◆ La piazza smisurata vuota, l’abbraccio del colonnato non ricambiato, la pioggia e le tenebre incombenti. Il pontefice solo, piccola figura bianca, che prova a farsi ponte tra speranza e paura e impartisce una benedizione, concede l’indulgenza plenaria urbi et orbi. Sul grande catafalco il cristo ligneo miracoloso che si salvò dalle fiamme. È vero che la chiesa, in quanto istituzione di potere più longeva della storia, ha una tradizione di organizzazione di spettacoli vecchia più di duemila anni, ma Bergoglio solo nella grande piazza resta l’immagine più forte dell’ora più buia, del senso di angoscia, dell’ombra d’eclissi che avvolse il mondo in quel marzo del 2020. Ora, come nell’immediato dopo Pasqua del 2005, quando il vento sollevò stole e copricapi dei sacerdoti di ogni fede convenuti per un altro funerale papale, quella piazza sarà stracolma, ma il senso di vuoto e di eclissi della ragione, ora che le urbi sono liberate, ma non dall’orbitudine, è, se possibile, ancora più grande, aggravato dalla perdita di una voce che pur non abbracciando tutte e tutti si è posta a difesa della pace e degli ultimi. “Morto un papa se ne fa un altro” mi è sempre sembrata un’espressione crudele come aprile, il mese in cui viene pronunciata, specie nella sua accezione amorosa, perché ci ricorda la nostra completa sostituibilità, tanto quando si è scelti come ponti con un’idea d’immortalità, quanto nella piccola ambizione all’eternità di ogni storia d’amore.
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Questo articolo è uscito sul numero 1611 di Internazionale, a pagina 12. Compra questo numero | Abbonati