L’attesa è durata più di settant’anni. Ora finalmente la storia dei circa dodici milioni di tedeschi cacciati dall’Europa orientale tra il 1944 e il 1948 ha il suo museo nel centro di Berlino. Denominato Dokumentationszentrum Flucht, Vertreibung, Versöhnung (Centro di documentazione della fuga, espulsione, riconciliazione), questo spazio di seimila metri quadrati vicino a Potsdamer platz, che ha accolto i suoi primi visitatori il 23 giugno, non si limita a raccontare un capitolo poco noto della storia del novecento.
Le discussioni che hanno accompagnato la sua nascita caotica testimoniano anche il ruolo ambivalente di questi milioni di deportati nella memoria della seconda guerra mondiale.
Riunificazione e riconciliazione
L’idea di creare questo museo risale al 1999 e si deve a Erika Steinbach, all’epoca deputata cristiano-democratica e presidente della Federazione degli espulsi (BdV), creata nel 1958 per difendere la memoria e gli interessi dei tedeschi che alla fine della guerra avevano dovuto lasciare le loro case nei territori orientali del Reich, in Cecoslovacchia, in Ungheria e nei Balcani.
Fin dall’inizio il progetto ha suscitato numerose polemiche. Nota per essersi opposta, dopo la riunificazione del 1990, al riconoscimento della linea Oder-Neisse come frontiera definitiva tra la Germania e la Polonia, questa deputata conservatrice fu accusata di voler far passare in secondo piano la responsabilità della Germania nei crimini compiuti durante la seconda guerra mondiale, mettendo in avanti le sofferenze dei suoi abitanti cacciati dall’Europa centrale e orientale dopo la sconfitta del Terzo Reich. Nonostante la presenza al suo fianco di Peter Klotz, ex segretario generale del Partito socialdemocratico (Spd) e lui stesso originario dei Sudeti, regione della Cecoslovacchia annessa dalla Germania nazista nel 1938, Steinbach non ottenne il sostegno del cancelliere dell’epoca, Gerhard Schröder (Spd), che non voleva un luogo della memoria come questo a Berlino.
In effetti l’evoluzione politica di Steinbach darà ragione ai suoi detrattori, che avevano diffidato della sua personalità. Dopo essersi energicamente opposta alla politica di ospitalità della cancelliera Angela Merkel durante la crisi dei profughi del 2015, Erika Steinbach finirà per lasciare la Cdu e il Bundestag, il parlamento federale, nel 2017, e da allora presiede la fondazione Desiderius-Erasmus, vicina al partito di estrema destra Alternative für Deutschland (AfD).
Nel frattempo in Germania la situazione era cambiata con l’elezione di Angela Merkel alla fine del 2005. Pochi mesi dopo l’inaugurazione del Memoriale per gli ebrei assassinati d’Europa fra la porta di Brandenburgo e Potsdamer platz, Angela Merkel si era detta favorevole all’idea che ci fosse un “segno visibile” a Berlino per ricordare il destino delle popolazioni espulse alla fine della guerra. Tuttavia la cancelliera ha fatto in modo che il compito non fosse affidato solo alla Federazione degli espulsi e alla sua criticata presidente.
È in questo contesto che è stata creata nel 2008 la fondazione Flucht, Vertreibung, Versöhnung (Fuga, espulsione, riconciliazione), che riunisce diversi deputati, storici e rappresentanti del governo, delle chiese e del Consiglio centrale degli ebrei tedeschi. Al Bundestag i conservatori (Cdu-Csu), l’Spd e i liberali (Fdp) hanno dato il loro consenso. Solo il partito di sinistra Die Linke ha votato contro, mentre i Verdi si sono astenuti.
Ma nonostante questo ampio sostegno parlamentare, il progetto ha continuato a suscitare dei dubbi. Nel 2009 uno storico polacco, interpellato per fornire il suo parere di esperto, se n’è andato sbattendo la porta e lo stesso ha fatto una collega ceca. Nel 2015 si sono dimessi altri cinque membri del consiglio scientifico.
Equilibrio impossibile
Ma dal 2016 e dall’arrivo alla guida della fondazione di Gundula Bavendamm, ex direttrice del Museo degli alleati di Berlino, la situazione sembra più calma.
Situato nell’Anhalter Bahnhof, un’ex stazione berlinese da cui partirono numerosi treni di deportati e che poi, verso la fine della guerra, fu bombardata dagli alleati, il museo è cambiato rispetto al progetto originale.
Su due piani di mostra permanente, solo il secondo è direttamente dedicato ai tedeschi espulsi dall’Europa orientale della fine degli anni quaranta; il primo affronta il tema delle “migrazioni forzate” da un punto di vista più generale e attraverso degli approfondimenti su diversi eventi del novecento che hanno dato vita a espulsioni di massa: la fine della guerra greco-turca del 1919-1922, la guerra civile in Siria scoppiata nel 2011, la partizione che diede vita all’India e al Pakistan nel 1947 o la fuga dei profughi vietnamiti negli anni settanta.
“Questo centro di documentazione parla della fuga e dell’espulsione dei tedeschi, ma anche delle disavventure di molti altri popoli”, ha dichiarato Bavendamm in occasione dell’inaugurazione il 21 giugno. La direttrice riconosce che il suo allestimento si avvicina a un “tentativo di equilibrio impossibile” che ruota intorno alla domanda centrale: “Come raccontare l’esodo e l’espulsione dei tedeschi alla fine della seconda guerra mondiale senza sollevare alcun dubbio sul fatto che la Germania è consapevole della sua responsabilità nei crimini compiuti durante il conflitto e nello sterminio degli ebrei in Europa?”.
“Questo centro è stato oggetto di lunghe e intense discussioni in Germania e in tutta Europa. Non sono state discussioni facili ma è importante che ci siano state”, ha dichiarato Angela Merkel il 21 giugno in un videomessaggio diffuso in occasione dell’inaugurazione. Alla cerimonia hanno partecipato tra gli altri gli ambasciatori di Polonia, Repubblica Ceca e Ungheria, tre paesi in cui il progetto è stato particolarmente criticato.
Erika Steinbach invece, che non fa più parte del comitato della fondazione, non è stata invitata all’inaugurazione, ufficialmente perché le restrizioni legate alla crisi sanitaria hanno costretto gli organizzatori a invitare solo le persone attualmente coinvolte nel progetto. ◆ adr
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Questo articolo è uscito sul numero 1416 di Internazionale, a pagina 86. Compra questo numero | Abbonati