La più lunga guerra degli Stati Uniti è finita senza cerimonie: la spazzatura che volava attraverso l’unica pista dell’aeroporto internazionale di Kabul, la gente che si ammassava fuori dei cancelli sperando ancora invano di essere evacuata, i taliban che sparavano raffiche vittoriose nel cielo notturno. Nei suoi ultimi giorni, la guerra è stata due soldati statunitensi che stringevano la mano ai combattenti taliban nel bagliore fioco dello scalo nazionale; file di sfollati affamati e disidratati che s’imbarcavano su aerei grigi che li avrebbero portarli verso un futuro incerto; la leadership dei taliban che dettava le condizioni, mentre una generazione di afgani rifletteva sulla fine di vent’anni di una sorta di speranza dilatata.

Nei suoi ultimi giorni la guerra è stata cavalcavia autostradali e panchine nei parchi di tutti gli Stati Uniti intitolate ai caduti.

Il caotico collasso del governo lascia l’economia in condizioni critiche

La fine, almeno per gli americani e i loro alleati occidentali, è arrivata un lunedì dopo che le migliaia di soldati statunitensi che difendevano l’aeroporto internazionale Hamid Karzai sono volate via a ondate, un pesante aereo da trasporto dopo l’altro fino a quando, nelle ultime ore di una guerra persa, non ne è rimasto nessuno.

A differenza di quella dei sovietici sconfitti prima di loro, l’eredità lasciata degli statunitensi non è stata un paesaggio disseminato di scheletri di veicoli corazzati. Hanno lasciato armi e attrezzature sufficienti a rifornire i vincitori per anni, il risultato di due decenni e 83 miliardi di dollari di addestramento ed equipaggiamento dei militari e delle forze di polizia afgane che sono andati sprecati a causa di una leadership inadeguata e al sempre minore sostegno degli Stati Uniti.

Un nuovo ciclo

L’Afghanistan ha di nuovo completato il ciclo che ha già più volte definito gli ultimi quarant’anni di violenza e sconvolgimenti: per la quinta volta dall’invasione sovietica del 1979, un ordine è crollato e ne è sorto un altro. Quello che è seguito, ogni volta, è stata una spirale di vendette, di regolamenti dei conti e, infine, un altro ciclo di disordini e guerra.

Sta ai taliban, ora, decidere se perpetueranno il ciclo delle vendette, come fecero nel 1996 quando strapparono il potere a un gruppo di signori della guerra in lotta tra loro, o se imboccheranno davvero la strada dell’accoglienza e della riconciliazione che i loro leader hanno promesso nei giorni scorsi.

Sono passati quasi vent’anni da quando Osama bin Laden e Al Qaeda sferrarono gli attacchi terroristici dell’11 settembre 2001 contro gli Stati Uniti e il presidente George W. Bush annunciò che avrebbe invaso l’Afghanistan come primo atto di una guerra globale al terrorismo. Ora gli Stati Uniti devono capire come definire il loro rapporto con gli stessi governanti islamisti che rovesciarono nel 2001 – ancora una volta una questione di vendetta o accettazione – e capire come arginare la recrudescenza di tutte le minacce terroristiche internazionali provenienti dall’Afghanistan.

Ora ci sono meno possibilità di attacchi aerei nelle campagne afgane che lasciano morti senza nome e senza volto, come i dati di un grafico colorato in un rapporto delle Nazioni Unite che pochi leggono. Ora non ci sono bombe sul ciglio delle strade seppellite in fretta e furia nel cuore della notte che potrebbero colpire un veicolo governativo o un minibus pieno di famiglie. C’è piuttosto un’ansia diffusa su quale sarà la vera forma del governo dei taliban adesso che gli statunitensi se ne sono andati. E c’è il timore che il caotico collasso del governo durante l’avanzata dei taliban lasci rovina, fame e un’economia in condizioni irreparabili.

La guerra degli Stati Uniti in Afghanistan si è conclusa rapidamente, o almeno così è sembrato. Ma la sorte del ritiro era stata decisa più di 18 mesi fa, quando l’amministrazione Trump ha firmato un accordo con i taliban in cui s’impegnava a lasciare il paese entro il 1 maggio 2021. In cambio, i taliban hanno accettato di smettere di attaccare gli americani, di porre fine alle stragi di massa degli afgani nelle città e di impedire ad Al Qaeda e ad altri gruppi terroristici di trovare riparo nel paese.

Taliban all’aeroporto di Kabul. Afghanistan, 31 agosto 2021 (Jim H​uylebroek, The New York Times/Contrasto)

Il vantaggio dei taliban, conquistato dopo anni di combattimenti contro le forze armate più avanzate del mondo, si è moltiplicato via via che catturavano gli avamposti e i posti di blocco più remoti, poi i villaggi e i distretti rurali, e infine le strade che li collegavano. All’inizio di quest’anno i taliban si erano già posizionati vicino a diverse città chiave, mentre l’amministrazione Biden, appena insediata, valutava se onorare l’accordo firmato dall’amministrazione Trump.

Quando, in aprile, Biden e la Nato hanno annunciato il ritiro delle forze statunitensi e della coalizione entro l’11 settembre, i taliban stavano già conquistando un distretto dopo l’altro. Le forze di sicurezza afgane si stavano arrendendo o cadevano come mosche. Ben presto anche i capoluoghi di provincia sono finiti sotto assedio, nonostante la presenza delle forze aeree americane e di un esercito afgano che, secondo Biden e altri alti funzionari governativi, era di quasi 300mila uomini. Ma negli ultimi giorni, sempre secondo i funzionari statunitensi, le forze di sicurezza afgane erano ridotte a circa un sesto. Le truppe in molti casi hanno preferito fuggire che combattere, ma i soldati rimasti uccisi in combattimento sono morti per una causa in cui neanche i loro leader sembravano credere.

Anche prima dell’annuncio di Biden e dell’accordo di Trump con i taliban, gli Stati Uniti erano in fase di ritiro, da quando, nel dicembre 2009, il presidente Barack Obama annunciò un aumento di decine di migliaia di soldati ma anche la loro partenza entro il 2014. Da allora gli afgani e gli alleati hanno attraversato vari stadi di allarme e ripensamenti, nel tentativo di mettere al sicuro il proprio futuro e i propri interessi commerciali. Questa incertezza ha rafforzato la corruzione endemica che l’occidente ha sempre denigrato, anche se continuava ad alimentarla con miliardi di dollari nella speranza che le cose potessero in qualche modo cambiare. Ora i politici, gli imprenditori e le élite afgane che si sono nutriti delle casse della guerra sono in gran parte fuggiti. Gli ultimi aerei militari sono partiti, lasciando dietro di sé almeno centomila afgani con diritto di asilo negli Stati Uniti per il lavoro svolto con gli americani.

Esodo apocalittico

L’evacuazione, cominciata a luglio come un ordinato trasferimento di poche migliaia di afgani, si è trasformata in un esodo apocalittico quando Kabul è crollata il 15 agosto. Centinaia e poi migliaia di persone si sono ammassate ai cancelli dell’aeroporto, e le forze statunitensi hanno osservato con le telecamere a infrarossi la folla che abbatteva le loro difese, non con carri armati o esplosivi ma semplicemente con la forza della massa.

L’attacco
Vittime collaterali

Nella notte fra il 30 e il 31 agosto, subito dopo la partenza dell’ultimo aereo militare statunitense dall’aeroporto di Kabul, il cielo della capitale afgana è stato illuminato dai colpi di armi da fuoco sparati dai taliban per festeggiare la fine dell’occupazione straniera. Poche ore dopo il presidente statunitense Joe Biden, parlando alla nazione, è tornato a difendere la decisione di ritirarsi dall’Afghanistan dichiarando finita “l’era delle missioni militari per ricostruire altri paesi” e definendo “un grande successo” le operazioni di evacuazione dei cittadini americani e di parte degli afgani da Kabul. Nel paese sono rimaste molte persone che avrebbero diritto di essere portate in salvo dagli Stati Uniti, e i taliban hanno assicurato che chi ha i documenti necessari potrà partire. Pare che le carte in regola le avessero anche alcune delle vittime dell’attacco sferrato a Kabul da un drone statunitense il 29 agosto contro un uomo dell’Iskp (il ramo locale del gruppo Stato islamico). L’attacco era la risposta all’attentato suicida del 26 agosto fuori dell’aeroporto della capitale rivendicato dall’Iskp, in cui sono morte quasi duecento persone, inclusi 13 militari statunitensi. Il drone, denunciano diversi testimoni, ha ucciso anche una famiglia di dieci persone, tra cui sette bambini, un impiegato di una ong statunitense, Zemari Ahmadi, e un contractor che lavorava per l’esercito americano. Il Pentagono ha aperto un’indagine sul caso. “L’attacco con il drone a Kabul è solo uno di una lunga lista che ha causato molti morti tra i civili”, scrive The Intercept, “e mostra come la guerra potrebbe semplicemente entrare in una nuova fase, in cui gli Stati Uniti colpiscono obiettivi con velivoli decollati da basi lontane. Se in passato le indagini sulle vittime civili delle operazioni militari americane sono state carenti, d’ora in poi sarà ancora più difficile accertare la responsabilità di futuri incidenti”. ◆


Gli americani e i taliban hanno quindi collaborato per liberare l’aeroporto e stabilire un perimetro, dopo che alcuni afgani disperati erano caduti dagli aerei in decollo e mentre gli elicotteri evacuavano l’ambasciata degli Stati Uniti. Si sono viste scene che ricordavano la fine di un’altra guerra generazionale americana, con gli elicotteri che si alzavano sul mare dopo la caduta di Saigon. “Abbiamo con i taliban un rapporto vantaggioso per entrambi”, ha detto senza alcuna ironia un soldato in piedi vicino al mare di persone con in mano cartelli, documenti e passaporti, illuminate nel cuore della notte dalle torce attaccate ai fucili dei soldati americani che gli urlavano di smettere di spingere e tornare indietro. Una persona è rimasta impigliata nel filo spinato ed è stata strappata via dai parenti in preda al panico mentre venivano posate altre bobine d’acciaio.

Fino a un anno fa i taliban erano ombre tra gli alberi, spettri invisibili che trasformavano il terreno di fronte alle truppe in un inferno pieno di mine. Nelle ultime ore della guerra, invece, i taliban si sono materializzati, erano ovunque, con le loro bandiere bianche e nere che orbitavano attorno alle postazioni statunitensi, controllavano la folla, lasciavano che gli americani mettessero fine alla guerra, ma non come avrebbero voluto.

Il compito principale delle forze in campo nelle ultime settimane di guerra non era più uscire in pattuglia, organizzare operazioni antisommossa, proteggere la popolazione o costruire una nazione. I marines hanno invece aiutato chi ha avuto la fortuna di arrivare vicino ai cancelli dell’aeroporto. Ma a volte quelle persone non avevano i documenti giusti, e sono state respinte. In quelle ultime ore gli statunitensi hanno affrontato la perdita di 13 soldati, uccisi da un attacco terroristico dell’Iskp, il ramo locale del gruppo Stato islamico, mentre cercavano di tenere a bada la folla di persone che agitavano i loro documenti. Quasi duecento afgani sono rimasti uccisi nell’attacco, in un’ultima devastante carneficina.

In Qatar, Kuwait, Germania, decine di migliaia di afgani aspettano nei centri di smistamento, scampati al nuovo-vecchio governo dei taliban ma incerti su quando o come potranno arrivare negli Stati Uniti. Gli storici e gli analisti statunitensi ricorderanno le soluzioni sbagliate, le strategie fallite e i generali che davano per certa la vittoria anche se nei briefing ufficiosi e nelle riunioni a porte chiuse ammettevano che gli Stati Uniti stavano perdendo. Forse il popolo chiederà un’assunzione di responsabilità per le migliaia di vite e le migliaia di miliardi di dollari spesi solo per lasciare che i taliban tornassero al potere più forti di vent’anni fa. O forse agli americani non importerà nulla e continueranno a vivere in un paese profondamente plasmato – politicamente ed economicamente – dalla guerra, anche se nessuno se ne accorge.

Intanto quelli che sono rimasti in Afghanistan, un paese di 38 milioni di persone meno le migliaia che sono fuggite o morte nelle ultime settimane, non possono fare altro che guardare avanti, chiedendo a se stessi e a chiunque voglia ascoltarle: e adesso cosa succederà? ◆ bt

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Questo articolo è uscito sul numero 1425 di Internazionale, a pagina 18. Compra questo numero | Abbonati