Da quando nel 2024 Narendra Modi è stato rieletto primo ministro dell’India e Donald Trump presidente degli Stati Uniti, ci si aspetta un maggiore allineamento tra i due paesi, nonostante le probabili frizioni in campo commerciale. Le dichiarazioni di New Delhi sull’“autonomia strategica” e la sua dura reazione alle critiche ricevute sui diritti umani troveranno meno ostilità a Wash­ington. Ma sulla scena internazionale Stati Uniti e India si stanno allontanando. Mentre Washington si ritira dagli organismi multilaterali, New Delhi cerca per sé nuove responsabilità. Con l’aumento della sua influenza nel mondo, l’India potrebbe allinearsi alla Cina, alla Russia e ad altri paesi autoritari negli organismi multilaterali, con l’obiettivo di indebolire gli standard internazionali sui diritti umani. Mentre gli sforzi di Pechino per erodere le norme in istituzioni come il Consiglio dei diritti umani delle Nazioni Unite sono stati ben documentati, quelli dell’India no. Eppure si è unita alla Cina e alla Russia per impedire l’accreditamento delle ong all’Onu. Nel 2023 si è opposta, insieme a Pechino e Mosca, a una risoluzione Onu che condannava le violazioni dei diritti umani in Iran.

L’India ha sempre sostenuto i diritti umani negli organismi multilaterali. Ai tempi di Jawaharlal Nehru, primo capo di governo dopo l’indipendenza, il paese s’impegnò a favore del movimento contro l’apartheid in Sudafrica e delle lotte anticoloniali in tutto il sud del mondo. Quando i paesi occidentali proposero risoluzioni all’Onu per definire terroristici quei movimenti, l’India votò contro, esortando invece a considerare le cause profonde della violenza e a distinguere i combattenti per la libertà dai terroristi. E ha proseguito su questa linea per decenni. Nel 1988, per esempio, fu il primo paese non arabo a riconoscere formalmente lo stato palestinese. Tutto questo è cambiato con l’emergere della militanza armata in Kashmir negli anni novanta. Alla Conferenza mondiale sui diritti umani di Ginevra del 1993 l’India si prese il merito di aver eliminato per la prima volta dalla dichiarazione finale la distinzione tra terrorismo e lotte per l’autodeterminazione. Dopo l’11 settembre 2001 New Delhi ha sostenuto gli sforzi di Washington per costruire una nuova architettura globale contro il terrorismo, usandola per puntare il dito contro il Pakistan, suo storico rivale, e giustificare le dure politiche antiterrorismo nazionali. In nome di queste politiche, in India come in altri paesi, sono stati detenuti arbitrariamente attivisti per i diritti umani e migliaia di organizzazioni della società civile indiana hanno perso l’accesso ai fondi stranieri. New Delhi ha detto di voler semplicemente adeguare le sue leggi agli standard internazionali.

Si è proposta come leader nella lotta al terrorismo, mentre il governo di Modi estende l’uso delle leggi sul terrorismo contro chi lo critica. L’India è prima al mondo per la frequenza con cui blocca l’accesso a internet per motivi di sicurezza, e chiede regolarmente ai social media di bloccare gli account degli utenti che criticano il governo, definiti terroristi. All’Onu New Delhi si è astenuta da una risoluzione del Consiglio di sicurezza che prevedeva esenzioni umanitarie per le sanzioni, giustificandosi con il fatto che i gruppi terroristici dell’Asia meridionale si spacciano “per organizzazioni umanitarie e della società civile proprio per eludere le sanzioni”. Obiezioni simili hanno come bersaglio principale il Pakistan, ma stabiliscono norme applicate universalmente.

Infrastrutture digitali

L’influenza dell’India nell’erosione dei diritti umani potrebbe raggiungere il suo massimo nella regolamentazione delle tecnologie digitali. È un settore in cui è diventata una voce importante. Ha sostenuto con forza la “sovranità dei dati”, cioè il fatto che multinazionali private come Alphabet devono conservare i dati che raccolgono esclusivamente all’interno del territorio in cui sono generati. Negli organismi multilaterali l’India si è allineata a Cina e Russia nel sostenere la localizzazione dei dati per motivi di sicurezza nazionale. I difensori dei diritti temono che i governi autoritari insistano tanto sulla localizzazione dei dati per poter sorvegliare più facilmente i cittadini e colpire le voci critiche. All’assemblea generale e al consiglio per i diritti umani dell’Onu, l’India si è rifiutata di sostenere molte risoluzioni, tra cui quelle sulla privacy, sulla sorveglianza digitale, sulla libertà di riunione pacifica e di associazione online e sui diritti umani digitali per i giornalisti, i difensori dei diritti umani, la società civile e le donne.

Particolarmente preoccupante è il ruolo dell’India in materia di infrastrutture pubbliche digitali (dpi). L’India stack, per esempio, è stato rapidamente sviluppato per essere usato in molti campi, dai pagamenti digitali alla verifica dell’identità e alla gestione dei dati. L’India stack è diventato un modello globale celebrato all’Onu e al G20. New Delhi vuole che i paesi del sud globale l’adottino e ha firmato accordi con diversi paesi per sviluppare le loro infrastrutture pubbliche digitali. Le dpi indiane, però, sono state criticate per le loro carenze in materia di privacy e sicurezza dei dati, e per le barriere all’accesso ai servizi.

La crescente leadership globale dell’India sull’antiterrorismo e nelle infrastrutture digitali coincide con un cambiamento culturale nella sua politica estera. Le ambasciate indiane ospitano o sponsorizzano sempre più spesso eventi incentrati sull’induismo, compresi quelli organizzati da gruppi suprematisti indù. Per Modi, poi, una politica estera muscolare e aggressiva è fondamentale per rafforzare l’immagine interna che cerca di coltivare. In risposta alle accuse di aver architettato omicidi mirati di oppositori all’estero, il premier ha dichiarato: “Questo è Modi, questa è la nuova India. La nuova India entra in casa vostra per uccidervi”.

Le elezioni del 2024, in cui il partito di Modi ha perso terreno, dimostrano che, nonostante i molti ostacoli, l’India continua a essere una democrazia vivace. Questo però non deve far dimenticare il fatto che il governo indiano resta sostanzialmente illiberale e i suoi interessi sono più strettamente allineati con le potenze autoritarie. ◆ gim

Ria Chakrabarty è direttrice politica di Hindus for human rights, un’organizzazione non profit con sede negli Stati Uniti.

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Questo articolo è uscito sul numero 1610 di Internazionale, a pagina 30. Compra questo numero | Abbonati