Èemozionante poter vedere da vicino un costume teatrale e poterne apprezzare la combinazione tra stile e praticità che alla fine devono creare la magia sul palco, sera dopo sera. Spinta da questo incanto, mentre mi trovavo in una delle sale del nuovo East Storehouse del Victoria & Albert museum di Londra ho potuto ispezionare da vicino la tunica indossata nel 1881 da Henry Irving nella sua interpretazione del subdolo Synorix in The cup di Alfred Tennyson, andato in scena al Lyceum e poi caduto nel dimenticatoio (per ottime ragioni).
Ricca di ricami metallici, la tunica deve aver brillato in modo drammatico sotto le luci dei riflettori. Quella stessa luce, con ogni probabilità, aveva nascosto il fatto che l’abito fosse di flanella grezza, come una coperta da quattro soldi. Sicuramente Irving avrà sudato copiosamente mentre combatteva con il suo nemico, diverse sere alla settimana. Quanto meno il tessuto era resistente. Dopo 144 anni solo i ricami cominciano a mostrare lievi segni d’invecchiamento.
Wunderkammer
La tunica, che è possibile toccare indossando appositi guanti, è finita tra le mie mani grazie al nuovo servizio Order an object del V&A East Storehouse, il deposito-museo del Victoria & Albert museum, inaugurato il 31 maggio. Ricercatori o visitatori possono ordinare fino a cinque oggetti e prendere un appuntamento per visionarli, portandosi anche un accompagnatore. Per ragioni di sicurezza, un dipendente dello Storehouse sarà presente durante “l’ispezione” ma potrà fornire alcune informazioni sull’oggetto. Da quando è stato attivato, il servizio ha già ricevuto centinaia di prenotazioni. I visitatori possono scegliere la durata dell’appuntamento, da una a quattro ore. È l’ennesima trovata in un “gabinetto delle meraviglie” tra i più grandi e incredibili del mondo.
La struttura, progettata dallo studio statunitense Diller Scofidio + Renfro, si trova nella sede dell’ex Olympic broadcast centre usato nel 2012, all’interno del Queen Elizabeth olympic park, circondata da nuovi condomini e strade senz’anima. Il ministero della cultura ha fornito al V&A museum 63 milioni di sterline per ristrutturare l’edificio e trasferirci il deposito del museo dalla Blythe House di Kensington.
Visto dall’ingresso, lo Storehouse ha l’aspetto di un ufficio all’ultima moda. Ma la prospettiva cambia salendo le scale e attraversando un breve corridoio fiancheggiato da scaffali di metallo, dove sono in mostra casse che contengono busti provenienti da varie culture ed epoche. Arrivati nella Collection hall del primo piano, è impossibile non farsi cogliere dalla meraviglia.
Un vasto spazio di quattro piani è circondato da gallerie di metallo e ponti che conducono al perimetro dell’edificio (dove sono conservati gli oggetti più fragili, vagamente visibili ma fisicamente inaccessibili). È come una caverna di Aladino della bellezza, dell’ingegnosità e del pionierismo.
Alcuni display sparsi qua e là sono contrassegnati da etichette come Working museum, Collecting stories e Workbook for design. Tuttavia la gioia che questo luogo trasmette è legata proprio all’assenza di un ordine: gli oggetti sono disposti in base alle dimensioni, al peso, alla forma e alla fragilità, senza seguire un criterio di origine, età o tema. Questo favorisce il piacere di una scoperta inaspettata.
Il famoso cartello “Children crossing” di Margaret Calvert è posizionato accanto a una coppia di guerrieri cinesi di ferro senza una data specifica, mentre una bicicletta Moulton del 1962 sovrasta un sinistro gruppo di manichini. Due sezioni della facciata del celebre e ormai demolito edificio modernista Robin Hood gardens del Poplar, nell’East End di Londra, sono appoggiate alle balaustre delle gallerie. Alle loro spalle si trovano gli ingressi a due degli appartamenti.
Al livello superiore, un intricato tetto decorato del trecento, proveniente da Toledo, è finalmente in mostra dopo più di trent’anni trascorsi in un bunker del Wiltshire. Decorato con la scritta in arabo: “Beviamo insieme e siamo felici”, rappresenta una squisita fusione tra maestria islamica e cristiana, un ricordo di un momento storico di transizione in una Spagna dove la cultura islamica era ancora molto presente, ma la corona si preparava ad attuare un programma di espulsioni forzate di musulmani ed ebrei.
Esposizione radicale
Lo Storehouse offre anche l’occasione di apprezzare le bellezze architettoniche che fanno parte della sterminata collezione del Victoria & Albert museum. Il pavimento di vetro dell’atrio principale permette di osservare il piano inferiore, dove si trova buona parte dell’incantevole colonnato di marmo del seicento dal bagno pubblico voluto da Shāh Jahān, ad Agra. Sembra quasi che le colonne sorreggano l’intero edificio.
Lo spazio sotterraneo, dove si svolge gran parte dell’attività quotidiana di conservazione e immagazzinamento, tra il rumore metallico di macchinari e carrelli elevatori, è inaccessibile al pubblico ma pienamente visibile da altre aree. Gli autori del progetto hanno fatto il possibile per garantire che i visitatori siano consapevoli di tutto ciò che accade dietro le quinte, un approccio che è stato semplificato dalla creazione di spazi specifici per gli oggetti più ingombranti, come una grande sala dedicata ai tendoni per i palcoscenici. Al momento nella sala è appeso il sipario di undici metri per dieci che riproduce La corsa di Picasso (noto anche come Due donne che corrono sulla spiaggia), creato da Aleksandr Sharvashidze e commissionato nel 1924 da Sergej Djagilev per i Balletti russi. Quando Picasso lo vide, ne rimase talmente impressionato che volle firmarlo.
È possibile vedere da vicino quella preziosa firma, oppure si può apprezzare il sipario dalla galleria costruita in modo tale che il pubblico ne abbia una visione d’insieme anche se un tendone viene steso sul pavimento. Le aree dedicate alla conservazione sono riprese da telecamere sospese sui tavoli da lavoro. I professionisti al lavoro hanno la possibilità d’indossare una cuffia con microfono e spiegare ai visitatori cosa stanno facendo. Lo Storehouse è un luogo imperdibile, un parente divertente e compulsivo del Victoria & Albert museum. Tra l’altro la scelta di rendere pienamente e gratuitamente accessibile al pubblico una collezione nazionale e di proprietà dello stato è abbastanza radicale. Non vedo l’ora di tornarci. ◆ as
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Questo articolo è uscito sul numero 1618 di Internazionale, a pagina 88. Compra questo numero | Abbonati