A febbraio del 2020 a Doha, in Qatar, al termine di otto mesi di faticosi negoziati, gli Stati Uniti e i taliban hanno firmato un accordo di pace. Il processo non ha coinvolto il governo afgano, che poi è stato messo davanti al fatto compiuto. E si è trovato a un tavolo negoziale in cui non era il vero artefice delle misure per rafforzare la fiducia reciproca concordate dall’inviato di pace statunitense Zalmay Khalizad e dai delegati taliban ai negoziati di Doha.

Più di un anno dopo, due round di colloqui sono stati dedicati al tentativo di raggiungere un accordo generale per una futura trattativa e su un ipotetico piano di pace. La lentezza estenuante del negoziato tra Kabul e i taliban ha chiarito definitivamente che manca la volontà politica di uno dei fronti coinvolti, mentre si avvicina rapidamente la scadenza del 1 maggio fissata per il ritiro delle truppe statunitensi.

I primi beneficiari saranno i taliban, che otterranno legittimità internazionale

Di recente il segretario di stato statunitense Antony Blinken ha inviato al presidente afgano Ashraf Ghani una lettera in cui emerge la frustrazione per l’assenza di progressi nel processo di pace. La lettera di Blinken propone di istituire un governo ad interim, manifestando chiaramente la disponibilità degli Stati Uniti a fare marcia indietro sui diritti conquistati a fatica negli ultimi vent’anni dagli afgani e sul tentativo di creare uno stato afgano democratico che sia accettabile agli occhi occidentali.

Una conferenza internazionale

Ad aprile si svolgerà una conferenza internazionale ad Ankara, in Turchia, sotto la supervisione dell’Onu, e tra i partecipanti ci saranno Cina, Iran, Russia, India e Pakistan. I paragoni con le conferenze del 2001 e 2011 sono automatici, ma andrebbero evitati considerando il contesto nettamente diverso di oggi. In primo luogo, i taliban sono passati dallo status di “persona non grata” del 2001 a quello di ospiti d’onore; il governo afgano invece è stato relegato al ruolo di ospite riluttante, mentre in passato era considerato un elemento essenziale per la costruzione di un nuovo stato.

In secondo luogo, la conferenza fa parte di una strategia d’uscita incentrata sulla soluzione del conflitto e sul consolidamento della pace con tempi irrealistici, e che trascura totalmente le lezioni ricavate dal fallimento dei tentativi precedenti di stabilizzare la situazione e mitigare i conflitti. Il risultato sarà l’integrazione dei taliban in una sorta di governo ibrido chiamato “governo di pace di transizione dell’Afghanistan”, all’interno di un ambizioso piano per portare il paese alla stabilità coinvolgendo i taliban e nel frattempo tentando, almeno sulla carta, di favorire l’uguaglianza etnica e di genere. I taliban devono ancora esprimersi sul piano.

Ma a chi converrà l’ennesimo tentativo condotto dall’esterno, esclusivo e guidato dagli Stati Uniti di trovare una strategia d’uscita per una comunità internazionale ormai sfiancata a forza di dare aiuti? I primi beneficiari saranno i taliban, che otterranno una legittimità internazionale, un enorme potere politico e un ruolo cruciale nel determinare l’assetto futuro dello stato afgano collaborando alla gestione di un “Alto consiglio per la giurisprudenza islamica e di una Commissione per preparare una nuova costituzione”. Il piano prevede anche la possibilità di sospendere l’attività del parlamento e annullare le elezioni, e il governo del paese a livello locale potrebbe rapidamente ripiombare nel caos dell’era postsovietica.

Da sapere
Una scadenza da rinviare

In base all’accordo firmato da Stati Uniti e taliban nel febbraio 2020, Washington dovrebbe ritirare gli ultimi 2.500 soldati ancora in Afghanistan entro il 1 maggio 2021 (il numero effettivo sarebbe 3.500 perché le forze per le operazioni speciali non sono incluse nella cifra ufficiale, scrive il New York Times). Ma quando la data è stata fissata, doveva ancora cominciare la parte più difficile: i colloqui tra il governo di Kabul e i taliban. Fino ad allora i ribelli si erano rifiutati di sedersi allo stesso tavolo con i delegati del presidente Ashraf Ghani. I colloqui sono cominciati a settembre, in ritardo rispetto alla tabella di marcia, ma le posizioni delle due parti sono troppo distanti e sono oggi in una fase di stallo. Nel frattempo i taliban hanno continuato a fare attentati e a prendere di mira i civili. In vista della scadenza del 1 maggio, impossibile da rispettare considerata la precaria situazione della sicurezza nel paese, l’amministrazione Biden ha provato a forzare l’uscita dall’impasse proponendo a Ghani, all’opposizione, alla società civile e ai taliban un piano, che i destinatari stanno discutendo. La “via d’uscita” proposta da Washington, trapelata e pubblicata da Tolo News all’inizio di marzo, prevede un cessate il fuoco generale e un governo ad interim composto da un esecutivo, un parlamento allargato ai taliban e un organo giudiziario composto per quasi la metà di taliban. Nel frattempo il parlamento dovrebbe scrivere una nuova costituzione per poi portare il paese alle elezioni. Il piano prevede anche una serie di incontri internazionali. “Come fare per condividere il potere con un gruppo di ribelli non eletti che fanno del loro meglio per sconfiggerti?”, scrive l’analista David Andelman sulla Cnn. “La risposta è probabilmente quella che gli americani non vorrebbero sentire: le forze statunitensi dovranno rimanere in Afghanistan per garantire una parvenza di ordine, a meno che Washington non riesca a convincere il Pakistan a smettere di sostenere i taliban a ogni costo”. ◆


Tra i beneficiari ci sarà anche l’assortimento di influenti intermediari politici che non fanno parte del governo e troveranno nella situazione attuale l’ennesima opportunità d’indebolire l’amministrazione Ghani, costruendo alleanze politiche fluide (anche con i taliban) per influenzare i procedimenti e rafforzare i rispettivi elettorati geografici ed etnici.

Gli attacchi
Chi colpisce i civili

*Forze militari internazionali, gruppi armati filogovernativi, forze filogovernative non identificate

◆ Nel 2020 in Afghanistan sono stati uccisi più di tremila civili, e cinquemila sono rimasti feriti. Responsabili degli attacchi, percentuale.


Gli Stati Uniti avranno creato un percorso credibile per il ritiro (totale o parziale) delle loro truppe, mentre i partner regionali beneficeranno del vuoto lasciato da Washington e dell’espansione dei loro interessi geopolitici. Come già dimostrato, sarà impossibile garantire che i taliban aderiscano al piano per la rimozione “della loro struttura militare e dei loro avamposti nei paesi vicini”, e accettino “la fine dei loro rapporti militari con i paesi stranieri”, un velato riferimento al Pakistan. Al contrario, la legittimità ottenuta dai taliban spingerà altri gruppi ribelli a costruire alleanze e rafforzare reti nella regione. Infine, l’Onu potrà assumere un ruolo più centrale, facendo da mediatore nel processo di pace e da supervisore di questioni di grande visibilità e impatto emotivo come i diritti umani e il processo democratico. Anche con l’aumento del sostegno internazionale, resta da capire se l’Onu saprà assicurare che entrambe le parti vadano oltre la retorica e mettano in pratica le misure concordate.

La vittima più ovvia del nuovo piano sarà il governo di Kabul, cioè quello di Ghani, che sarà costretto a lasciare spazio a un governo ad interim o di transizione e ad aggrapparsi a una costituzione che sarà inevitabilmente modificata per inserire le priorità dei taliban.

Ma le vittime reali saranno le stesse del sistema imperfetto di oggi: donne, giovani e minoranze. Fin dal 2001 i fondi, l’influenza e la retorica degli agenti esterni hanno effettivamente aiutato queste categorie, ma il progresso non è stato distribuito equamente a livello sociale o geografico. Con la legittimazione e il rafforzamento dei taliban, le donne andranno incontro a una maggiore oppressione culturale, mentre le minoranze subiranno forme strutturate di persecuzione. Infine i giovani, la categoria demografica più consistente dell’Afghanistan, dovranno scalare una montagna ancora più alta per riuscire a migliorare la loro vita e il loro paese. ◆ as

Internazionale pubblica ogni settimana una pagina di lettere. Ci piacerebbe sapere cosa pensi di questo articolo. Scrivici a: posta@internazionale.it

Questo articolo è uscito sul numero 1401 di Internazionale, a pagina 32. Compra questo numero | Abbonati