Il nuovo scandalo finanziario tedesco arriva dal più piccolo land della Germania: Brema. Nella città anseatica la Greensill Bank ha la sua sede in un anonimo edificio. È un istituto finanziario apparentemente innocuo che sul suo sito si presenta con immagini di persone amichevoli e le solite frasi di marketing: “La forza è la tua sicurezza”, “un partner affidabile da generazioni” e, immancabile, il “senso di comunità”. Il 3 marzo, però, la musica è cambiata. Il Bundesanstalt für Finanzdienstleis­tungsaufsicht (Bafin, l’autorità tedesca di vigilanza finanziaria) ha chiuso la banca, perché non è in grado di fornire garanzie sufficienti per i crediti concessi. La Greensill avrebbe concesso prestiti senza garanzie all’impero siderurgico del magnate indiano Sanjeev Gupta, alla sua società madre australiano-britannica, la Greensill Capital, da tempo in difficoltà, e a chissà chi altro ancora. Per il momento non si sa molto di più, ma è già quanto di peggio un’autorità di vigilanza possa dire su una banca. La vera domanda ora è: cos’è rimasto di affidabile sul mercato finanziario tedesco? Il fallimento della Wirecard non è ancora stato elaborato e il paese si prepara già a un nuovo scandalo. Ovviamente ci sono molte differenze tra la Wirecard e la Greensill. Quest’ultima non è quotata in borsa e quindi non ha ingannato nessun azionista. Ma c’è anche un numero sorprendente di somiglianze: ancora una volta ci sono voci di bilancio “non documentabili”, ancora una volta in Germania succede che una banca risucchia i risparmi privati per finanziare affari opachi.

I primi a pagarne le conseguenze sono i clienti della banca, che per il momento non possono riavere i loro soldi. L’assicurazione sui depositi bancari li risarcirà, ma la faccenda è comunque costosa: gli istituti finanziari coinvolti dovranno pagare ai clienti fino a tre miliardi di euro. Ed è quasi certo che queste banche scaricheranno il danno sui loro correntisti in forma di commissioni più elevate. Tra i perdenti ci sono anche una cinquantina di comuni tedeschi che hanno depositato i loro soldi nella Greensill, anche se i tesorieri sapevano che dal 2017 quei soldi non sono più soggetti alle garanzie sui depositi. La città di Monheim am Rhein, per esempio, rischia di perdere 38 milioni di euro. La cosa più sconvolgente è che probabilmente la Greensill aveva scelto la Germania come sede operativa contando proprio sulla vigilanza finanziaria molto permissiva. È vero che questa volta il Bafin ha reagito più tempestivamente rispetto al caso Wire­card, e a quanto pare avrebbe cominciato a sorvegliare più strettamente la banca già in estate, trovandola in condizioni disastrose. Ma perché le autorità di vigilanza hanno aspettato tanto prima di farla chiudere? Perché i dirigenti della Greensill erano ancora al loro posto? Perché la banca poteva continuare a raccogliere depositi? Nell’ambiente si sapeva come stavano le cose già da tempo. Gli ignari clienti della Greensill, invece, sono rimasti all’oscuro di tutto fino a pochi giorni fa, quando hanno realizzato che gli slogan sul sito della banca non avevano niente a che fare con la realtà.

Condizioni vantaggiose

Ovviamente la Greensill era consapevole che molti suoi clienti in Germania avrebbero preferito avere un tasso un po’ più alto sui loro depositi che investire in azioni. Anche se alcuni di loro avevano già brutte esperienze alle spalle: durante la crisi del 2008 la banca islandese Kaupthing era arrivata sull’orlo del fallimento e in un primo momento l’Islanda non ne aveva voluto sapere di risarcire i risparmiatori stranieri, tra cui migliaia di tedeschi. Oggi ci sono siti che aiutano i risparmiatori nella ricerca delle banche con le condizioni più vantaggiose, ma senza controllare se si tratta di istituti scrupolosi nella scelta delle banche partner. Dato che in genere i risparmi sono garantiti, a molti clienti non importa affatto che una banca sia affidabile. Il caso della Greensill, però, dovrebbe insegnare a tutti qualcosa. D’altronde non è stato solo il mercato finanziario tedesco a rendersi ridicolo. Anche la principale banca svizzera, il Credit Suisse, e la società d’investimento giapponese Softbank sono cadute nella trappola Greensill, giusto per citare due grandi nomi. Il Credit
Suisse, per esempio, aveva venduto obbligazioni della Greensill su larga scala come investimenti sicuri a operatori professionali, che ora si staranno sicuramente facendo delle domande. ◆ nv

Da sapere
Fondi congelati

La Greensill Capital è una società finanziaria con sede a Londra fondata nel 2011 da Lex Greensill, 44 anni, australiano, ex manager delle banche d’affari statunitensi Morgan Stanley e della Citigroup. L’azienda ha circa ottocento dipendenti. La sua attività principale è rilevare i crediti che le aziende hanno nei confronti dei clienti per poi incassarli, oppure anticipare i soldi necessari a un’azienda per pagare i fornitori. La Green­sill usava questi crediti per emettere obbligazioni che rivendeva ad altri investitori. Uno dei maggiori acquirenti di questi titoli era la banca svizzera Credit Suisse, che il 1 marzo ha congelato quattro fondi del valore complessivo di dieci miliardi di dollari gestiti insieme alla Greensill Capital (il Credit Suisse aveva già venduto i titoli della società a circa mille investitori, classificandoli a basso rischio). Lo stesso ha fatto il 2 marzo un’altra società finanziaria svizzera, la Gam Holding, che gestiva un fondo da 700 milioni di dollari. Infine il 3 marzo è stata chiusa la filiale tedesca della Greensill. Queste decisioni sono la conseguenza di dubbi delle autorità finanziarie sui crediti concessi dalla Greensill. Le autorità tedesche, in particolare, si sono concentrate su alcuni crediti verso i fornitori rilevati dalla Gfg Alliance, la holding che fa capo al magnate indiano dell’acciaio Sanjeev Gupta.

The Wall Street Journal, Neue Zürcher Zeitung


Ultime notizie
Istanza di fallimento

◆ L’8 marzo 2021 la Greensill Capital ha presentato istanza di amministrazione controllata nel Regno Unito. La Banca centrale europea (Bce) ha chiesto agli istituti di credito dell’eurozona dettagli sui loro rapporti con la società anglo-australiana e con uno dei suoi clienti principali, la holding Gfg Alliance. L’obiettivo dell’istituto di Francoforte è capire se la crisi della Greensill Capital rischi di allargarsi ad altri grandi operatori finanziari. Financial Times


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Questo articolo è uscito sul numero 1400 di Internazionale, a pagina 100. Compra questo numero | Abbonati