Negli anni novanta Alan Fabbri, che era cresciuto nella provincia di Ferrara, compì un atto di ribellione adolescenziale che sorprese i suoi amici: decise di non diventare comunista.

A 19 anni s’iscrisse alla Lega nord, andando contro la solida tradizione politica di sinistra dell’Emilia-Romagna, ma anche contro quella della sua famiglia. Tra i suoi parenti c’erano dei partigiani che avevano combattuto contro i nazisti.

Nel 2019 Fabbri si è candidato alla carica di sindaco di Ferrara, con la Lega, e ha vinto. Questo risultato ha sorpreso gli osservatori: una città che era stata governata dalla sinistra dalla fine del regime fascista di Benito Mussolini, cadeva nelle mani del partito di Matteo Salvini, sovranista e ostile ai migranti.

“Ho preso la prima tessera della Lega nord quando avevo 19 anni. Ero una pecora nera”, racconta il sindaco, 41 anni, con la barba e il codino, nel suo ufficio vicino al castello trecentesco. “Dalla parte di mia madre erano tutti comunisti. Uno dei miei nonni era analfabeta ma aveva sempre sul tavolo una copia dell’Unità”, il giornale fondato dall’intellettuale marxista Antonio Gramsci negli anni venti. “Molti qui pensavano che la gente non avrebbe mai votato per un partito di destra a causa delle tradizioni familiari, ma le cose sono cambiate. Molti ex comunisti oggi votano per la Lega perché difende i lavoratori. La sinistra ha sempre dato per scontato il proprio successo in questa regione, pensava di vincere ed è rimasta colpita”.

I rischi per il governo Conte

Le elezioni regionali in Emilia-Romagna si avvicinano e Salvini, che dopo aver assunto la guida della Lega nel 2013 l’ha trasformata da partito separatista del nord a partito nazionale di destra, mira a innescare una grande rivoluzione prendendo il controllo di questo territorio, considerato tradizionalmente la patria spirituale del socialismo italiano. Secondo i sondaggi pubblicati i primi di gennaio, la candidata della coalizione di centrodestra, la senatrice leghista Lucia Borgonzoni, 43 anni, è testa a testa con il presidente della regione Stefano Bonaccini, del Partito democratico (Pd), e potrebbe riuscire ad abbattere il muro rosso.

Salvini ne è sicuro. “È chiaro che vinceremo”, ha dichiarato il 7 gennaio durante un comizio elettorale a Modena. “Dal 27 gennaio il mondo cambierà. Qui tutti mi dicono che prima votavano comunista, ma adesso non lo faranno più perché non sono più comunisti, adesso sono un’altra cosa”.

Ferrara, 12 novembre 2019. Il sindaco Alan Fabbri, sullo sfondo il castello Estense (Nicola Marfisi, Agf)

Una vittoria di Borgonzoni non solo sarebbe un colpo terribile per il Pd, ma probabilmente scatenerebbe una crisi nella coalizione di governo con il Movimento 5 stelle, che potrebbe minacciare di sciogliere l’alleanza.

Con il partito di Salvini molto più avanti nei sondaggi rispetto ai suoi rivali del Pd, alle prossime elezioni il leader della Lega potrebbe diventare presidente del consiglio. “Se il Pd perdesse in Emilia-Romagna, c’è il 100 per cento di probabilità che il governo cada e Salvini diventi il prossimo capo del governo”, dice Daniele Albertazzi, un docente dell’università di Birmingham esperto di storia della Lega. “Per ora è impossibile dirlo”.

Una vittoria in Emilia-Romagna confermerebbe che Salvini ha rapidamente recuperato terreno dall’estate scorsa, quando ha deciso di correre il più grande rischio della sua carriera politica facendo cadere il governo di coalizione di cui la Lega faceva parte, mentre era in spiaggia in costume da bagno e con un mojito in mano. Poco dopo aver dichiarato che intendeva rompere l’alleanza con il Movimento 5 stelle, il leader della Lega ha provato ad andare subito alle elezioni politiche ma il tentativo gli si è ritorto contro. I suoi ex alleati, sdegnati, hanno stretto un patto improbabile con il Pd per formare una nuova coalizione di governo, relegando Salvini all’opposizione.

Da quel momento la popolarità della Lega a livello nazionale si è consolidata. I sondaggi continuano a mostrare che è il primo partito italiano. A ottobre la coalizione di centrodestra guidata dalla Lega ha strappato l’Umbria al Pd e Salvini ha messo subito gli occhi sull’Emilia-Romagna, una preda molto più grossa.

Il ritorno all’opposizione ha fatto comodo a Salvini, che sta conducendo una campagna elettorale astuta e inarrestabile, viaggiando per tutto il paese attaccando la coalizione di governo, che passa da una crisi all’altra. Una vittoria della Lega in Emilia-Romagna, sperano i leghisti, dovrebbe essere sufficiente a far cadere la debole alleanza tra Pd e cinquestelle. “Questa coalizione è così fragile che l’unica cosa che la tiene insieme è la paura di Salvini”, dice Erik Jones, professore di studi europei nella sede di Bologna all’Istituto di studi internazionali avanzati dell’università Johns Hopkins. “Se perde è difficile immaginare come possa superare la primavera”.

Scelte pragmatiche

Come ha fatto una regione, che dal dopoguerra è considerata la più rossa di tutte, con un’orgogliosa tradizione di resistenza alla destra, ad arrivare al punto da rischiare di far trionfare Salvini con il suo programma basato sulla sicurezza e sulla lotta all’immigrazione?

“È in corso un processo molto simile a quello che è in atto in altri paesi europei , le persone non sono più fedeli all’identità politica dei loro genitori e dei loro nonni”, dice Albertazzi. Alessio Mare, 39 anni, libraio di Ferrara, pensa che la sua generazione non senta più il legame con le esperienze del passato, e questo significa che molti giovani hanno meno scrupoli rispetto ai più anziani a votare per la Lega. “La gente non si ricorda più della guerra e dei partigiani”, dice. “Prima, molti non si sarebbero mai sognati di votare per la destra, adesso hanno dimenticato tutto”.

Secondo Giovanni Orsina, direttore della School of government della Luiss di Roma, che si occupa della formazione degli alti funzionari statali, in Emilia-Romagna il comunismo ha sempre avuto un carattere regionale, orientato alla difesa più dei piccoli imprenditori che degli operai delle grandi fabbriche. In questo caso la purezza ideologica passa in secondo piano davanti alle preoccupazioni per l’immigrazione e l’economia. “In passato la gente votava comunista perché vedeva nel partito un difensore delle comunità locali e delle tradizioni”, dice. “Era una scelta molto pragmatica e non particolarmente ideologica. Nella regione i servizi pubblici sono sempre stati di altissimo livello. Ma oggi molti negozianti e artigiani pensano che la Lega possa difendere i loro interessi più della sinistra”.

Stefano Caliandro, capogruppo del Pd in Emilia-Romagna, sostiene che il suo partito è vittima dell’antipolitica, che ha spinto gli elettori italiani ad abbandonare i partiti tradizionali in favore della Lega. “Dobbiamo prendere atto dell’ondata di destra che dilaga non solo nella regione ma in tutta l’Europa”.

L’economia dell’Emilia-Romagna va forte. Secondo la camera di commercio, nel 2018 è stata una delle regioni italiane in più rapida crescita e il suo tasso di disoccupazione è circa la metà di quello nazionale. Questo però non ha placato, come non l’ha fatto nel resto del paese, la rabbia nei confronti dell’insicurezza economica e dell’immigrazione, e Salvini sta attingendo a questa rabbia.

Giorgio Bennetti, 35 anni, che ha una bancarella di dolci nel centro di Ferrara, pensa che molti elettori siano pronti a passare alla destra per esprimere un’insoddisfazione politica generale. Anche problemi locali, come il fallimento della Cassa di risparmio di Ferrara, in cui 130mila investitori hanno perso i loro risparmi, potrebbero convincere gli elettori a punire il Pd, che nel 2015, quando era stato necessario salvare la banca, era al governo sia a livello locale sia a livello nazionale.

Da sapere
La ricchezza dell’Emilia-Romagna
Fonti: Istat, Eurostat, Financial Times

“Questo è un voto di protesta, le persone non credono più che la sinistra lavori per loro”, sostiene Bennetti. “Mia nonna diceva che la gente non ha problema a passare dalla camicia rossa a quella nera, se è necessario”. La regione risente anche di una netta divisione tra la ricca Bologna, la sua più grande città e sede della più antica università europea, e le zone periferiche agricole più povere, in cui negli ultimi dieci anni la Lega ha accumulato consensi.

Alle elezioni europee del 2019, nelle aree rurali dell’Emilia-Romagna la Lega è stata il primo partito, raccogliendo il 45 per cento dei voti nelle zone considerate ultraperiferiche, mentre il Pd si è fermato a meno del 25 per cento. Nelle città ha ottenuto il 30 per cento – meno della media del 33,8 a livello regionale – mentre il Pd ha raggiunto il 33,9, più del 31,2 per cento del totale regionale.

Comunismo culturale

“È proprio una divisione tra campagne e città”, dice Jones. “Un tempo esisteva una sorta di comunismo culturale, le persone votavano per la sinistra perché nella loro società tutti lo facevano. Adesso in Emilia-Romagna, e in altri paesi europei, per queste persone votare per la destra non rappresenta più un grande salto”.

Il sindaco di Ferrara Alan Fabbri pensa che il risultato delle regionali dipenderà molto dall’affluenza alle urne, se sarà alta favorirà la Lega e danneggerà il Pd. “È difficile vincere, in Emilia-Romagna sono soprattutto le zone rurali a votare per la Lega, le città molto meno”, dice. “Se l’affluenza sarà alta vinceremo. La gente che vuole cambiare le cose va a votare”.

A prescindere dal risultato, i tempi in cui l’Emilia-Romagna era una roccaforte comunista sono lontani. Negli anni novanta il Partito comunista italiano si trasformò gradualmente nel Pd e diventò un partito socialdemocratico, mentre un piccolo gruppo di intransigenti fondava partiti minori.

Alcuni attivisti, comunque, continuano a lottare. In una delle strade centrali di Ferrara, Pavel Rizzo, 19 anni, e il suo amico Matteo cercano di vendere ai passanti che guardano le vetrine il giornale comunista Lotta comunista. Rizzo è entrato nel movimento tre mesi fa. “Siamo leninisti”, dichiara con un sorriso orgoglioso, pur riconoscendo che pochi dei passanti mostrano interesse per il suo giornale, sulla cui prima pagina compare un ponderoso saggio dal titolo “La politica teorica e la fragilità sociale dell’ordine liberista”.

Rizzo dice che vorrebbe che più persone si occupassero di politica come lui, ma è difficilissimo coinvolgerle: “Il mondo è cambiato”. ◆ bt

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Questo articolo è uscito sul numero 1341 di Internazionale, a pagina 28. Compra questo numero | Abbonati