Celine Celis mostra sul telefono la fotografia del corpo di suo marito, steso sull’asfalto e crivellato di colpi. Lo hanno ucciso nel maggio 2024 a Guayaquil, la città più popolosa dell’Ecuador. Celine, una donna trans venezuelana di 41 anni, sapeva che dopo aver eliminato il marito avrebbero preso di mira anche lei. Pochi giorni dopo è stata picchiata brutalmente davanti alla porta di casa, fino a perdere conoscenza. Quando si è ripresa è fuggita a Quito, la capitale, e poche settimane dopo era a bordo di un aereo diretto a Madrid, in Spagna. Celine ha scelto di scappare perché non voleva aumentare il numero delle persone transessuali uccise in una regione che per loro è la più pericolosa al mondo.
Secondo l’Osservatorio sugli omicidi delle persone trans, il 70 per cento di questi crimini avviene in America Latina: qui tra l’ottobre 2023 e il settembre 2024 sono stati compiuti 255 dei 350 omicidi registrati, con il Brasile a guidare la classifica. Nella maggior parte dei casi le vittime erano donne nere o meticce, spesso lavoratrici del sesso.
Celine è atterrata a Madrid il 30 luglio 2024. Prima di decidere dove andare è rimasta quattro ore in aeroporto, perché in città non conosceva nessuno. A Guayaquil gestiva una tappezzeria insieme al marito. Prima che lui fosse ucciso, erano stati minacciati e perseguitati perché non pagavano la vacuna, una forma di estorsione.
Sulla Spagna Celine aveva sentito sempre la stessa cosa. “Mi dicevano che era un paese più sicuro per le ragazze trans come me, che qui ricevevano molto più sostegno”, racconta nella sede di Transexualia, un’organizzazione che dalla metà degli anni ottanta aiuta le persone transessuali. Da decenni la Spagna è un punto di riferimento per la comunità lgbt+. Nel 2005 il governo di Madrid ha riconosciuto il matrimonio omosessuale e nel 2007 ha approvato una legge che permette alle persone trans di adeguare i documenti alla propria identità di genere. Due anni fa è entrata in vigore la cosiddetta Ley trans, una legge che tutela i diritti delle persone lgbt+.
Nell’ultimo decennio la Spagna ha accolto un numero crescente di persone transessuali, anche a causa dell’eliminazione del visto per i cittadini di paesi come Colombia e Perù. Le autorità non conoscono le reali dimensioni del fenomeno, perché gli immigrati entrano spesso nel paese come turisti. Uno degli avvocati che collabora con Transexualia sulle questioni internazionali conferma un netto incremento. “Tutte le settimane arrivano ragazze all’aeroporto di Barajas”, spiega.
Anche i registri dell’organizzazione attestano questa evoluzione. Delle 342 partecipanti ai programmi e alle attività di Transexualia, metà provengono dal Perù, dall’Ecuador, dalla Colombia e dal Venezuela. Le cifre del ministero dell’interno indicano che il 10 per cento delle richieste di protezione internazionale depositate proviene da vittime di abusi dovuti all’orientamento sessuale e all’identità di genere (dunque non solo persone trans), mentre più dell’80 per cento delle richieste d’asilo (che nel 2024 hanno raggiunto la cifra record di 167mila) è presentato da immigrati provenienti dall’America Latina.
Senza documenti
Ma il problema non riguarda solo questa parte del continente. Dal ritorno di Donald Trump alla Casa Bianca è aumentato anche il numero di donne che negli Stati Uniti si rivolgono ad avvocati e associazioni per lasciare il paese, conferma un avvocato spagnolo che fa parte di una rete di assistenza legale. La Spagna è spesso una delle destinazioni possibili.
Questa terra promessa, in realtà, non è la soluzione a tutto. Per mesi Celine ha provato a ottenere un appuntamento per presentare la richiesta d’asilo, ma nessuno ha mai risposto alle sue telefonate. In Spagna il sistema di protezione internazionale è al collasso e non riesce a gestire tutte le pratiche.
Fino a quando non riescono a formalizzare la loro richiesta, le persone restano senza documenti, costrette a un’esistenza clandestina. Celine ha cercato un lavoro in nero come parrucchiera o collaboratrice domestica, ma lo stigma nei confronti delle donne trans è ancora forte. Alla fine ha seguito il consiglio di altre persone trans, ed è andata nel quartiere Marconi, a sud della capitale, famoso centro della prostituzione.
Daniela Gómez è arrivata dalla Colombia. Quando è atterrata, il 7 dicembre 2024, sapeva cosa la aspettava. “Non voglio mentire e dire che sono venuta per lavorare come cameriera. Sapevo che avrei fatto la prostituta, ma speravo di vivere bene”, racconta. Oggi riesce a malapena a pagare una stanza in un appartamento condiviso con altre due persone, versando 250 euro alla settimana. Gómez vive e lavora lì, dove c’è spazio solo per il letto. Trova i clienti online, pubblicando annunci nei siti più frequentati.
Per quanto la sua situazione sia drammatica, Gómez è stata più fortunata di altre. Wilson Castañeda, direttore di Caribe afirmativo, un’associazione che difende i diritti delle persone lgbt+ in Colombia, spiega che molte donne trans decidono autonomamente di emigrare in Spagna, ma “per realizzare questo sogno si affidano a una serie di intermediari. Una volta arrivate in territorio spagnolo, devono pagare il pizzo a organizzazioni criminali che spesso sono legate al traffico di droga e di esseri umani”.
In alcuni casi nemmeno ottenere uno status legale basta a fermare gli abusi. Jade Duarte, una donna trans proveniente dal Guatemala, è atterrata a Madrid il 1 aprile 2019 e ha chiesto asilo immediatamente, perché nel suo paese era stata aggredita ma non poteva denunciarlo a causa di una legge ostile nei confronti della popolazione lgbt+.
La Spagna le ha dato la protezione che cercava, ma sui documenti c’è il suo dead name, il nome precedente alla transizione, con cui lei non si identifica. Questo nome compare anche sulla sua carta d’identità. Dovrebbe incontrare un funzionario per risolvere il problema. “Aspetto da sei anni”, racconta. ◆ as
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Questo articolo è uscito sul numero 1618 di Internazionale, a pagina 34. Compra questo numero | Abbonati