Leggere la mente attraverso la registrazione dell’attività cerebrale può sembrare una cosa futuristica, ma ora è un po’ più vicina alla realtà. Una nuova tecnica chiamata _mind captioning _genera descrizioni estremamente accurate di quello che una persona vede. La tecnica, presentata in un articolo pubblicato su Science Advances, offre anche degli indizi su come il cervello rappresenta il mondo prima che i pensieri siano tradotti in parole. E potrebbe riuscire ad aiutare le persone con disturbi del linguaggio, per esempio quelli causati da ictus, a comunicare meglio.
Il modello ricostruisce ciò che una persona sta guardando “in modo molto dettagliato”, spiega Alex Huth, neuroscienziato computazionale dell’università della California a Berkeley, negli Stati Uniti. “È una cosa molto difficile. È sorprendente che riesca a fornire così tanti dettagli”.
Da più di dieci anni i ricercatori sono in grado di capire cosa una persona sta vedendo o sentendo a partire dall’attività del cervello. Ma decodificare come il cervello interpreta un contenuto complesso, per esempio brevi video o forme astratte, si è rivelato più arduo.
I precedenti tentativi avevano prodotto solo parole chiave che descrivevano quello che i volontari guardavano e non l’intero contesto, che può comprendere l’argomento di un video e le azioni riprese, dice Tomoyasu Horikawa, neuroscienziato degli Ntt communication science laboratories di Kanagawa, in Giappone. Altri esperimenti, aggiunge, usavano modelli d’intelligenza artificiale (ia) capaci di creare strutture frasali, quindi era difficile capire se la descrizione fornita fosse davvero rappresentata nel cervello.
Per prima cosa Horikawa ha usato un modello ia di elaborazione del linguaggio per analizzare i sottotitoli di più di duemila video, trasformando ognuno di essi in una “firma di significato” digitale. Un altro strumento ia è stato addestrato usando le risonanze magnetiche del cervello di sei volontari, imparando a individuare i tracciati di attività che corrispondevano a ogni firma di significato mentre i soggetti guardavano i video.
Il decodificatore è riuscito a leggere una nuova scansione cerebrale di una persona che guardava un video e a prevedere la firma di significato. Infine un altro generatore di testo ia ha cercato la frase che si avvicinava di più alla firma di significato individuata nel cervello del soggetto.
Per esempio, un volontario ha guardato un breve video di una persona che saltava dalla cima di una cascata. Usando l’attività cerebrale dello spettatore, il modello ha indovinato sequenze di parole partendo da “flusso di sorgente”, che al decimo tentativo è diventato “su acqua che cade velocemente” e al centesimo è arrivato a “una persona salta su una cascata profonda da un crinale montuoso”.
I ricercatori hanno anche chiesto ai partecipanti di ripensare a frammenti di video che avevano già visto. I modelli ia sono riusciti a generare descrizioni di questi ricordi, dimostrando che il cervello sembra usare rappresentazioni simili per la visione e per il ricordo.
Timori per la privacy
La tecnica, che usa la risonanza magnetica funzionale non invasiva, può contribuire a migliorare il processo tramite cui le interfacce neurali impiantate potrebbero tradurre direttamente in testo le rappresentazioni mentali non verbali. “Se ci riuscissimo con questi sistemi artificiali, forse potremmo aiutare chi ha difficoltà di comunicazione”, dice Huth, che nel 2023 ha contribuito a sviluppare un modello analogo per decodificare il linguaggio da registrazioni cerebrali non invasive.
Questi risultati sollevano timori sulla privacy mentale, spiega Huth, perché i ricercatori sono sempre più vicini a rivelare pensieri, emozioni e condizioni di salute che, in teoria, potrebbero essere usate per sorvegliare, manipolare o discriminare le persone. Né il modello di Huth né quello di Horikawa superano questo confine, dicono entrambi gli scienziati, perché le tecniche richiedono il consenso dei partecipanti e perché i modelli non sono in grado di percepire i pensieri privati. “Nessuno ha ancora dimostrato che sia possibile”, dice Huth. ◆ sdf
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Questo articolo è uscito sul numero 1640 di Internazionale, a pagina 102. Compra questo numero | Abbonati