Con il voto del 15 e 16 maggio 2021 sono stato scelto insieme ad altri 154 cittadini cileni per far parte dell’assemblea costituente. Festeggiai diciannove anni due settimane prima del referendum che rovesciò il governo del generale Augusto Pinochet, nell’ottobre 1988. In quei giorni la cosa che m’importava di più al mondo era mettere fine alla sua tirannia. Sono diventato adulto con l’idea che il paradiso si chiamasse democrazia. All’epoca la immaginavamo cantando, bevendo e fumando nei parchi.
Tutti noi democratici eravamo schierati con la Concertación (la coalizione di centrosinistra nata dopo la fine della dittatura). La destra, i pinochetisti, si muovevano all’interno di un altro pianeta. Volevano l’impensabile: che continuasse la dittatura. Oggi ci sembra assurdo (all’epoca lo pensavo anch’io), ma il presidente Patricio Aylwin, il primo dopo la fine del regime militare, disse una cosa molto vera: che in Cile doveva esserci posto per tutti, noi e loro. In quel momento avremmo voluto che quella maledizione scomparisse. Ma le maledizioni non scompaiono. Semplicemente si trasformano. Sono sicuro che chi sostenne il colpo di stato nel 1973 oggi lo appoggerebbe di nuovo, e che chi avrebbe ucciso per i suoi sogni ci riproverebbe. Ognuno in modo diverso e per ragioni apparentemente diverse. Alcuni vanno pazzi per l’ordine, altri per i cambiamenti.
Salvo eccezioni, la mia generazione si è disinteressata della cosa pubblica. Quelli che non l’hanno fatto sono stati troppo ubbidienti. I loro genitori erano eroi a cui non si poteva mancare di rispetto, ma affinché la storia progredisca bisogna mancare di rispetto. Tutti gli altri, me compreso, consideravano lo stato e i suoi dintorni un territorio da sottomessi. La cosa pubblica non lasciava spazio per comportamenti sfrenati di nessun tipo, e la mia generazione era stufa dei controlli. A essere sinceri, l’individualismo e l’“ognuno per sé” fu anche la risposta della maggioranza a una stanchezza di diversi colori. Facemmo nostro il neoliberismo ereditato per ragioni molto diverse: per me e i miei amici significò adottare una certa anarchia culturale, una ricerca senza frontiere, mentre per altri fu un invito ad arricchirsi. E così abbiamo perso di vista ciò che riguardava tutta la comunità.
Scommessa repubblicana
È dovuta crescere un’altra generazione, nata proprio nell’anno del referendum su Pinochet, affinché la crescita economica (il pil quintuplicò) cominciasse a mettere in discussione ciò che è stato costruito nei decenni di democrazia neoliberista. Prima con le manifestazioni dei liceali, il cosiddetto pingüinazo nel 2006, poi con gli universitari nel 2011. Con loro sono tornate le mobilitazioni sociali disinnescate dal grande accordo politico che mise fine alla dittatura. E a loro si sono uniti i movimenti ambientalisti contro la HidroAysén (un progetto di centrali idroelettriche in Patagonia), le manifestazioni contro il sistema pensionistico, l’attivismo femminista e la lotta contro il patriarcato. Intanto il potere restava nelle mani dei partiti politici e dei dirigenti di sempre, e la ricchezza era concentrata in pochissime mani.
Parallelamente le comunicazioni vivevano in tutto il mondo la più grande trasformazione tecnologica della storia. Nel 1991 l’informatico Berners Lee creò il primo sito web, nel 1998 nacque il motore di ricerca Google, anche se a The Clinic, la rivista che ho fondato quell’anno, non avevamo internet e progettavamo le pagine sul cartone, con immagini ritagliate da altri giornali di carta. Nel 2002 comparve LinkedIn, il primo social network, e nel 2003 il Blackberry, il primo smartphone a diffondersi tra la gente. A metà del 2020 le connessioni fisse a internet sul territorio cileno superavano i tre milioni e mezzo e i cellulari 4g erano cinque volte di più. Ancora oggi molti cileni non hanno accesso a internet, ma mai tante persone hanno condiviso dati, notizie e conoscenze nello stesso tempo.
La rivolta sociale scoppiata in Cile nell’ottobre 2019, guidata dagli studenti dopo la decisione del governo di aumentare di 30 pesos il prezzo del biglietto della metropolitana, ha portato in piazza quei mondi, quelle culture, quelle identità, quelle frustrazioni e quelle realtà sorte e ignorate dal potere in trent’anni di democrazia. Secondo Cecilia Morel, moglie del presidente Sebastián Piñera, sembravano “alieni”. La verità è che in diversi luoghi del mondo le organizzazioni politiche sono in crisi. Come ha scritto Ivan Krastev, politologo e intellettuale bulgaro, “negli ultimi dieci anni in più di novanta paesi in tutto il mondo ci sono state importanti proteste di massa. Milioni di persone sono riuscite a organizzare numerose iniziative a lungo termine al di fuori dei partiti politici e con una certa sfiducia verso i mezzi d’informazione, con pochi leader visibili ed evitando quasi sempre l’organizzazione formale”.
Il 15 e 16 maggio pochi elettori hanno votato per i partiti tradizionali di destra e di centrosinistra. La regola della parità di genere tra gli eletti, stabilita per favorire le donne, ha finito per portare a una correzione a favore degli uomini (78 uomini e 77 donne). Diciassette persone fanno parte dei popoli indigeni. Come nel mio caso, gran parte degli eletti sono professionisti indipendenti, molti provenienti da organizzazioni locali, pochi dall’élite politica, sociale e culturale. Sono stati pochi anche i volti televisivi che si sono candidati ottenendo il sostegno degli elettori.
Il compito che ci aspetta non sarà facile – non ci sono partiti politici a guidare il processo – ma è necessario e interessantissimo. Dovremo aggiornare la nostra democrazia, concordare una costituzione che indirizzi il suo sviluppo futuro senza esclusioni e cercando la pace sociale. La rivolta che ha messo al centro la parola “dignità” oggi cerca uno sbocco istituzionale. Bisognerà dare la priorità alla collaborazione sulla concorrenza, alla sostenibilità sul profitto immediato, alla curiosità per l’altro sull’imposizione autoritaria. La sfida principale è dare nuova legittimità alle istituzioni e consolidare la sovranità dei cittadini. Un ciclo della nostra storia politica si chiude con un cambiamento epocale. Una scommessa repubblicana in tempi d’incertezza. ◆ fr
Patricio Fernández _ è un giornalista e scrittore cileno nato nel 1969. Ha fondato il settimanale The Clinic nel 1998. Il suo ultimo libro è Sobre la marcha _ (Debate 2020). È stato eletto da candidato indipendente all’assemblea costituente.
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Questo articolo è uscito sul numero 1411 di Internazionale, a pagina 30. Compra questo numero | Abbonati