecamera, ecco cosa vi farà cadere!”, promette il gangster ad alcune delle più potenti figure politiche del paese. Traffico di droga, stupro, omicidi di giornalisti, pestaggi di oppositori e così via: la lista delle sue rivelazioni, che coinvolgono deputati del partito di governo, il Partito giustizia e sviluppo (Akp) del presidente Recep Tayyip Erdoğan, figli di ex ministri e il ministro dell’interno, scatena l’opinione pubblica.

Questa non è la prima bravata sui mezzi d’informazione di Peker, boss mafioso e militante ultranazionalista. Ospite fisso dei penitenziari turchi, Peker non ha digerito il fatto di essere finito in carcere tra il 2013 e il 2014 per un crimine dal quale è stato in seguito prosciolto: un tentativo di rovesciare il governo islamico e conservatore di Erdoğan. Il dossier che lo riguardava, chiamato Ergenekon (il nome dato a una presunta organizzazione clandestina e ultranazionalista in Turchia con possibili legami con le forze armate e di sicurezza del paese), parlava di una cospirazione sostenuta dalle reti del predicatore Fethullah Gülen, ex alleato del presidente turco, con l’obiettivo di liberare il presidente dai suoi oppositori più agguerriti, soprattutto all’interno dell’esercito. Come gli altri imputati, Peker è stato liberato quando Gülen è diventato un oppositore di Erdoğan. Il mafioso da allora ha giurato fedeltà assoluta al capo dello stato e ha portato migliaia di persone ai raduni politici a Rize, la città natale della famiglia di Erdoğan. Dal palco ha minacciato gli intellettuali dell’opposizione, promettendogli di “farsi la doccia con il loro sangue”. Ha inviato decine di fuoristrada e camion pieni di giubbotti antiproiettile, caschi, binocoli e tute mimetiche alle milizie siriane sostenute da Ankara, attirando l’attenzione dei mezzi d’informazione.

All’epoca Peker poteva contare sul sostegno delle autorità. Era stato nominato imprenditore dell’anno e aveva una scorta di poliziotti e guardie del corpo messi a disposizione dal ministero dell’interno.

Ma la sua caduta in disgrazia era vicina. Il padrino doveva fare i conti con dei rivali potenti: Berat Albayrak, genero di Erdoğan ed ex ministro dell’economia, e suo fratello Serhat, grande burattinaio della stampa filogovernativa. E anche Alaattin Çakıcı, un altro celebre baba (padrino), scarcerato nel 2020 su richiesta del Partito dell’azione nazionalista (Mhp, estrema destra), alleato dell’Akp. Dopo aver scoperto di essere indagato, alla fine del 2019 Peker ha scelto la via dell’esilio nei Balcani. Albania, Montenegro, Macedonia, Kosovo: inseguito dalle domande d’estradizione, il mafioso in fuga ha finito la sua corsa a Dubai, negli Emirati Arabi Uniti. Nell’aprile 2021 è arrivato il momento della verità. Una cinquantina dei suoi uomini sono stati arrestati in Turchia. La casa dove vivevano la moglie e le figlie è stata perquisita. Era davvero troppo per il mafioso, che il 6 maggio 2021 ha postato il suo primo filmato, dando il via alla resa dei conti.

Le prime accuse

Per primo ha preso di mira il ministro dell’interno Süleyman Soylu. “Dovevi essere la mia ancora di salvezza”, urla Peker, che accusa “Süleyman dalle mani pulite” di averlo tradito. “Cosa gli è preso? Che mi metta pure sulla lista dell’Interpol. Ma adesso comincia a trattarmi come ‘spazzatura mafiosa’? È impazzito? Non era lui che aveva detto: ‘Io e il presidente ti amiamo molto’?”, chiede Peker mentre denuncia i presunti traffici d’influenze del ministro. Dopo un lungo silenzio Soylu ha respinto le accuse e ha denunciato un complotto straniero, riferendosi alle tensioni tra la Turchia e gli Emirati Arabi Uniti, dov’è rifugiato Peker.

Poi il padrino se l’è presa con una figura molto nota al pubblico turco, che incarna le collusioni ai più alti livelli tra stato, mafia ed estrema destra: Mehmet Ağar. Ex capo della polizia, ministro dell’interno per un breve periodo nel 1996, Ağar nel 2011 è stato condannato a cinque anni per aver “diretto un’organizzazione criminale”. Ne ha scontati solo due. Nei video Peker accusa Ağar di aver insabbiato lo stupro e l’omicidio della giornalista kazaka Yeldana Kaharman, che sarebbe stato commesso da suo figlio, Tolga Ağar, a sua volta deputato dell’Akp. La ragazza è stata trovata morta nella sua casa il 28 marzo 2019, dopo che aveva dichiarato di voler denunciare Tolga Ağar per stupro. Il mafioso afferma inoltre che Mehmet Ağar ha teso una trappola all’uomo d’affari turco-azero Mübariz Mansimov per sottrargli la sua casa al mare di Yalıkavak, nella penisola di Bodrum. Qui, nell’ottobre 2020, Ağar era apparso in posa accanto ad Alaattin Çakıcı, da poco scarcerato, e al colonnello in pensione ed ex ufficiale dei servizi segreti Korkut Eken. Secondo Peker lo stesso Korkut Eken avrebbe organizzato, istigato da Ağar, l’omicidio del giornalista cipriota Kutlu Adalı nel 1996. Per rafforzare le sue accuse, Sedat Peker non esita ad autoaccusarsi, dichiarando di aver proposto ad Ağar di affidare l’omicidio a suo fratello, Atilla.

Per la prima volta dall’inizio delle rivelazioni di Peker, un procuratore ha deciso di reagire e di ascoltare Atilla Peker. Lui ha confermato di essere andato in ricognizione sull’isola insieme a Korkut Eken, senza però passare all’azione, perché il crimine sarebbe stato commesso dopo “da un’altra squadra”. Lasciato in libertà dopo il colloquio, è sotto sorveglianza.

Biografia

1971 Nasce ad Adapazarı, nel nordovest della Turchia.
1998 Accusato di associazione mafiosa, fugge in Romania, ma viene riportato in Turchia e condannato a sette anni e mezzo. Sarà rilasciato dopo meno di un anno.
2019 Dopo una nuova inchiesta, fugge nei Balcani.
maggio 2021 Comincia a pubblicare video su YouTube in cui accusa i politici turchi.


Le rivelazioni di Peker confermano la portata dei conflitti interni all’Akp. Ma descrivono anche un paese dove giustizia, polizia e mezzi d’informazione sono diventati strumenti di una lotta per il potere, alla quale partecipa il mondo del crimine organizzato.

Per il deputato Sezgin Tanrıkulu, del Partito repubblicano del popolo (Chp, opposizione socialdemocratica), “si tratta anche di lotte per spartirsi il bottino, in un sistema nel quale i politici trattengono per sé una quota dei soldi guadagnati dalla mafia in cambio di copertura. E sono somme importanti: solo a Istanbul l’economia informale e illegale genera dieci miliardi di dollari all’anno”.

I filmati del gangster riportano alla mente dei cittadini turchi un passato doloroso, quello degli anni novanta. “In quel periodo, nel contesto della guerra nell’est del paese tra le forze di sicurezza e la guerriglia curda del Pkk, si costituirono delle relazioni pericolose tra crimine organizzato, estrema destra e alcuni settori dello stato. Quest’alleanza è sopravvissuta fino ai giorni nostri, e ha continuato a prosperare sotto l’Akp”, sostiene Tanrıkulu.

Anche se non fornisce le prove delle sue accuse più spettacolari, come l’omicidio del giornalista d’inchiesta Uğur Mumcu, che attribuisce a Mehmet Ağar, o l’esistenza di un traffico di droga tra il Venezuela e la Turchia che secondo lui sarebbe gestito dal figlio dell’ex primo ministro Binali Yıldırım, Sedat Peker si autoincrimina e fornisce dei documenti. Questo gli ha dato una certa credibilità. La risposta giudiziaria alle sue rivelazioni si fa attendere, ma le sue parole hanno già avuto un effetto sull’opinione pubblica, incrinando ancora di più l’immagine dell’Ak Parti (in turco ak significa bianco, puro).

Il 21 maggio, durante una conferenza stampa, un giornalista dell’agenzia di stampa ufficiale Anadolu ha fatto domande a due ministri a proposito delle rivelazioni di Peker. È stato subito licenziato e ora è indagato.

Ma quello che sta succedendo mostra che tra i ranghi dei sostenitori di Erdoğan c’è del malcontento, e forse che la paura denunciata da Peker si sta attenuando. In uno dei suoi filmati parla come uno dei banditi d’onore raccontati dallo scrittore Yaşar Kemal: “Ragazzo, abbi timore dei tuoi genitori, abbi timore del professore, del delinquente di quartiere, della polizia, del tuo comandante, del tuo capo, del tuo superiore, invecchiando abbi timore di dio. La paura, sempre la paura, è con la paura che schiacciate i sogni dei bambini di questo paese!”. ◆ ff

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Questo articolo è uscito sul numero 1416 di Internazionale, a pagina 78. Compra questo numero | Abbonati