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cominciata l’Expo di Osaka. Non vivendo in Giappone, non ho un’esperienza diretta dell’evento e mi chiedo quanto entusiasmo stia realmente suscitando. Di recente sono stato intervistato dal quotidiano tedesco Der Spiegel, e il giornalista, appena rientrato da Osaka, ha commentato che “ovunque si vede solo un misto tra digitale e intelligenza artificiale”. Lo stesso discorso valeva per le Olimpiadi di Tokyo. In generale, sono scettico nei confronti dell’organizzazione di questi grandi eventi in Giappone, fondati su un sistema di valori ormai superati. Sono manifestazioni antiquate e incapaci di svolgere il loro compito principale: immaginare il futuro in modo creativo. Spiegherò il perché in quattro punti.

Il primo riguarda il clima, che rappresenta la differenza più significativa rispetto all’Expo di Osaka del 1970. Oggi la crisi climatica è un problema gravissimo, l’organizzazione di grandi eventi come questo comporta un enorme spreco di risorse. Dopo il nuovo stadio nazionale progettato da Kengo Kuma, stavolta al centro dell’attenzione c’è il Grand ring, una struttura di legno a forma di anello con una circonferenza di due chilometri, firmata dall’architetto Sou Fujimoto. Definire ecosostenibile questo progetto solo perché è costruito in legno non è altro che un’operazione di greenwashing, un’ecologia di facciata. Lo stadio nazionale è ancora in passivo, e il Grand ring, costato ben 35 miliardi di yen (circa 215 milioni di euro), sarà smantellato sei mesi dopo l’Expo. Al di là delle questioni economiche, il fatto stesso di mettere in piedi strutture gigantesche per eventi temporanei non ha senso, specialmente in un’epoca segnata dalla crisi climatica.

Un altro punto cruciale è quello dei terremoti. Le Olimpiadi di Tokyo del 2021 erano state presentate come simbolo della ricostruzione dopo il grande terremoto e maremoto del Tōhoku, ma questo non è bastato a mascherare la sofferenza della popolazione di Fukushima e la gravità dell’incidente nucleare avvenuto quell’anno. E oggi è impossibile non pensare alle persone colpite dal terremoto e dalle alluvioni del 2024 nella penisola di Noto. Non sarebbe stato più opportuno destinare i fondi previsti per l’Expo alla ricostruzione di quelle aree? Il settore edilizio è già in difficoltà a causa della carenza di manodopera, e c’è da chiedersi se eventi come l’Expo non stiano ostacolando ulteriormente gli interventi nell’area di Noto. Non bisogna dimenticare, inoltre, che la demolizione a spese pubbliche non sta procedendo come dovrebbe.

C’è anche il sospetto che l’Expo abbia come obiettivo principale lo sviluppo delle infrastrutture necessarie alla costruzione di un resort con casinò annesso, che sarà realizzato nell’area dell’esposizione una volta finito l’evento. Un tipico esempio di quello che lo studioso di scienze politiche statunitense Jules Boykoff definisce “capitalismo celebrativo”, cioè lo sfruttamento dell’entusiasmo suscitato dai grandi eventi per allentare le regolamentazioni e fare profitti approfittando del caos generale. Alla fine i resort con casinò costruiti con le nostre tasse finiranno per arricchire solo gli investitori stranieri.

Di recente è stato anche sollevato il problema dei casinò online nel mondo dello spettacolo, un fenomeno che ha spinto molti giovani alla dipendenza. Ormai è quasi superfluo sottolinearlo, ma nei casinò la maggior parte dei giocatori perde, e il banco vince sempre: chi potrà mai rendere felice un business del genere?

Infine, il tema dell’Expo è “Progettare una società del futuro in cui la vita risplende”, ma cosa avrebbe dovuto esporre Israele? Nonostante l’accordo per il cessate il fuoco firmato a gennaio, i massacri a Gaza sono ripresi e gli aiuti umanitari sono stati sospesi. Il fatto che lo stato ebraico faccia prediche sull’importanza della vita durante l’Expo è ridicolo. La sua partecipazione avrebbe dovuto essere vietata, come avvenne per il Sudafrica, escluso dai Mondiali di calcio e dalle Olimpiadi fino al 1991, quando fu eliminato l’apartheid.

Una pressione internazionale esercitata attraverso mezzi non violenti come questo ha il potere di cambiare la società, e a differenza di paesi come la Germania e gli Stati Uniti, il Giappone avrebbe avuto la possibilità di imporre sanzioni simili a Israele. Invece su questo tema non c’è stata nemmeno una discussione.

Chi vorrebbe semplicemente divertirsi a questi eventi potrebbe lamentarsi di questi discorsi. Ma il fatto di potersi divertire senza pensieri è un privilegio riservato a chi ha più potere, ed equivale a tapparsi le orecchie di fronte alla voce delle persone che soffrono. Se vogliamo cambiare le cose in futuro, bisogna che la maggior parte delle persone, quella che attualmente venera eventi come le Olimpiadi e l’Expo, cambi la sua visione del mondo. ◆ jb

Questo articolo è uscito sul settimanale giapponese Josei Seven.

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Questo articolo è uscito sul numero 1611 di Internazionale, a pagina 46. Compra questo numero | Abbonati