A Pahalgam, località turistica nel territorio indiano del Jammu e Kashmir, il 22 aprile è cominciato come un giorno qualunque, con una folla di turisti che punteggiavano di colore la valle verde di Baisaran. Ma nel primo pomeriggio 26 persone sono state uccise e 17 sono rimaste ferite in uno dei più gravi attentati mai compiuti nel Kashmir indiano. Intorno alle 14.45 almeno quattro uomini armati in tuta mimetica hanno aperto il fuoco contro i turisti arrivati da diverse parti dell’India per fare trekking nella valle. È l’episodio di violenza con il bilancio più grave dopo gli attacchi del 2019 a Pulwama, nel sud del Kashmir, in cui erano morti quaranta agenti della Central reserve police force (Crpf), rivendicati dall’organizzazione islamista Jaish-e-Mohammed, con base in Pakistan. L’attentato è coinciso con l’arrivo del vicepresidente statunitense JD Vance nel paese, atterrato a New Delhi il 21 aprile. Fatto ancora più rilevante, l’attacco si è verificato pochi giorni dopo un discorso del comandante in capo delle forze armate pachistane, il generale Asim Munir, secondo cui il Kashmir è “la nostra vena giugulare”, che “nessuna potenza al mondo può separare dal Pakistan”. Il 23 aprile New Delhi ha deciso la revoca del programma della Saarc (Associazione per la cooperazione regionale nell’Asia meridionale), che prevede la possibilità per i cittadini pachistani di entrare nel paese senza bisogno di un visto. Quasi tutti quelli che si trovano in India hanno ricevuto l’ordine di partire entro 48 ore.
Il primo ministro indiano Narendra Modi ha poi annunciato la sospensione del Trattato sulle acque dell’Indo e la chiusura con effetto immediato del checkpoint di Attari, al confine tra i due paesi. Modi ha dichiarato che l’India richiamerà i suoi consiglieri per la difesa, la marina e l’aeronautica dalla sua sede diplomatica a Islamabad, precisando che questi incarichi all’interno delle rispettive rappresentanze sono da considerarsi annullati.
A Pahalgam, località solitamente vivace e rumorosa grazie all’afflusso di turisti, pochi giorni dopo l’attentato l’atmosfera è tetra. Nonostante la presenza nella valle di circa duemila persone, tra visitatori e abitanti, al momento dell’attentato le forze di sicurezza e di polizia erano insufficienti o del tutto assenti: un fatto paradossale, considerando che il Kashmir è pesantemente militarizzato. A Pahalgam e in altre città si sono tenute veglie a lume di candela per ricordare le vittime e condannare la violenza. I leader locali hanno espresso grande sconforto, mentre i turisti sono fuggiti in massa. Dopo l’attacco, gli agenti della Crpf e della polizia locale si sono riversati nella zona e hanno interrogato diversi abitanti, seminando il panico. Nel resto dell’India molti studenti kashmiri sono stati aggrediti.
Conflitto decennale
Fin dal 1947 la regione himalayana del Kashmir è stata un punto caldo del conflitto tra India e Pakistan, rivendicata da entrambi i paesi. Dopo la separazione dall’impero britannico e la partizione del 1947, New Delhi e Islamabad hanno combattuto tre guerre per il Kashmir: nel 1948, nel 1965 e nel 1999 (la guerra del 1971 è stata il risultato dell’indipendenza del Bangladesh). Oltre agli scontri diretti, i due paesi, entrambi dotati dell’atomica, sono stati protagonisti di una lunga serie di schermaglie per ottenere il pieno controllo della regione a maggioranza musulmana, attualmente divisa.
Dal 1989 gruppi di ribelli armati si oppongono all’amministrazione indiana del Jammu e Kashmir, declassato da stato a territorio dell’unione indiana nel 2019 per volontà di Modi, che ha anche revocato senza preavviso lo status speciale. Le vittime del conflitto sono migliaia. New Delhi considera i gruppi ribelli organizzazioni terroristiche e sostiene che sopravvivano solo grazie all’appoggio del Pakistan.
Già prima dell’attentato di Pahalgam, negli ultimi mesi si erano verificati diversi episodi di violenza nella zona. Il 12 aprile due miliziani e un soldato delle forze armate sono rimasti uccisi in uno scontro a fuoco nella regione del Jammu. Il 27 marzo almeno quattro agenti di polizia e due sospetti ribelli hanno perso la vita nel corso di una sparatoria. Il 6 febbraio due civili sono stati uccisi, tra cui un camionista raggiunto dai colpi sparati dall’esercito nel distretto di Baramulla. Nel 2024 ci sono stati complessivamente 58 scontri legati alla rivolta armata nel distretto del Jammu, dove stanno emergendo nuove organizzazioni ribelli. Il Fronte per la resistenza (che ha rivendicato l’attentato di Pahalgam), il Fronte popolare antifascista e le Tigri del Kashmir hanno guadagnato terreno dopo la revoca dello status speciale del Kashmir.
Nel settembre 2024, durante una visita nel territorio, Modi ha dichiarato che la ribellione armata nella regione era ormai quasi sgominata, soprattutto grazie alla revoca, nel 2019, dell’articolo 370, che aveva garantito fino ad allora al Jammu e Kashmir lo status speciale. Anche se Modi sostiene di aver portato pace e prosperità nel Kashmir indiano, grazie all’aumento del turismo e all’immigrazione dal resto del paese, negli ultimi mesi nell’unica regione indiana a maggioranza musulmana ci sono stati sintomi evidenti di un incremento della violenza. In realtà il Kashmir è molto lontano dal futuro pacifico promesso e pubblicizzato da Modi e dal suo partito, il Bharatiya Janata Party (Bjp), e gli attacchi del 22 aprile dimostrano quanto sia inefficace la presenza delle forze di sicurezza.
◆ L’attentato del 22 aprile 2025 a Pahalgam, nel territorio del Jammu e Kashmir, in cui sono morte 26 persone, è stato il peggiore degli ultimi 25 anni. A quanto pare gli attentatori hanno chiesto alle vittime di recitare la kalima, la dichiarazione di fede islamica, e hanno ucciso chi non è stato in grado di farlo. Inizialmente l’attacco è stato rivendicato dal Fronte per la resistenza kashmira, una formazione semisconosciuta che secondo New Delhi è legata a Lashkar-e-Taiba, organizzazione terroristica sostenuta dal Pakistan. Ma il gruppo ha poi ritrattato. “La brutalità dell’assalto e la sua risonanza nazionale spingono il primo ministro indiano Narendra Modi a una dimostrazione di forza, senza però scatenare un’escalation incontrollata con il Pakistan, visto che entrambi i paesi sono dotati dell’atomica”, scrive il Guardian. In India crescono le pressioni sul governo Modi perché risponda militarmente all’attentato. Il governo pachistano nega ogni legame con gli attentatori e chiede un’indagine internazionale. “New Delhi ha preso una serie di misure punitive nei confronti del Pakistan senza fare indagini e senza prove del suo coinvolgimento”, scrive il quotidiano pachistano Dawn. “Modi ha parlato di ‘punizione inimmaginabile’ per gli attentatori e chi li sostiene, aumentando i timori di una ritorsione armata contro il Pakistan”, continua il giornale, che sottolinea come le prime misure minacciate da Modi – la sospensione del Trattato sulle acque dell’Indo e un declassamento delle relazioni diplomatiche – aumentino il rischio di una crisi. Il Trattato è considerato un raro successo nella condivisione delle acque transfrontaliere e un esempio di cooperazione tra due vicini ostili. In base al trattato l’India, a monte, riserva al Pakistan più dell’80 per cento delle acque del bacino dell’Indo, essenziali per l’agricoltura del paese. Intanto, lungo il confine indopachistano sull’Himalaya, stabilito nel 1949 da un accordo mediato dalle Nazioni Unite, i due eserciti si stanno scambiando colpi di arma da fuoco. Il 29 aprile il ministro della difesa pachistano Khawaja Asif ha detto che Islamabad è pronta a qualsiasi evenienza e che “i prossimi giorni saranno decisivi”. Nel Kashmir indiano le forze di sicurezza hanno lanciato operazioni su vasta scala, demolendo case con l’uso di esplosivo e arrestando più di mille persone, scrive il Kashmir Times. “I kashmiri temono di essere puniti in massa, e questo rischia di allontanarli ulteriormente da New Delhi”.
Modi ha promesso che l’India punirà “ogni terrorista e ogni sostenitore del terrorismo”, senza però presentare un piano concreto per scongiurare nuovi episodi di violenza. Poche ore prima di una riunione per discutere i fatti di Pahalgam, il partito del Congress, la principale forza d’opposizione, ha chiesto che a presiedere la discussione fosse Modi, invece che il ministro della difesa Rajnath Singh, con l’obiettivo di coinvolgere tutti i partiti in una gestione collettiva della crisi.
La violenza non si è fermata nemmeno mentre si piangevano le vittime di Pahalgam. Il 24 aprile un soldato indiano è stato ucciso in uno scontro a fuoco con i ribelli nel distretto di Udhampur, nel Jammu. ◆ gim
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Questo articolo è uscito sul numero 1612 di Internazionale, a pagina 32. Compra questo numero | Abbonati