Assegnare i mondiali al Qatar è stato un errore. In questi anni sarebbe stato possibile revocare la decisione, soprattutto dopo che le organizzazioni per i diritti umani e i giornalisti hanno fornito le prime prove dei maltrattamenti dei lavoratori nei cantieri per la costruzione degli stadi. Ma la Fifa, la federazione che governa il calcio mondiale, è un’organizzazione corrotta, spinta da interessi commerciali e priva di coscienza morale, e non ha mai neanche preso in considerazione questa possibilità. Forse perché, quand’era il momento, i tifosi non l’hanno messa sufficientemente sotto pressione?
Ormai è inevitabile che i mondiali si svolgano nel deserto del Qatar, ma solo ora i sostenitori del boicottaggio chiedono di non guardarli. E invece la prospettiva va ribaltata: adesso l’importante sarà illuminare con riflettori più potenti che mai gli angoli bui del Qatar; e anche i fallimenti della Fifa, insieme agli scarpini da calcio. In quest’ottica spegnere la tv serve a poco. Certo, gli indici d’ascolto bassi danneggerebbero la Fifa, ma boicottare le partite in tv somiglia più a mettere il broncio che a fare una protesta efficace. Se vogliono ottenere qualcosa per i lavoratori sfruttati in Qatar (e altrove), i gestori dei pub farebbero meglio a proiettare le partite e a tenere in bella vista sul bancone dei contenitori per le offerte ad Amnesty international o a Human rights watch. E i tifosi, se vogliono manifestare contro il modo in cui il Qatar tratta i dissidenti e gli omosessuali, farebbero più danno alla campagna d’immagine dell’emirato se durante le partite della sua nazionale si dessero appuntamento per tenere presidi davanti alle ambasciate del paese in giro per il mondo.
Ben venga l’impegno dei tifosi per i diritti umani, la democrazia e la diversità. Pare che la coscienza critica stia crescendo, altrimenti non si spiega perché non ci sia stata una campagna di boicottaggio simile prima dei mondiali del 2018 in Russia, a quattro anni dall’annessione illegale della Crimea. Certo, forse da allora è cresciuta soprattutto la rabbia contro la Fifa. E il Qatar si presta bene a simboleggiare una commercializzazione fuori controllo del calcio.
In ogni caso è giusto esprimere le proprie critiche e allo stesso tempo seguire i servizi sui mondiali. Perché proprio nel caso di questo campionato sarà molto importante guardare con consapevolezza il lavoro dei giornalisti e osservare le posizioni che prenderanno sportivi e funzionari in Qatar.
In questi giorni le autorità qatariote stanno cercando di imporre ai mezzi d’informazione condizioni inaccettabili. Secondo un articolo del quotidiano britannico The Guardian, per esempio, sarà vietato riprendere gli alloggi dei lavoratori immigrati. E anche gli edifici governativi, le università e la popolazione locale in casa propria. C’è solo da sperare che i giornalisti non si prestino e che rendano palesi e quindi vani i tentativi di censura, facendo informazione in modo professionale. Speriamo inoltre che rivolgano domande scomode: alla Fifa per quanto riguarda il suo ruolo e alla Federcalcio tedesca sui valori che dice di sostenere. Ci crede davvero in quei valori? Dubitarne è lecito, visto che agli ultimi campionati europei il portiere della nazionale tedesca si è presentato con la fascia da capitano nei colori della bandiera arcobaleno. E in Qatar? Meglio di no.
Un mondiale non è mai fatto solo di partite: i servizi da e sul paese ospitante si susseguono per settimane, prima e dopo le partite e anche tra una partita e l’altra. Quest’anno sarà un particolare banco di prova per le tv, ma anche per la Fifa e per il Qatar. E per la Federcalcio tedesca. Bene, teniamoli d’occhio! ◆ sk
Yassin Musharbash è il vicecaporedattore della sezione inchieste della Zeit.
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Questo articolo è uscito sul numero 1487 di Internazionale, a pagina 40. Compra questo numero | Abbonati