La recente “fronda” di Marsiglia contro le misure imposte dal governo francese per limitare la diffusione del covid-19 non è certo un’eccezione. Anche se la paura della pandemia, che ha ormai provocato più di un milione di morti nel mondo, contribuisce a far rispettare le norme anticontagio, in ogni parte d’Europa spuntano movimenti contro le mascherine e manifestazioni contro i provvedimenti dei governi, considerati liberticidi o incoerenti.
In Germania l’osservanza delle misure adottate dalle autorità resta maggioritaria. A metà settembre la tv pubblica Zdf indicava un tasso d’approvazione del 69 per cento, ovvero nove punti percentuali in più rispetto a metà agosto.
Ma la virulenza del movimento contro le mascherine obbliga il governo di Angela Merkel a stare in guardia. Il 29 agosto l’assalto alla sede del parlamento tentato da alcuni militanti di estrema destra che avevano partecipato a una protesta ha lasciato tutti di sasso. E anche se secondo la Zdf solo il 14 per cento degli intervistati approva queste manifestazioni, il movimento è molto attivo sui social network.
Prima d’imporre nuove restrizioni, Merkel sa che dovrà fare i conti con l’opposizione di alcuni land, in particolare la Sassonia e la Sassonia-Anhalt. I presidenti di questi due stati della Germania orientale, dove il numero di contagi è particolarmente basso, hanno dichiarato il 27 settembre di essere contrari a un inasprimento delle misure.
Nei Paesi Bassi il movimento contro le mascherine ha cercato d’imitare l’esempio tedesco. All’Aja le manifestazioni sono sfociate in scontri con la polizia. In alcuni video diffusi sui social network si sentiva anche una conversazione che evocava l’omicidio del primo ministro Mark Rutte.
Il movimento, però, fatica a strutturarsi: l’estrema destra ha criticato ripetutamente la gestione della pandemia, ma non ha voluto essere coinvolta in queste mobilitazioni, lasciando che fossero i “collettivi di cittadini” a organizzare una protesta che resta piuttosto circoscritta. Il governo olandese oscilla tra la determinazione a limitare una possibile seconda ondata e il rifiuto di un nuovo lockdown. Negli ultimi giorni la curva dei contagi è tornata ai livelli di metà maggio.
In Italia il sistema sanitario è decentralizzato, e sono quindi i presidenti delle regioni a decidere le eventuali misure da adottare. Il governatore della Campania Vincenzo De Luca, appena rieletto, ha reintrodotto l’obbligo d’indossare la mascherina all’aperto, imitato il 27 settembre dal siciliano Nello Musumeci. In alcuni casi queste misure sono state disposte a livello locale, come nel centro di Genova.
Ma queste restrizioni, che sembrano rispondere tanto a criteri sanitari quanto a logiche locali, sono in generale bene accolte dai cittadini, traumatizzati dalla devastazione provocata dall’epidemia in Lombardia a marzo e aprile. E hanno anche portato vantaggi in termini elettorali. Il leader della Lega Matteo Salvini, che ha cercato di raccogliere il consenso degli scettici, sembra aver pagato il suo errore tattico con una netta perdita di popolarità nei sondaggi.
La rivolta dei tory
Nel Regno Unito la buona volontà dei britannici comincia a vacillare. Le recenti restrizioni imposte dal governo (locali pubblici chiusi alle 22, isolamento di migliaia di studenti nei campus universitari, divieto di visite tra famiglie e così via) hanno ridato slancio alle proteste, che ogni martedì radunano migliaia di persone a Trafalgar square, a Londra.
I numerosi voltafaccia del governo di Boris Johnson e il fiasco del sistema di test e tracciamento spiegano in buona parte questa perdita di fiducia nella capacità del governo di gestire l’epidemia. Anche la vicenda di Dominic Cummings, il consigliere di Boris Johnson che si è rifiutato di dimettersi dopo aver violato l’isolamento, ha avuto il suo peso.
E la rivolta cova anche nel Partito conservatore di Johnson. Il 27 settembre Graham Brady, capo del principale gruppo di parlamentari tory, è riuscito a raccogliere 46 deputati favorevoli a un emendamento che avrebbe dato al parlamento il diritto di veto su qualsiasi nuova misura restrittiva decisa dal governo. Lo speaker della camera dei comuni però non ha accettato l’emendamento, e Johnson ha potuto evitare la prima grande sconfitta politica dal suo trionfo alle elezioni generali del dicembre 2019.
In Spagna le ultime misure adottate dalla regione di Madrid sono state accolte molto male. Nei quartieri popolari della zona sud della capitale, dove il tasso d’incidenza è più elevato, gli abitanti possono uscire solo per andare a lavorare, a scuola, dal medico o in caso d’emergenza. In risposta a questa decisione la Federazione regionale delle associazioni di quartiere di Madrid (Fravm) ha indetto una cinquantina di manifestazioni il 24 settembre, e centinaia di persone hanno risposto all’appello per denunciare un “lockdown discriminatorio, ingiusto e inefficace”. Da allora le proteste si susseguono ogni giorno.
Le nuove misure sono rifiutate soprattutto perché non riguardano alcuni quartieri della capitale che presentano un tasso d’infezioni simile. Anche l’incoerenza delle misure – i parchi e i giardini sono stati chiusi, ma non le sale da gioco e i centri scommesse, mentre bar e ristoranti possono restare aperti fino alle 22 – ha alimentato la rabbia degli abitanti, che accusano il governo regionale di chiudere solo i quartieri che non votano a destra.
La contestazione più significativa è venuta dalla stessa regione di Madrid, dove la presidente Isabel Ayuso, del Partito popolare (Pp, di destra) si rifiuta di applicare le raccomandazioni del governo, sostenendo di non voler danneggiare un’economia locale in ginocchio. “Ci aspettano settimane dure. Non è una battaglia ideologica, ma epidemiologica”, ha risposto il ministro della sanità, socialista.
In Romania la strumentalizzazione politica è ancora più esplicita. I socialdemocratici criticano sistematicamente le misure imposte dal governo guidato dal Partito nazional-liberale (Pnl) e sostengono le teorie del complotto che circolano nel paese. Il 19 settembre a Bucarest e in altre città ci sono state manifestazioni contro l’obbligo d’indossare la mascherina.
Tentazione svedese
Quindi è per paura di esasperare l’insofferenza dei cittadini che alcuni paesi, nonostante le cifre allarmanti, rinunciano a imporre nuove restrizioni?
Recentemente il Belgio ha sorpreso tutti annunciando che dal primo ottobre saranno allentate le misure in vigore: fine dell’obbligo d’indossare una mascherina negli spazi pubblici, ampliamento dei contatti sociali ammessi, periodo d’isolamento ridotto da quattordici giorni a sette e così via.
In Polonia, dove i contagi hanno raggiunto i livelli più alti dall’inizio della pandemia, le restrizioni restano comunque molto meno rigide rispetto a prima dell’estate, e l’osservanza dei cittadini è molto vaga. “Il nostro primo ministro e il nostro ministro della sanità sono entrambi economisti, e mi sembra che diano la priorità all’economia”, ha dichiarato la titolare della cattedra di malattie infettive alla facoltà di medicina di Zielona Góra.
Un po’ ovunque sembra farsi strada la tentazione d’imitare l’esempio della Svezia, dove non c’è stato nessun lockdown e dove le scuole non sono state chiuse.
Ma anche qui gli abitanti danno segni d’insofferenza. Soprattutto ora che, con l’aumento dei contagi, il governo ha lasciato intendere che potrebbe imporre delle restrizioni mirate per un periodo di tempo limitato.
Secondo un sondaggio realizzato dall’istituto Ipsos e pubblicato all’inizio di settembre, la fiducia degli svedesi nella capacità del governo di gestire la pandemia è scesa dal 50 per cento di opinioni positive, a maggio, al 36 per cento in agosto.◆ ff
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Questo articolo è uscito sul numero 1378 di Internazionale, a pagina 24. Compra questo numero | Abbonati