La guerra ti insegna a credere solo a quello succede e non a quanto viene detto o promesso. Il giorno dopo la tornata dei “colloqui di pace” del 23 aprile a Londra, a cui il segretario di stato americano Marco Rubio non si è nemmeno degnato di partecipare, gli ucraini non aspettavano con ansia i risultati di un possibile accordo: stavano contando i morti.
Secondo le informazioni dell’aeronautica di Kiev, nelle prime ore del 24 aprile la Russia ha lanciato undici missili balistici Iskander, 37 missili da crociera KH-101, sei missili da crociera Iskander-K, dodici missili da crociera Kalibr, quattro missili KH-59/KH-69 e 145 droni. Quella notte, mentre altri scoprivano le cifre del bilancio delle vittime alla tv, gli abitanti di Kiev e Charkiv hanno sentito le esplosioni scuotere le loro città. Per la capitale è stata la notte peggiore dall’inizio dell’anno.
“Non necessario e con una pessima tempistica”, così Donald Trump ha commentato il bombardamento sui social network. Forse agli ucraini interesserebbe chiedere al presidente statunitense quale sia la giusta tempistica per uccidere dodici civili e ferirne almeno novanta.
La forza di reagire
Quando i missili hanno colpito la periferia occidentale di Kiev, molti erano ancora a letto. Un missile balistico, a quanto pare nordcoreano, ha distrutto una vecchia casa a due piani, provocando proprio lì il maggior numero di vittime.
Mentre scrivo queste parole, nel tardo pomeriggio del 24 aprile, i soccorritori e i pompieri stanno lavorando tra le macerie da quindici ore. Un gruppo di adolescenti è venuto a vedere cosa succede. Alcuni sono arrivati la mattina presto, perché il loro amico e compagno di classe Danja Khudja, 17 anni, viveva in quella casa con i genitori. Poche ore prima la sorella di Danja era stata portata in ospedale, ma lui era ancora sepolto sotto le macerie. Anche gli adolescenti hanno cominciato a scavare, aiutando i soccorritori e la polizia. “È ancora vivo?”, continuavano a chiedere.
Cinquanta ragazzi osservavano in silenzio le macerie oltre il cordone di sicurezza. Erano fermi, in piedi, e si abbracciavano tra loro. Aspettavano un miracolo. Che non è arrivato. Alle cinque del pomeriggio il corpo di Danja è stato ritrovato. Anche i genitori del ragazzo sono morti.
Davanti alla casa ho visto un uomo con la faccia ferita dalle schegge, in piedi, in pantofole. La gente cercava di aiutarlo. Qualcuno gli ha chiesto se avesse bisogno di un paio di scarpe. Ha risposto che non aveva bisogno di nulla e che non capiva perché lo trattassero come una vittima.
Ho già raccontato altre volte come gli abitanti di Kiev sanno trasformare la rabbia in capacità di reagire. Lo stanno facendo anche oggi, ma nell’aria c’è qualcosa di diverso, un senso di confusione, disorientamento. È questa la nuova normalità?
Probabilmente i residenti della capitale si erano abituati a essere protetti dalla contraerea. I primi missili Patriot – il principale sistema di difesa aerea statunitense – sono arrivati a Kiev un anno dopo l’invasione del 24 febbraio 2022. Il sistema si è dimostrato molto efficace nell’intercettare e distruggere i missili balistici ipersonici russi Kinžal. Da quel momento sono stati abbattuti centinaia di razzi nei cieli sopra le città ucraine.
Il problema è che in tutta l’Ucraina ci sono meno di dieci sistemi di difesa aerea. Del tutto insufficienti per quello che è ancora il secondo paese più grande d’Europa. Di recente il presidente Volodymyr Zelenskyy ha chiesto agli Stati Uniti di poter comprare (non di ricevere in regalo) altri dieci sistemi Patriot. Trump ha rifiutato con toni sprezzanti, sottolineando che si trattava di un esempio del bellicismo sfrenato degli ucraini.
La questione è cruciale, perché i Patriot sono gli aiuti militari più importanti (oltre all’intelligence) tra quelli che i partner europei non possono fornire a Kiev. Anche se gli alleati decidessero di acquistarli per poi girarli all’Ucraina, da Washington dovrebbero comunque autorizzare l’invio. Inoltre gli statunitensi possono limitare l’uso dei sistemi agendo a distanza, dato che hanno il controllo della tecnologia e delle altre componenti.
Quest0 è il vero potere in mano agli Stati Uniti, una sorta di randello che possono usare per costringere Kiev ad accettare la pace alle condizioni di Mosca. Condizioni che comprendono il congelamento della linea del fronte, la cessione alla Russia del 20 per cento del territorio ucraino e nessuna garanzia di protezione in caso di un nuovo attacco russo. Mosca, invece, si vedrebbe riconoscere da Washington i territori annessi nel settembre 2022 e otterrebbe anche la cancellazione delle sanzioni statunitensi.
Gli ucraini non hanno il lusso di potersi abbandonare alle fantasie e alla disinformazione russa. Credono solo ai missili che precipitano sulle loro teste e alle notizie della morte dei loro vicini. Alla realtà, in sostanza. Gli eventi degli ultimi giorni dimostrano che la guerra è ancora in corso, che è assolutamente reale e che Mosca non ha alcuna intenzione di finirla. ◆ as
Natalija Gumenjuk è una giornalista ucraina, fondatrice del laboratorio di giornalismo Public interest journalism lab.
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Questo articolo è uscito sul numero 1612 di Internazionale, a pagina 28. Compra questo numero | Abbonati