Vladimir Putin di solito arriva in ritardo alle sedute plenarie, e in occasione del Forum Artico internazionale russo di fine marzo si è presentato quaranta minuti prima dei collegamenti di Steve Rosenberg con News at six e con il canale Radio 4 della Bbc. “Siccome in questo momento sono l’unica persona della Bbc in Russia, sono costantemente reperibile, ed è stancante”, dice Rosenberg in tono gioviale, collegato su Zoom da una stanza dalle pareti bianche a Mosca.

Mentre aspettava Putin, si è messo a lavorare sul cellulare al suo ultimo medley di canzoni in gara all’Eurovision: tutti e 37 i brani assemblati in un unico pezzo per pianoforte da undici minuti. Ha deciso che dopo quella dell’Albania ci sarebbe stata bene la canzone della Croazia. Insieme al suo lavoro di corrispondente, si è intensificato anche il suo impegno musicale. Rosenberg ormai fa sempre più affidamento sulla “santissima trinità” formata da moglie, cane e pianoforte.

Neanche l’Eurovision è un passatempo rilassante per lui: come tutte le ossessioni, sembra toccare qualcosa di più profondo. L’edizione del 1974 (vinta dagli Abba con Waterloo) fu per lui, all’epoca un bambino di sei anni cresciuto nella cittadina britannica di Chingford, il primo indizio della vastità del mondo e al tempo stesso della sua potenziale armonia. Il piccolo Rosenberg cominciò a scrivere lettere alle varie sezioni della Bbc – la redazione sportiva, quella del Finnish ser­vice – e saltò un giorno di scuola per far visita con sua madre al direttore generale Alasdair Milne.

Alcuni adolescenti sono ossessionati dall’Unione Sovietica, con i loro istinti rivoluzionari latenti infiammati dalle foto di Trockij e dai suoi occhialini tondi. Rosenberg invece è stato fin dall’inizio un fan della perestrojka, le riforme moderatamente liberiste avviate da Michail Gorbačëv alla fine degli anni ottanta. Da ragazzo seguiva un corso di russo della Bbc nel quale compariva la canzone Do svidanija leto (Addio, estate).

Quando nel 2013, dopo un’intervista, accompagnò Gorbačëv al pianoforte mentre cantava Mezzanotte a Mosca questo gli fece capire più cose dell’ex presidente di quante non ne avesse imparate nei cinque colloqui avuti con lui in passato: “Era il tipico politico, ma quando cantava mostrava la sua umanità”. È difficile immaginare Putin concedersi per un duetto. Anche se Rosenberg mi ricorda che c’è un video del presidente mentre canta Blueberry hill con una band.

Rosenberg si è esibito dal vivo alla tastiera nel 2023 durante l’Eurovision sui canali della Bbc, ma quest’anno non lo farà: “Troppe cose a cui pensare”. Quasi quarantacinque anni dopo la sua soppressione, invece, Putin sta resuscitando l’Intervision, il concorso musicale rivale creato al culmine della guerra fredda. Mentre i paesi dell’ex blocco orientale sono ormai impegnati altrove, alla Russia si uniranno la Cina e altri paesi dei Brics (Brasile, Russia, India, Cina e Sudafrica).

Le tre Russie

Rosenberg vive in Russia dal 1991. Si trasferì quando aveva ventitré anni per insegnare inglese a Mosca. Poi si fece strada nell’emittente statunitense Cbs e nel 1997 cominciò la sua carriera alla Bbc occupandosi di produzione. La sua prima volta in onda fu in una situazione d’emergenza: era l’unico in studio al momento delle dimissioni di Boris Eltsin. Era il 31 dicembre 1999. Rosenberg dice che la sua vita ha attraversato tre Russie: i caotici e sregolati anni novanta, gli anni stranamente tranquilli del primo Putin, e oggi, dopo l’invasione dell’Ucraina, quello che definisce “Putin Z”.

“Puoi vivere qui tutta la vita, ma questo non farebbe di te un esperto di Russia”

Quando Rosenberg va fuori città, come per andare nell’Artico, non ha nessuno a sostituirlo. Nel 2021 la corrispondente della Bbc Sarah Rainsford è stata espulsa dalla Russia e bandita a vita dal paese; l’anno successivo anche Nick Beake, Orla Guerin e Clive Myrie sono stati aggiunti alla lista nera del Cremlino. Altri oggi vivono a Berlino e vorrebbero disperatamente tornare. Ci sono ancora troupe giornalistiche straniere a Mosca, ma sono sempre di meno. “Ci si sente più soli rispetto a prima”, dice Rosenberg, sorridente. Tutti i reporter rimasti hanno visti turistici di tre mesi.

Fare il corrispondente dalla Russia è come fare immersioni subacquee, commenta Rosenberg: “Metti il respiratore e ti tuffi in questo mondo sottomarino. C’è stata un’alluvione nel 2022 (si riferisce all’invasione dell’Ucraina) ed è stato tutto sommerso. Nuoti sott’acqua e ci sono squali che ti attaccano e ogni tipo di pericolo, è per questo che ogni tre mesi devi risalire a galla per respirare”.

Uscire dal paese con regolarità è diventato fondamentale per lui, per motivi pratici e di salute mentale. Ma ogni volta che Rosenberg e sua moglie Raisa (cittadina russa) vogliono vedere i due figli ventenni, che vivono entrambi nel Regno Unito, devono fare scalo a Istanbul e ci mettono sedici ore. “È difficile andare avanti con la tua vita senza sapere cosa può succedere domani. Gli ultimi tre anni hanno messo a dura prova il mio amore per la Russia. Ma non avrebbe senso stare qui se non raccontassi quello che sta succedendo”.

Alla conferenza stampa dei Brics nell’ottobre 2024, quando si è alzato in piedi per fare una domanda a Putin, l’addetto stampa russo Dmitrij Peskov gli ha dato una stoccata: “Steve Rosenberg, un ospite raro di questi tempi”.

“Non ho capito quella battuta”, dice Rosenberg, imbarazzato. La sua domanda a Putin – calma, ragionevole e pronunciata in perfetto russo – faceva accelerare i battiti del cuore: “Ho letto la dichiarazione finale del vertice dei Brics. Parla della necessità di stabilità e sicurezza globale e regionale, e di un mondo giusto. Cosa c’entra questo con le sue azioni degli ultimi due anni e mezzo, con l’invasione dell’Ucraina? Dove sono la giustizia, la stabilità e la sicurezza? Compresa la sicurezza della Russia, perché prima dell’inizio dell’‘operazione militare speciale’ non c’erano attacchi di droni sul territorio russo. E neppure bombardamenti sulle città. Infine, come si concilia questo con le recenti dichiarazioni dell’intelligence britannica secondo cui Mosca vorrebbe diffondere il caos nelle strade europee attraverso incendi e atti di sabotaggio? Dov’è la stabilità? La ringrazio”.

Questi interventi sono pensati sillaba per sillaba, spiega Rosenberg. “Una settimana prima della conferenza stampa cominci a pensare a una domanda, a scriverla e riscriverla. Devo usare la parola guerra? E invasione? Fai continue prove, perché quando ci sono le telecamere accese non ti puoi certo permettere d’incasinarti”.

Mentre Rosenberg parlava, Putin prendeva appunti ed è scoppiato a ridere sulla parte riguardante gli incendi. Poi ha risposto facendo otto domande al giornalista e accusando i paesi occidentali di aver ampliato la Nato in modo aggressivo a est. È così che il più delle volte lo tratta il presidente. “Una volta ho detto: ‘Scusi, questa è la sua conferenza stampa. Sono io che faccio le domande!’”, racconta. “Se sei un giornalista britannico in questo momento sei il nemico pubblico numero uno. Eppure agli eventi di Putin c’invitano, di tanto in tanto”. Rosenberg, sempre sereno e rilassato, sta ballando una delicata danza che solo lui è in grado di capire.

Magari ottiene delle risposte alle domande, ma non ha mai avuto un faccia a faccia con Putin. È riuscito ad averlo con il presidente della Bielorussia, Alexander Lukašenko, che Rosenberg aveva contattato per la prima volta nel 1999 e che ha incontrato a gennaio, ventidue anni dopo. “È l’ultimo dittatore d’Europa, ma è ancora disposto a sedersi e battibeccare”, dice. “Ti dà l’impressione che gli piaccia la sfida di ricevere domande che normalmente non gli vengono poste, di sicuro non dai giornalisti dei mezzi d’informazione statali. In quella intervista è stato tutto e il contrario di tutto: prepotente e amabile, ha minacciato di mettere fine all’intervista e ha detto di essere contento di farla. Ogni genere di emozione, e tu devi solo startene lì seduto e fare in modo di non concedergli uno spazio da cui diffondere la disinformazione”.

Colpa di Steve

Lukašenko sembra avere un debole per Rosenberg. Come mai? “Mi piacerebbe saperlo. Dev’esserci una certa sintonia”. Nel giorno delle elezioni – dice facendo con le mani il gesto delle virgolette – il presidente ha tenuto una conferenza stampa di quattro ore e mezza e Rosenberg è stato il secondo a intervenire. “Lui ha detto: ‘Steve, fammi altre domande’. Io ho risposto: ‘Ci sono altre persone qui, per favore le lasci fare a loro’”. Un giornalista russo gli ha chiesto perché aveva deciso di schierare i nuovi missili ipersonici russi Orešnik, e lui ha risposto: “È colpa di Steve. L’anno scorso mi ha criticato per aver usato i missili nucleari, quindi ho pensato di prenderne altri”.

Rosenberg non ha intenzione di dire a Lukašenko che anche lui è di origini bielorusse ed ebraiche. Il suo bisnonno era nato in uno shtetl (un insediamento ebraico) a Škloŭ, dove Lukašenko anni dopo è stato capo di una fattoria collettiva. Škloŭ è la capitale del cetriolo della Bielorussia e nell’ottocento era al 90 per cento ebraica. “Ora ne sono rimasti pochissimi”, dice Rosenberg. Il suo bisnonno aveva comprato un biglietto per gli Stati Uniti, ma fu vittima di una truffa, la nave era in realtà diretta verso il Regno Unito. “Quanto sarebbero state diverse le cose”, dice. “Avrei potuto lavorare per la Cnn”.

Molte persone straniere che vivono da decenni a Mosca probabilmente si considerano russe. L’abilità di Rosenberg di mimetizzarsi tra la gente può giocare a suo vantaggio: padrone della lingua e di aspetto vagamente russo. Un tempo passava inosservato: “Ma sta succedendo una cosa strana. Ogni giorno c’è un talk show alla tv di stato in cui mostrano frammenti di servizi di giornalisti stranieri. Le persone mi vedono che faccio domande a Putin e mi riconoscono per strada più spesso che in passato. E questo mi disorienta, perché vorrei non essere notato”.

Biografia

1968 Nasce a Epping, nel Regno Unito.
1991 Si laurea in russo all’università di Leeds e si trasferisce a Mosca.
1994 Comincia a lavorare per la televisione statunitense Cbs e segue la guerra in Cecenia.
1997 È assunto dalla Bbc, dove si occupa della produzione.
2003 Diventa il corrispondente da Mosca.
2006 Comincia a fare il corrispondente da Berlino, prima di tornare in Russia nel 2010.
gennaio 2025 Intervista il presidente bielorusso Aleksandr Lukašenko.


Rosenberg si sveglia alle cinque del mattino e porta a spasso il cane, poi va in redazione, si collega per le dirette e fa una rassegna stampa per i social media. Spesso resta lì tutto il giorno fino alla fine di News at Ten, che va in onda quando a Mosca è mezzanotte. All’inizio dell’era Putin era difficile trovare notizie. Scovava cose buffe, come il concorso canoro nazionale per detenuti: il primo premio era la libertà. La sua troupe ha avuto accesso al campo di prigionia numero 15 tra i monti Urali: “Abbiamo intervistato un detenuto, credo che avesse commesso un crimine orrendo, ma aveva una voce melodiosa e suonava l’arpa. Non ha vinto, penso perché il suo reato era troppo ripugnante, ed è stato un imbroglio: la persona premiata stava per essere rilasciata con la condizionale”.

Nel 1990 Rosenberg era in fila per l’apertura del primo McDonald’s di Mosca, quando un lungo serpentone di persone percorse piazza Puškin per tre ore. La McDonald’s ha lasciato il mercato russo nel 2022, quando ha venduto i suoi ristoranti a un acquirente locale: nella nuova catena, la Vkusno i točka, le patatine fritte sono diverse. Lo Starbucks russo invece si chiama Stars Coffe e il suo logo non è una sirena ma una donna con il fazzoletto annodato in testa: Rosenberg mi manda una foto dal telefono. “Sono passati solo tre anni, e non riconosco più questo posto, capisci?”.

Negli anni novanta, dice, c’era grande ottimismo nell’aria. “La gente aveva una visione del futuro. Oggi non sanno cosa aspettarsi, quindi aspettano a testa bassa”. Negli anni novanta Rosenberg è comparso in un programma satirico, Belyj popugaj (Il pappagallo bianco), condotto dal clown più famoso della Russia, Jurij Nikulin. Il clown cominciò a cantare una canzone su una donna russa che durante la seconda guerra mondiale s’innamora di un marinaio inglese: “Sembrava che la Russia e il Regno Unito fossero vicini. Poi ognuno ha preso la sua strada”.

Di recente il giornalista è andato sul luogo di un attacco con droni ucraini a Mosca. Un abitante del posto l’ha riconosciuto e ha urlato: “Appena succede qualcosa di brutto, tu sei lì come un avvoltoio”. Rosenberg è molto ferito da questo genere di cose, perché lui cerca di parlare il più possibile con le persone comuni. In passato ha realizzato dei brevi video con l’edicolante del suo quartiere, Valentina; quando la donna ha lasciato Mosca per curare il cancro, ha scritto per lei la canzone Valentina’s song (Tomorrow will be better than today) (Domani sarà meglio di oggi) e l’ha registrata con il coro dei Bbc Singers, usandola come una metafora di calma nel caos di Mosca.

Due giorni dopo l’episodio dell’“avvoltoio”, si è fermato in un minimarket poco fuori della capitale per comprare dei biscotti, e un uomo in fila ha voluto pagarglieli a tutti i costi. “Persone del genere mi fanno sperare che non tutti i russi siano convinti che gli occidentali sono cattivi”. A volte nel Regno Unito il giornalismo basato sulle interviste alla gente comune è considerato di basso livello, ma in Russia, dice Rosenberg, è più importante che mai, anche se oggi è pericoloso per gli intervistati: “Tutti quelli con cui parliamo chiamano quella in Ucraina una guerra, non dicono ‘operazione militare speciale’. E tutti quelli con cui parlo vogliono che finisca, in un modo o nell’altro. Percepisco in loro una specie di stanchezza”.

La guerra va avanti

Cosa ne pensa dei colloqui di pace? “Mosca vuole andare avanti con la guerra. Sta conquistando altri territori, non rapidamente, ma senza fare concessioni. Quando vedi Putin nei dibattiti sembra molto più sicuro di sé rispetto a un paio di anni fa. Certamente sente che sta per chiudere la faccenda e secondo lui più il conflitto va avanti meno l’occidente sarà interessato ad appoggiare Kiev. Quindi non vedo una fine imminente, e nel frattempo la gente muore. È terribile. E adesso molto strano, con questo rapporto tra Putin e Trump. Dove ci porterà?”.

Poi, come ogni bravo giornalista, comincia a chiudere il notiziario: “Va bene così?”, chiede. “Voglio dire solo un’altra cosa. Puoi vivere qui tutta la vita, ma questo non farebbe di te un esperto di Russia. Io non pretendo di capire perfettamente cosa sta succedendo. Non avrei mai pensato che avrebbero invaso l’Ucraina”.

Riuscirà prima o poi a ottenere la sua intervista? “Non sono ottimista”, dice. “Ma magari Lukašenko metterà una buona parola per me”. ◆ fdl

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Questo articolo è uscito sul numero 1614 di Internazionale, a pagina 68. Compra questo numero | Abbonati