In una mano ha una bandiera palestinese, l’altra è appoggiata sul rubinetto di una delle tante fontanelle di Roma. Michela, 23 anni, beve dopo una lunga mattinata trascorsa nel cuore di una mobilitazione storica organizzata il 22 settembre in solidarietà con i palestinesi. Una serie di manifestazioni a cui hanno partecipato mezzo milione di persone a Roma e in tutta Italia. “Era ora, dopo due anni!”, dice la ragazza, che lavora in un ristorante. I manifestanti continuano ad avanzare sopra la sua testa, sulla sopraelevata della circonvallazione Tiburtina. Lassù ci saranno ancora quasi 50mila persone a bloccare il traffico, poco distante una decina di manifestanti di tutte le età lascia il corteo, portando in altre zone della città i colori palestinesi.
“Finalmente siamo in tanti a scendere in strada per dire stop ai massacri!”, prosegue Michela, davanti a un’auto parcheggiata. Il proprietario ha attaccato sul parabrezza un foglio con la scritta: “Basta finanziare uno stato genocida”, riferendosi alle rappresaglie per gli attacchi terroristici di Hamas del 7 ottobre 2023 che Israele sta portando avanti a Gaza, dove non si fermano le stragi su vasta scala.
Poche ore prima della conferenza alle Nazioni Unite in cui la Francia e quattro stati dell’Unione europea hanno riconosciuto lo stato di Palestina, più di 65 città italiane hanno risposto all’appello per uno sciopero generale e a manifestare “contro il genocidio” dei palestinesi. Su iniziativa di alcuni sindacati, guidati dall’Unione sindacale di base (Usb), i partecipanti hanno protestato anche contro la posizione del governo Meloni, che in questa fase non vuole riconoscere lo stato palestinese. A Milano, Napoli, Bari i cortei hanno invaso le strade, affiancati da iniziative per bloccare i porti di Genova, Trieste e Gioia Tauro. “Oggi siamo andati in Palestina con il cuore, con il pensiero alla flottiglia umanitaria che naviga per rompere il blocco di Gaza e con il corpo in piazza per una visione diversa di questo paese”, afferma Federico Serra, delegato dell’Usb.
A Bologna, roccaforte storica della sinistra, Luca Simoni, un manifestante, descrive una folla con pensionati e studenti, uniti contro “un governo che continua a permettere il genocidio dei palestinesi”.
Bandiere alle finestre
Le manifestazioni del 22 settembre chiudono un’estate in cui in Italia le bandiere palestinesi sono state appese alle finestre delle case e alle facciate dei municipi, mentre comuni e regioni riconoscevano simbolicamente lo stato di Palestina.
Il 30 agosto a Genova decine di migliaia di persone avevano già manifestato insieme ai portuali accompagnando la partenza delle imbarcazioni, cariche di aiuti, che si sono unite alla Global sumud flotilla, nella speranza di rompere il blocco su Gaza. In Italia il movimento di solidarietà per i palestinesi deve molto anche alla popolarità di Francesca Albanese, relatrice speciale delle Nazioni Unite per i territori palestinesi occupati. Molto seguita sui social, è diventata un punto di riferimento per aver criticato in modo intransigente la cattiva coscienza dell’occidente nei confronti della Palestina. Per questo è stata sanzionata da Washington.
Il sostegno alla popolazione di Gaza non arriva solo dagli ambienti militanti tradizionali: il mondo cattolico italiano conta tra le sue file il movimento Preti contro il genocidio, che ha raccolto decine di fedeli il 22 settembre davanti alla chiesa di Sant’Andrea al Quirinale. Sempre a Roma, a Santa Maria in Trastevere, lo stesso giorno è stata organizzata una veglia di preghiera per Gaza.
Gianfranco Marchetti, 64 anni, tiene una candela in mano mentre racconta la sua esperienza di militare nei campi palestinesi di Beirut nel 1982, nell’ambito della forza multinazionale di pace delle Nazioni Unite: “Sono legato ai palestinesi e solidale con il loro dolore. Chi conosce la storia sa che i massacri del 7 ottobre sono il risultato dell’odio di un popolo perseguitato da decenni, a cui è negato il diritto di avere una terra. Da cattolici dobbiamo sperare nella libertà del popolo palestinese”.
Secondo un sondaggio condotto a luglio dall’istituto YouTrend, il 64 per cento degli italiani pensa che Israele “opprima e discrimini sistematicamente il popolo palestinese”. Un dato che mette in difficoltà Giorgia Meloni, presidente del consiglio e appartenente a un partito, Fratelli d’Italia, che ha legami con il Likud, il partito del premier israeliano Benjamin Netanyahu. Per il momento però Meloni ha reagito alle manifestazioni concentrandosi sugli incidenti tra manifestanti e poliziotti alla stazione centrale di Milano, in cui sono stati feriti sessanta agenti. Meloni su X ha scritto: “sedicenti ‘pro-pal’, sedicenti ‘antifa’, sedicenti ‘pacifisti’ che devastano la stazione e generano scontri con le forze dell’ordine”. Scontri che le hanno offerto l’occasione per rafforzare la versione dei fatti adottata dopo l’assassinio di Charlie Kirk, l’ideologo statunitense di estrema destra, trasformato in un martire della “libertà” come ha fatto anche l’amministrazione Trump. Kirk è stato presentato come la vittima di un violento progetto di destabilizzazione voluto dalla sinistra globale. Il 23 settembre è stato commemorato a Montecitorio.
“Si protesta anche contro un progetto autoritario dell’estrema destra globale visibile in Europa e negli Stati Uniti, di cui ciò che succede in Palestina è una delle manifestazioni. Esiste anche in Italia un rischio autoritario che passa attraverso misure di stampo securitario, la strumentalizzazione dell’assassinio di Kirk e la criminalizzazione dell’opposizione”, avverte Walter Massa, presidente dell’Arci, una rete di associazioni legate al movimento cooperativo che dal 1957 occupa un posto rilevante nella società civile italiana. Comunque in lui prevale l’ottimismo: “Vedo un risveglio di coscienze e penso che siamo sulla buona strada”. L’Usb ha indetto una nuova giornata di mobilitazione per il 4 ottobre. ◆ gim
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Questo articolo è uscito sul numero 1633 di Internazionale, a pagina 38. Compra questo numero | Abbonati