◆ Il bosco, la selva, la foresta, sono il confine tra selvatico e civilizzato, il luogo del riparo e insieme delle paure leggendarie, del nascondimento e dello smarrimento. Luogo del meraviglioso e dell’inquietudine. Nella civiltà del consumo si è spesso trasformato in luogo del degrado. Quel che è fuori dallo sguardo è il ricetto degli avanzi, del rottame. Ma quanta potenza mitica in questo intrico di natura, ombre e radici in cui allocare l’inconscio del mondo. Imboscarsi è cercare rifugio nella parte non in luce, sottratta alle regole e alla morale, come se la protezione offerta dalla natura potesse sospendere la legge e le convenzioni. È il luogo degli amori clandestini, dell’eremitaggio, del banditismo, dell’imboscata e della sacralità della natura. Il bosco esprime il molteplice, la biodiversità, dove per bios s’intende la forza primigenia della vita; la forza “che nella verde miccia spinge il fiore”, come recita una poesia di Dylan Thomas, che a questo ambiente ha dedicato la sua opera più ambiziosa: Sotto il bosco di latte . Latte e legno, sostanze in cui la pulsione vitale si afferma al di là dell’etica e delle forme in cui la socialità confina il desiderio. Forse per questo nella recente cronaca si è parlato tanto di una vicenda che mette insieme molti temi, ma che viene riassunta con la formula fiabesca “la famiglia nel bosco”, quasi che a pochi chilometri dalle case con bagno sia ancora possibile trovarci Pollicino.
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Questo articolo è uscito sul numero 1643 di Internazionale, a pagina 16. Compra questo numero | Abbonati





