Dalla sua teca a prova di proiettile, qualche mattina fa il sorriso della Gioconda si è trovato davanti uno spettacolo insolito: il vuoto. La galleria del Louvre dove moltitudini di visitatori si ammassavano ogni giorno per darle almeno un’occhiata è vuota, abbandonata, dopo il _lockdown _deciso dal governo francese.
Dietro l’angolo la _Nike di Samotracia _fluttua silenziosa in cima a una scalinata di marmo, maestosa nell’assenza di bastoni da selfie e visite guidate. Nel seminterrato medievale del Louvre la _Grande sfinge di Tanis _si staglia nell’oscurità come un fantasma di granito dietro le sbarre. Eppure, al di là di questa quiete rara e monumentale, le grandi sale del Louvre sono attraversate da suoni di vita.
Segni di vita
Il rumore di un martello pneumatico fa vibrare il soffitto sulla testa della sfinge. Dalla stanza dei bronzi, sotto il soffitto di Cy Twombly nell’ala Sully, dove alcuni operai tolgono il parquet per lasciare spazio a un pavimento nuovo, si sente il ritmo della musica rap. Negli ex appartamenti di Luigi XIV, dei restauratori muniti di mascherina si arrampicano sulle impalcature per pressare delle foglie d’oro sulle modanature barocche.
Il museo più visitato del mondo – quasi dieci milioni di visitatori nel 2019, la maggior parte dei quali provenienti dall’estero – sta facendo i conti con la chiusura più lunga dalla seconda guerra mondiale. Tuttavia, in assenza delle folle che raggiungevano le 40mila persone al giorno, i funzionari del museo hanno colto una preziosa opportunità per portare avanti un’imponente opera di ristrutturazione.
“Nel caso di alcuni progetti, il _lockdown _ci ha permesso di fare in cinque giorni quello che prima avrebbe richiesto cinque settimane”, afferma Sébastien Allard, curatore generale e direttore del dipartimento della pittura al Louvre.
Durante la pandemia, gli amanti del Louvre si sono dovuti rassegnare ad ammirare i capolavori con tour virtuali e gli hashtag #LouvreChezVous e @MouseeLouvre. La realtà virtuale però non può sostituire quella autentica. I funzionari del Louvre sperano che i musei possano riaprire presto, anche se la data dipende dall’andamento della pandemia.
Nel frattempo, da quando in Francia è entrato in vigore l’ultimo lockdown, lo scorso 30 ottobre, un piccolo esercito di circa 250 artigiani è al lavoro. Invece di aspettare il giovedì, tradizionale giorno di chisura del museo, curatori, restauratori, conservatori e altri esperti lavorano senza sosta cinque giorni alla settimana per completare le importanti opere di ristrutturazione e introdurre dei nuovi abbellimenti, che sperano di completare entro la metà di febbraio.
Alcuni interventi sono relativamente semplici, come spolverare le cornici di quasi 4.500 dipinti. Altri erculei, come la ristrutturazione della sala delle antichità egiziane e dell’ala Sully. Quasi 40mila pannelli esplicativi in inglese e francese saranno affissi accanto alle opere.
Già prima della pandemia al Louvre si rifletteva sulla gestione della folla. Ora le restrizioni sui viaggi hanno decurtato il numero di visitatori e alla riapertura il museo limiterà l’ingresso a chi ha un biglietto con prenotazione per rispettare i protocolli contro il covid. Sono in programma anche altri cambiamenti, come l’offerta di nuove esperienze interattive, comprese delle lezioni di yoga tutti i mercoledì vicino ai capolavori di Jacques-Louis David e Rubens, e laboratori in cui degli attori interpretano scene di quadri famosi davanti alle tele. “È un invito ad affermare che il museo è vivo e che le persone hanno il diritto di fare queste cose in questo posto”, spiega Marina Pia Vitali, vicedirettrice della mediazione e della programmazione culturale.
Del resto vedere la Venere di Milo _ergersi sul suo piedistallo senza i flash degli iPhone e ammirarne in tutta tranquillità i drappeggi di puro tessuto cesellati dal marmo incontaminato fa venire i brividi. Nella cavernosa sala rossa, dove si trovano dipinti monumentali francesi come l’incoronazione imperiale di Napoleone a Notre-Dame o la _Zattera della Medusa, si prova sollievo a non essere trascinati via dalla folla.
Nell’ala egizia gli esperti di antichità puliscono una stele granitica di due tonnellate che dominerà un nuovo ingresso. Gli operai ristrutturano la Mastaba di Akhethotep, parte di una tomba egiziana che è tra le opere più famose del Louvre, in una galleria ricoperta di polvere e disseminata di seghe e martelli.
Con uno spazzolino da denti per bambini la restauratrice Sophie Duberson rimuove delicatamente la sporcizia dai geroglifici della stele che forniscono istruzioni per riportare in vita nell’oltretomba Sesostri, potente faraone della dodicesima dinastia.
Vincent Rondot, direttore delle antichità egiziane al Louvre, ispeziona una struttura temporanea a sei livelli costruita attorno alla Mastaba. “Nessuno si rallegra per il virus”, dice Rondot. “Ma possiamo sfruttare la situazione perché ci consente di concentrarci sul lavoro”.
Programmazione complicata
D’altra parte la pandemia ha seminato il caos nella pianificazione delle mostre speciali. Il Louvre presta circa quattrocento opere all’anno ad altri musei e riceve numerosi prestiti per mostre speciali. “Tutti i musei del mondo stanno modificando la loro programmazione”, afferma Allard. Su un piccolo carrello è appoggiato nella sua elaborata cornice ovale l’autoritratto di un giovane Rembrandt, splendente con il suo allegro berretto nero, una spessa collana d’oro e un sorriso sicuro di sé. Quest’opera del 1633 era stata prestata all’Ashmolean museum di Oxford, dove è rimasta bloccata per tre mesi a causa delle restrizioni sui viaggi per il coronavirus. È tornata al Louvre da pochi giorni a bordo di un camion che ha attraversato il tunnel sotto la Manica.
Blaise Ducos, curatore capo della collezione di dipinti olandesi e fiamminghi del Louvre, di solito accompagna i prestiti all’andata e al ritorno, ma stavolta ha potuto guardare il disallestimento del Rembrandt solo in video. “Siamo felici di riaverlo qui”, dice.
Lì vicino alcuni operai si arrampicano su un’impalcatura con le rotelle per rimuovere l’enorme Venere nella fucina di Vulcano di Van Dyck. Se non ci saranno intoppi il dipinto andrà a Madrid.
“Il covid è stato una forza maggiore”, osserva Allard, mentre una coppia di dipinti olandesi viene issata al posto del Van Dyck. “Al momento abbiamo tanti interrogativi, è difficile sapere come sarà la situazione tra due, tre o quattro mesi. Nonostante il covid però, continueremo a lavorare”, prosegue Allard. “Dobbiamo essere pronti ad accogliere di nuovo il pubblico”. ◆ gim
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Questo articolo è uscito sul numero 1396 di Internazionale, a pagina 72. Compra questo numero | Abbonati