Durante un incontro su Carla Lonzi, discutendo del suo capolavoro Taci, anzi parla, ho esplicitato cosa in questa opera mi ha creato un turbamento profondo. Per tanti aspetti, la lettura dei suoi diari coincide con il vocale di un’amica che non finisce mai, in cui il lavorio per arrivare al centro di se stesse, per quanto mobile, crea sentimenti d’identificazione intensi e laceranti da cui si emerge a fatica, e solo con scatti radicali di volontà. È un’esperienza che si ritrova nella filosofia lirica di Clarice Lispector e Cristina Campo, ma loro hanno lavorato soprattutto sulla forma breve, mentre nei diari Lonzi dilaga. Può una sostenibilità quotidiana e politica discendere da questo tipo di mistica? Forse no, ma il desiderio innescato da Lonzi val bene questo prezzo. Cosa c’entra questa premessa con una rubrica che volevo dedicare alla canzone dell’estate? Quando ho sentito La notte di Andrea Laszlo De Simone, uscita lo scorso maggio in vista dell’imminente album, mi sono chiesta se valesse un po’ la regola contraria, e cioè se da un lavoro gentile e raffinato di questo autore, pienamente sostenibile nell’economia delle nostre giornate, non potesse invece spandersi una specie di magniloquenza, se la sua musica non fosse sempre stata un portale discreto – come la porta che si apre per ultima in un castello di fantasie perché sembra quella più familiare – per accedere a una quiete infinita. La risposta è sì, è questo che la sua musica offre e di cui essere grati in un’estate in cui le porte del pop glitterato sono blindate. ◆

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Questo articolo è uscito sul numero 1621 di Internazionale, a pagina 86. Compra questo numero | Abbonati