Immaginate, se vi riesce, come vi sentireste a dover prendere decisioni da cui dipende la vita di decine di migliaia di persone. Se sbagliate qualcosa o esitate troppo, quelle persone moriranno. Le vostre decisioni influiscono sulla sopravvivenza di centinaia di migliaia di persone perché provocano enormi sconvolgimenti economici, licenziamenti di massa e chiusure di attività. Immaginate di dover agire rapidamente, senza avere la completa certezza che le vostre scelte otterranno i risultati che sperate.
E adesso immaginate che trasformare le vostre decisioni in azioni efficaci dipenda dal sostegno di milioni di persone. Certo, avete il potere di applicare la legge, ma il successo o il fallimento dipendono dalla vostra capacità di convincere la maggior parte della popolazione a seguirvi, anche se questo richiede di cambiare la vita quotidiana in modo improvviso, sconvolgente e inedito.
Questa è la dura realtà che i leader di tutto il mondo hanno dovuto affrontare per rispondere alla pandemia. Da studiosa di leadership, e avendo anche ricoperto posizioni di alto livello nel settore pubblico sotto governi a guida conservatrice e laburista, penso che Jacinda Ardern abbia dato alla maggior parte dei politici occidentali una lezione magistrale su come gestire una crisi.
Per valutare la risposta del sistema sanitario neozelandese, dovremmo ascoltare un epidemiologo come Michael Baker, che ad aprile dichiarava che la Nuova Zelanda stava attuando “il lockdown più deciso e più rigoroso del mondo” e che “dev’essere presa a modello perché è l’unico paese occidentale che ha come obiettivo l’eliminazione” del covid-19. Ma come possiamo valutare la leadership di Ardern rispetto a decisioni così difficili? Un buon punto di partenza potrebbe essere la ricerca di due statunitensi, Jacqueline e Milton Mayfield, sui fattori che rendono efficace la comunicazione di un leader. Secondo i due studiosi, “dare indicazioni”, “creare significati” e “mostrare empatia” sono le tre doti principali che un leader deve avere per motivare i suoi sostenitori a dare il meglio di sé. Per un leader motivare è essenziale, ma spesso lo fa nel modo sbagliato. In genere dà troppe indicazioni e punta poco sugli altri due fattori.
Ardern ha risposto alla pandemia usando tutti e tre i metodi. Invitando i cittadini a “restare a casa per salvare vite umane”, ha dato al contempo significato e scopo alla sua richiesta. Nel riconoscere le difficoltà che comportava restare a casa, ha mostrato empatia per i sacrifici che la misura implicava. L’annuncio del lockdown fatto il 23 marzo è stato un chiaro esempio della sua linea: un discorso preparato con cura, seguito da una lunga sessione di domande dei giornalisti. Al contrario, il primo ministro britannico Boris Johnson ha annunciato il lockdown il 24 marzo con un discorso preregistrato, senza dare possibilità ai giornalisti di fare domande: ha presentato il blocco come una serie di “istruzioni” del governo, mettendo una forte enfasi sulle misure per farlo rispettare. Mentre Ardern fondeva indicazioni, attenzione e significato, Johnson chiedeva soprattutto “rispetto dei divieti”.
L’atteggiamento di Ardern riflette anche quello che Ronald Heifetz, un noto studioso di leadership di Harvard, ritiene fondamentale – ma anche raro e difficile da realizzare – quando si vogliono aiutare le persone ad accettare dei cambiamenti. Ardern ha usato interventi in tv quotidiani e messaggi in diretta su Facebook per inquadrare chiaramente i problemi principali. Ha dato al processo decisionale un’impalcatura trasparente – il sistema di allerta del governo a quattro livelli –, consentendo così alle persone di attribuire un senso a quello che stava succedendo. È importante sottolineare che il sistema di allerta è stato lanciato e spiegato due giorni prima che fosse annunciato il blocco totale, in contrasto con i messaggi talvolta confusi dei leader di paesi come l’Australia e il Regno Unito.
Domande difficili
Anche le ricerche di un altro studioso di leadership, Keith Grint, sottolineano lo stile di Ardern durante la crisi sanitaria. Per Grint, un leader deve convincere la collettività ad assumersi la responsabilità dei problemi di tutti. Ardern ha dedicato gran parte dei discorsi pubblici proprio a questo, e lo ha fatto in modo straordinariamente efficace, dato che ad aprile l’80 per cento della popolazione approvava la sua risposta alla pandemia. Grint sostiene anche che di fronte a problemi complessi e controversi, un leader deve porre domande difficili che sovvertano il solito modo di pensare e agire. È quello che è successo in Nuova Zelanda, come dimostrano le scelte del governo per rispondere alla pandemia, compresa la decisione di passare al lockdown in anticipo rispetto a molti altri paesi.
Naturalmente, non tutto ha funzionato come avrebbe dovuto. È essenziale mantenere un controllo costante e indipendente sull’azione di governo. Ma è da pazzi aspettarsi un leader perfetto, specialmente in circostanze così difficili. Né dovremmo permettere che il “perfetto” diventi nemico del “buono” quando la velocità e l’enorme complessità sono caratteristiche essenziali del contesto decisionale. Sia confrontando le scelte di Ardern con quelle di altri leader occidentali sia valutando il suo operato con parametri che secondo gli esperti definiscono l’eccellenza nella leadership, in quanto neozelandese penso ci sia molto di cui essere grati alla prima ministra per il modo in cui ci ha guidato attraverso questa crisi. ◆ bt
Suze Wilson è un’esperta di leadership e insegna sviluppo manageriale all’università di Massey, in Nuova Zelanda.
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Questo articolo è uscito sul numero 1381 di Internazionale, a pagina 20. Compra questo numero | Abbonati