Nell’estate 1968 capitai quasi per caso a Salonicco, in Grecia. Volevo raggiungere il gruppo hippy delle grotte di Matala, a Creta, ma un insegnante ad Atene mi disse che il governo militare era infastidito da tutti quei “figli dei fiori” renitenti alla leva e dagli altri stranieri che affollavano le isole greche. Così decisi di cambiare programma e andai verso nord.
Come avevo fatto durante tutto il viaggio in autostop dall’Irlanda alla Grecia, anche quella volta portai con me un cartello con scritta la destinazione: “Salonicco” . Il nome della città mi era familiare perché era legato alla storia dei miei parenti. Lì era sepolto mio nonno, che aveva combattuto nella prima guerra mondiale.
Facciamo un salto in avanti fino a una soleggiata mattina di ottobre del 2024. Ero tornato a Salonicco e mi trovavo fuori dal mio alloggio, un piccolo ostello chiamato The Crossroads, arroccato nel sobborgo settentrionale di Agios Pavlos. Era mattina, ero appena sceso da un volo della Ryanair e ammiravo il panorama con occhi “da primo risveglio”.
Si vedevano gli edifici bianchi della città e sullo sfondo c’era il monte Olimpo che si ergeva lungo una fila di montagne. Nella foschia mattutina il monte Athos sembrava voler reclamare il suo spazio teologico tra le colline e i boschi della penisola Calcidica. Speravo di visitare entrambe le montagne, ma prima mi attendeva Salonicco. Non è una destinazione comune per i turisti irlandesi, diversamente da Atene, Barcellona o Roma. Salonicco è una città autentica, fatta di chiacchiere, bar, pasticcerie, cibo da strada e passeggiate.
In città può capitare di vedere spuntare delle rovine tra gli edifici moderni, accompagnate a volte da pannelli informativi molto utili, mentre altre volte conservano le loro storie in un enigmatico silenzio. Molte sono resti dell’epoca d’oro della Salonicco greco-romana, quella dell’imperatore Galerio, che regnò tra il 305 e il 311 dC. Per esempio l’Arco di trionfo e il suo mausoleo, che è rimato sostanzialmente intatto.
Il monte Athos
Viaggiando da solo non dovevo preoccuparmi di nient’altro che non fosse il mio piacere personale. Per cui ho passato diverse ore al museo archeologico di Macedonia, immergendomi nelle testimonianze della Grecia arcaica e nello splendore dei regni di Filippo e Alessandro Magno, per poi passare all’incontro violento tra la cultura romana e quella greca.
La storia di Salonicco è caratterizzata dallo splendore e dall’arricchimento. Non a caso era la seconda città dell’impero romano d’oriente, dopo Costantinopoli. Cadde sotto il controllo dell’impero ottomano all’inizio del quattrocento e da quel momento, fino ai primi del novecento, visse un lungo periodo di relativa calma, anche se ci furono comunque momenti di violenza e repressione.
Il secondo giorno mi sono mosso presto: l’autobus per Uranoupoli, la porta d’accesso all’area monastica del monte Athos, partiva alle sei del mattino. Fortunatamente il viaggio di tre ore è stato piacevole, abbiamo attraversato villaggi ancora addormentati e colline verdi avvolte nella luce grigiastra del mattino.
I passeggeri erano quasi tutti uomini robusti dall’aspetto austero che indossavano abiti neri. Alcuni erano russi. Uno di loro ha russato fragorosamente per tutto il tragitto. Più tardi li ho rivisti uscire dall’ufficio dei pellegrini del monte Athos, con in mano il permesso d’ingresso: partecipavano a un pellegrinaggio ortodosso ed erano diretti verso il traghetto che li avrebbe portati in uno dei tanti monasteri della penisola accessibili solo agli uomini.
Il mio giro è stato piuttosto lento: per tre ore il traghetto ha seguito la costa lungo l’estremità orientale della penisola Calcidica. Visto che a bordo eravamo sia uomini sia donne l’imbarcazione ha dovuto mantenere una distanza di almeno cinquecento metri dal monte Athos. Durante il tragitto ci hanno raccontato che nel primo periodo cristiano alcuni eremiti si stabilirono sulle colline verdi e disabitate spinti dalla necessità di un isolamento spirituale. Poi nel nono secolo si affermò un monachesimo più organizzato e furono costruiti molti monasteri, alcuni sulla costa e altri nei boschi sulle colline. In seguito questi insediamenti finirono al centro delle mire dei pirati, soprattutto i mercenari della Compagnia catalana. E intorno al 1430 i monaci dovettero far fronte a una tassazione impietosa delle autorità ottomane che avevano occupato il territorio.
Ascoltavamo queste storie mentre il traghetto passava davanti a vari monasteri, molti ormai semideserti. Le onde appena accennate, nel silenzio delle colline e della riva, davano l’impressione di viaggiare indietro nel tempo, offrendoci uno sguardo su un mondo diverso.
Il giorno successivo ho vissuto un’esperienza intensa e molto intima. Ho camminato per dodici chilometri per arrivare al Mikra memorial, alla periferia della città, dove è sepolto mio nonno. Mentre mi avvicinavo sentivo l’emozione crescere.
Nel cimitero di Mikra ho superato lentamente le file di lapidi. Ce ne sono circa duemila. I nomi e le fredde pietre bianche raccontavano il dolore e la morte di uomini che si erano trovati in luoghi a loro estranei, lontani da casa e dai loro cari. Quella sofferenza contrastava con la dignità, la pace e la tranquillità del luogo, in cui quei soldati, quasi tutti giovani (molti irlandesi), occupano un piccolo pezzo di terra.
Stavo accanto alla lapide di mio nonno e ripensavo alla prima volta in cui ero andato lì, da giovane, nel 1968. Mi è tornata alla mente anche la fresca giornata di autunno del 1982, quando accompagnai mio padre e lui mi descrisse la tristezza di quando a sette anni vide il nonno uscire dalla porta di casa e scomparire per sempre dalla sua vita, non prima però di averlo abbracciato. Aveva oltrepassato la porta ma poi si era fermato di colpo ed era tornato indietro, come se avesse intuito cosa avrebbe riservato il futuro a lui e a suo figlio.
I due giorni successivi alla visita al cimitero sono stati allegri e rilassanti, tra passeggiate in montagna e nella caratteristica cittadina di Litochoro. Ho barattato il chiasso e la frenesia della grande città con il cinguettio degli uccelli, l’aria fresca e i sentieri coperti di foglie, il tutto immerso nei raggi del sole. E ho scambiato l’intimità del momento al cimitero con la leggerezza di un salto fisico e anche immaginario nel mondo degli dei e della miriade di ninfe, driadi e satiri che con le loro avventure, in quei boschi e altrove nella favolosa Grecia, hanno affascinato varie generazioni.
I lungomare
Nelle mie escursioni ho seguito il percorso europeo di lunga distanza E4, che collega la Spagna alla Grecia e attraversa Litochoro prima di avventurarsi sui pendii del monte Olimpo, la mia montagna sacra preferita tra le due che ho potuto osservare. Anche se avevo piani più ambizioni, alla fine mi sono saggiamente accontentato di vagare nella gola del fiume Enipea, tra Litochoro e Prionia.
Ho acceso una candela per i nuovi dei nel piccolo eremo incastrato nella grotta di Agios Dionisius. Avevo bisogno dell’aiuto delle divinità per la discesa di dodici chilometri che mi attendeva, anche perché mi avevano avvertito che le passerelle di legno sul fiume erano state distrutte.
L’ultimo giorno, prima che un volo Ryanair mi riportasse a casa a tarda notte, sono stato sul lungomare di Salonicco: la mattina ho partecipato a un giro a piedi della città, poi nel pomeriggio mi sono concesso un giro in barca di mezz’ora nella baia, accompagnato da cocktail vari. Mentre si avvicinava la sera mi sono arrampicato per 25 minuti lungo i duecento metri di salita che portano all’ostello. Ho salutato il personale, giovane e gentile, e ho cenato nella vicina taverna Krionidis: gamberi e linguine con vino greco semidolce.
Grato per quella fantastica ricompensa al mio viaggio in solitaria ho ammirato il lento tramonto macedone sulle colline e il monte Olimpo sullo sfondo, mentre le mura romane si coloravano di rosso e il cielo si faceva più scuro. ◆ as
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Questo articolo è uscito sul numero 1618 di Internazionale, a pagina 78. Compra questo numero | Abbonati