Le affermazioni di Yair Golan, lea­der del partito di sinistra Democratici, che il 20 maggio ha denunciato come Israele rischi di diventare uno stato paria, non nascono dal nulla. Nelle ultime settimane, soprattutto da quando Tel Aviv ha violato unilateralmente il cessate il fuoco a metà marzo, la consapevolezza che Israele sta commettendo crimini di guerra nella Striscia di Gaza sta superando i confini della sinistra ebraica radicale e della comunità palestinese e sta raggiungendo un pubblico più ampio: dall’ex ministro della difesa Moshe Ya’alon che parla di pulizia etnica all’ex premier Ehud Olmert che denuncia crimini di guerra, dai manifestanti che mostrano le foto dei bambini uccisi a Gaza, il cui numero cresce di settimana in settimana, ai giudici e agli alti funzionari che firmano una petizione per riconoscere il “dovere di rifiutare ordini chiaramente illegali”. Il fatto che queste voci siano ignorate dalla politica e dai mezzi d’informazione non significa che non esistono e che non stanno aumentando. Significa che i politici e i mezzi d’informazione sono vigliacchi.

Le fratture all’interno dell’opinione pubblica, che nei mesi precedenti al 7 ottobre 2023 aveva protestato in massa contro il tentato colpo di stato giudiziario del governo ma si era riallineata di fronte alla guerra, erano evidenti prima del cessate il fuoco raggiunto a gennaio. Ma da quando Israele l’ha violato apertamente, con la volontà di evitare un accordo generale che consentisse il ritorno degli ostaggi e la fine della guerra, si sono ampliate e hanno mostrato l’orribile realtà della Striscia di Gaza.

Anche la fame a Gaza ha svolto un ruolo centrale. All’inizio di marzo la decisione israeliana di bloccare l’ingresso degli aiuti umanitari nel territorio palestinese è stata accolta con un’alzata di spalle dalla maggior parte dell’opinione pubblica. Ma le immagini emerse nelle ultime settimane di bambini che muoiono di fame o folle che assaltano i luoghi di distribuzione hanno smosso qualcosa.

Il giorno dopo

Il credito che l’esercito ha sempre avuto tra i cittadini ha contribuito a dare un carattere di “sicurezza” ad azioni essenzialmente politiche come creare e mantenere le colonie, evitare negoziati politici e fare affidamento solo sulla forza militare in relazione ai palestinesi. Il fatto che l’esercito si è impegnato a realizzare obiettivi che sono chiaramente politici e non riguardano la sicurezza – occupare e annettere la Striscia di Gaza, costringere i suoi abitanti a emigrare riducendoli alla fame – ha eroso questo credito.

Difficilmente l’aumento della consapevolezza nell’opinione pubblica ebraica d’Israele farà finire i bombardamenti su Gaza. Perché questo accada servirebbe una combinazione di fattori: l’interesse del presidente degli Stati Uniti Donald Trump a fermare la guerra per fare affari con gli stati del Golfo, la pressione dell’Europa, il rifiuto di arruolarsi dei giovani israeliani, la crisi costituzionale oggi evidente nella disputa sulla nomina del capo dei servizi segreti interni, il costo economico del conflitto e altro. Ma il fatto che questo cambiamento sia in atto significa qualcosa. Potrebbe avere conseguenze sulla politica, sulle pressioni per spingere le persone a rompere il silenzio e sul “giorno dopo”, quando israeliani e palestinesi si guarderanno in faccia alla fine delle atrocità e si chiederanno cosa hanno fatto per fermarle. È fondamentale per il futuro di questo luogo. ◆ fg

Sikha Mekomit è un sito in ebraico che si occupa di democrazia, pace, uguaglianza, giustizia sociale e lotta contro l’occupazione. Spesso condivide gli articoli con +972 Magazine, dove sono pubblicati in inglese.

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Questo articolo è uscito sul numero 1616 di Internazionale, a pagina 18. Compra questo numero | Abbonati