Il 3 novembre la presidente uscente della Tanzania Samia Suluhu Hassan si è insediata per un nuovo mandato dopo aver vinto le elezioni del 29 ottobre con il 97,66 per cento delle preferenze. Lo dicono i dati ufficiali, che registrano anche un’affluenza all’87 per cento. Il giorno del voto e i due successivi sono stati caratterizzati da proteste particolarmente violente contro il regime, accusato di ricorrere a metodi sempre più autoritari e di aver impedito all’opposizione di partecipare alle elezioni.
La repressione delle forze dell’ordine è stata altrettanto brutale. Il partito di opposizione Chadema denuncia almeno settecento morti, una cifra confermata da fonti diplomatiche sentite dal quotidiano francese Le Monde. Il 5 novembre la missione di osservazione elettorale dell’Unione africana ha fatto sapere che lo scrutinio non ha rispettato gli standard minimi per essere considerato democratico: sono stati riscontrati brogli, sono stati fatti votare cittadini stranieri e l’opposizione è stata gravemente ostacolata, in particolare i partiti Act-Wazalendo e Chadema, il cui leader Tundu Lissu è sotto processo per tradimento.
Durante il voto è stato bloccato l’accesso a internet – una misura spesso usata dai dirigenti africani per impedire ai manifestanti di organizzarsi e fare circolare informazioni – che è stato ripristinato solo dopo sei giorni, il 3 novembre, dopo l’insediamento ufficiale della presidente. La polizia ha però diffidato i tanzaniani dal pubblicare in rete immagini che potrebbero “causare panico”. Un chiaro riferimento a foto e video delle vittime della repressione, come ha spiegato il giornalista italiano Stefano Pancera nella puntata del 7 novembre del podcast Il Mondo.
Speranze infrante
Suluhu Hassan, 65 anni, originaria di Zanzibar, ha preso il potere nel 2021. All’epoca era la vicepresidente e ha assunto l’incarico di capo dello stato dopo che la morte dell’allora presidente John Magufuli, presumibilmente per covid-19, la malattia di cui lui aveva sempre negato l’esistenza. L’arrivo al potere di “Mama Samia” aveva fatto tirare un sospiro di sollievo a molti, visto che Magufuli aveva dato prova di un autoritarismo inflessibile e non aveva esitato a scatenare una brutale violenza contro gli oppositori.
“Dopo il regime autoritario del suo predecessore, l’abbiamo accolta come una riformatrice che credeva e sosteneva la democrazia, lo stato di diritto e la società civile, visto che ha ordinato la liberazione dei prigionieri politici e ha fatto spazio all’opposizione”, ha dichiarato la fondazione del filantropo sudanese Mo Ibrahim, un’organizzazione che premia i migliori leader africani, in una lettera indirizzata a Suluhu Hassan dal titolo “Presidente, non è accettabile”. “Siamo sconcertati dalla piega presa dagli eventi: vietare ai partiti d’opposizione di partecipare alle elezioni, bloccare internet, sparare ai manifestanti, in gran parte giovani. Un’elezione da cui sono esclusi i partiti di opposizione non è libera né legittima, la rabbia che si è riversata nelle strade è comprensibile, e c’era da aspettarsela”, continua la lettera.
Oggi Suluhu Hassan ha infranto le speranze degli inizi e, come scrive il giornale sudafricano Mail & Guardian, ha dimostrato di “essere della stessa pasta dei suoi colleghi maschi del continente”, come il camerunese Paul Biya e l’ugandese Yoweri Museveni. Ma, nota il sito France 24, Suluhu Hassan non è altro che un prodotto del suo partito, il Chama cha mapinduzi (Ccm, Partito della rivoluzione) a cui ha aderito negli anni ottanta.
Il Ccm, nato dalla fusione nel 1977 tra l’Unione nazionale africana del Tanganica del padre della nazione Julius Nyerere e il Partito Afro-Shirazi di Zanzibar, ha guidato il paese da allora, sempre con il pugno di ferro, nonostante l’apertura del paese al multipartitismo negli anni novanta. Tuttora il governo continua a scegliere giudici e i rappresentanti regionali, i mezzi d’informazione sono tenuti a rinnovare periodicamente le licenze, cosa che li mantiene saldamente sotto il controllo dell’esecutivo, mentre le leggi sulla diffamazione e la sedizione sono usate per reprimere critici e oppositori.
Se lo spazio politico è totalmente bloccato, l’unica via di sfogo per la popolazione è scendere in piazza. “Queste proteste storiche sono il culmine di lunghi periodi durante i quali i cittadini tanzaniani non hanno potuto esprimersi liberamente. Riflettono anche il malcontento economico in un contesto di corruzione diffusa”, dice a France 24 Nicodemus Minde, ricercatore dell’Institute for security studies di Nairobi, in Kenya.
Allo stesso tempo, racconta Paul Tiyambe Zeleza sul sito keniano The Elephant, “per molti giovani tanzaniani è stata la prima esperienza diretta della violenza scatenata dallo stato, cosa che ha contribuito a trasformare la loro delusione in sfida. I leader dell’opposizione, imbavagliati negli ambienti della politica tradizionale, hanno trovato un nuovo pubblico sulle piattaforme criptate, dove proliferano i dibattiti sulle riforme, la responsabilità politica e il ricambio generazionale”. Si annuncia quindi una strada in salita per Suluhu Hassan.
Questo testo è tratto dalla newsletter Africana.
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