Al centro del vertice della Nato che si è tenuto il 24 e il 25 giugno all’Aja c’è stato l’impegno chiesto agli stati alleati di aumentare i propri bilanci per la difesa al 5 per cento del pil. Le richieste in tal senso erano state espresse più volte dal presidente degli Stati Uniti Donald Trump e trasmesse agli alleati europei dal suo più fedele e ossequioso rappresentante sul continente, il segretario generale dell’alleanza atlantica Mark Rutte.
Un aumento così esorbitante – fino al 2024 si richiedeva un impegno dell’1,9 per cento – dovrebbe avere una giustificazione altrettanto rilevante, quantomeno perché i leader europei che lo accetteranno ne avranno bisogno per spiegarlo ai loro elettori. Ma l’unica minaccia all’orizzonte che potrebbe motivare questo aumento è la Russia, in seguito alla sua aggressione all’Ucraina. Tuttavia la debolezza delle forze militari convenzionali russe è così evidente – in tre anni non sono riuscite a occupare nemmeno le province che hanno ufficialmente annesso e ci sono voluti sette mesi per espellere le forze ucraine che avevano occupato una parte del territorio russo – che è difficile, al momento, vedere il presidente Vladimir Putin come una minaccia esistenziale per l’Europa.
Quindi ora la questione è la forza (ipotetica) che Mosca potrebbe avere tra sette o dieci anni e la sua (presunta) volontà di continuare le sue conquiste. Qualcosa di piuttosto improbabile considerando l’economia e la demografia del paese. La realtà, e lo sanno bene tutti i capi di stato maggiore, è che la Russia oserebbe attaccare un paese della Nato solo se fosse certa che la solidarietà alleata non funzionerebbe, cioè che gli altri stati non rispetterebbero il loro impegno di difesa reciproca. Un impegno che non si è mai basato sulla maggiore o minore capacità militare della Nato, la cui superiorità sulla Russia è attualmente schiacciante e resterà tale finché esisterà.
Trump neanche menziona la minaccia russa come base delle sue richieste, forse perché oltre alla pace in Ucraina sta negoziando con Putin un ampio accordo economico e politico (addirittura acquistando uranio da Mosca), visto che il suo interesse è allontanare l’Europa dalla Cina, unico rivale strategico degli Stati Uniti. Secondo le sue argomentazioni gli statunitensi hanno già speso molto per la difesa dell’Europa e ora spetta agli europei farsene carico, o addirittura risarcirli. Un’argomentazione falsa, perché la presenza degli Stati Uniti nella Nato e tutti i soldi che hanno speso per i loro dispiegamenti in Europa non dovevano servire per difendere gli europei ma se stessi, in un territorio molto lontano qualora l’Unione Sovietica avesse deciso di attaccare.
In ogni caso, non è accettabile stabilire arbitrariamente come obiettivo di spesa una percentuale del pil uguale per tutti e per un periodo di tempo indefinito. Le forze armate di ciascun paese della Nato hanno stati di operatività diversi e capacità e vulnerabilità differenti. È impossibile che tutte abbiano le stesse esigenze nel tempo: alcune dovranno aumentare la spesa militare per qualche anno e rinnovare parte delle proprie risorse, per poi tornare a una spesa inferiore; altre potrebbero aver recentemente rinnovato le risorse più costose e non aver bisogno di tale aumento. Ecco perché è assurdo e inefficace sollecitare un aumento percentuale generalizzato. Come sostiene il governo spagnolo, il modo logico per migliorare la sicurezza collettiva è negoziare con ciascun alleato le capacità che dovrebbe mettere a disposizione tenendo conto delle singole circostanze economiche e sociali, consentendogli di decidere liberamente come acquisire quelle che ancora non possiede e adeguare di conseguenza la propria spesa per la difesa.
Senza un piano
Quando è necessario un miglioramento quantitativo o qualitativo in qualsiasi ambito, che riguardi una spesa pubblica o un’azienda privata, si procede innanzitutto con uno studio della situazione, si definiscono gli obiettivi, si stabilisce un piano di miglioramento, si studiano i programmi per realizzarlo, si analizzano le alternative e i relativi costi e, infine, si stila un bilancio. Ecco come si agisce razionalmente: piano, programma, bilancio.
Ma niente di tutto questo è stato fatto. Non esiste uno studio serio e aggiornato né della minaccia e delle sue possibilità né delle vulnerabilità dell’Alleanza né dei mezzi necessari per superarle o dei fondi realmente necessari a tal fine. Lo scopo è solo quello di aumentare la spesa e poi si vedrà il motivo. Si tratta in ultima analisi – ed esclusivamente – di obbedire agli ordini del presidente degli Stati Uniti, anche se non si sa con certezza se questo aumento sia necessario o come sarà investito.
Tuttavia i paesi dell’Europa orientale e settentrionale, più vicini alla Russia e quindi più vicini alla minaccia, hanno già dimostrato la loro disponibilità ad accettare le richieste di Trump, e stanno perfino spingendo per scadenze più brevi. Non tanto perché ritengono che una spesa così lineare, senza un piano chiaro, senza sapere per cosa servirà, migliorerà le loro capacità difensive, ma semplicemente perché Trump lo chiede e loro accetteranno qualsiasi sua richiesta – ragionevole o meno – affinché non attui la minaccia di ritirarsi dall’Europa: non hanno fiducia nei loro alleati europei e considerano gli Stati Uniti la loro unica vera garanzia di sicurezza.
Non è accettabile stabilire arbitrariamente come obiettivo di spesa una percentuale del pil uguale per tutti e per un periodo indefinito
Dovrebbero sapere – forse alcuni lo sanno – che è una minaccia come tante altre, che Trump non metterà mai in atto perché andrebbe contro gli interessi degli Stati Uniti. I buoni rapporti con l’Unione europea sono essenziali per Washington: non solo è il suo secondo partner commerciale dopo il Canada, ma costituisce anche un supporto essenziale nella sua lotta commerciale e tecnologica con la Cina. Un divorzio dall’Europa sarebbe un dramma geopolitico per gli statunitensi, anche in ambito militare. Gli Stati Uniti hanno più di trenta basi in Europa, sei delle quali ospitano armi nucleari. Si tratta di un elemento fondamentale nello schieramento militare delle forze statunitensi, la loro garanzia di difesa avanzata, non solo contro la Russia – nel caso fosse necessario – ma contro qualsiasi minaccia alle loro risorse o interessi proveniente dal Medio Oriente o perfino dall’Africa. E non ci rinunceranno, che gli europei accolgano o meno le richieste di aumento.
Chi ne fa le spese
L’unico risultato che si otterrà aumentando del 250 per cento la spesa dei paesi europei della Nato sarà quello di rimpinguare le casse delle aziende di armi statunitensi, che hanno generosamente finanziato la campagna elettorale di Trump e di altri politici del Partito repubblicano (ma anche dei democratici), soprattutto perché le aziende europee non sono in grado di competere e non lo saranno per molti anni. Inoltre crescerà il deficit e con esso il debito pubblico europeo, in un momento in cui la sua economia non è esattamente in piena espansione, nonostante l’ingegneria fiscale approvata dalla Commissione, un problema serio su cui il Fondo monetario internazionale ha già messo in guardia. Naturalmente un incremento così significativo della spesa militare, che in Spagna arriverebbe a più di 80 miliardi all’anno, richiederebbe un aumento delle tasse – nei paesi dove governa la destra, non necessariamente a carico dei ricchi – e un taglio della spesa sociale, che è fondamentale per contrastare le disuguaglianze e aiutare i più svantaggiati, un aspetto essenziale ma sempre insufficiente in qualsiasi paese democratico.
Portare la spesa per la difesa al 5 per cento del pil è del tutto ingiustificato e danneggerebbe il benessere dei cittadini e lo sviluppo. Per questo il premier spagnolo Pedro Sánchez si è rifiutato di prendere questa difficile decisione e ha scritto una lettera a Rutte per informarlo della sua scelta. Il governo spagnolo non sarà solo: la sua leadership probabilmente spingerà altri alleati ad assumere la stessa posizione, o almeno a cercare di ritardare i tempi e l’intensità dell’impegno. Si afferma semplicemente che stabilire una percentuale fissa non è una procedura appropriata o equa e non garantisce né vantaggi né una maggiore sicurezza.
È una posizione coraggiosa e c’è da sperare che per una volta il Partito popolare spagnolo metta da parte la sua ossessione di rovesciare il governo e l’appoggi. Per quanto riguarda la sinistra, sarebbe impensabile che qualcuno si opponesse a una decisione che per la prima volta fa ciò che i partiti progressisti hanno sempre chiesto: dare priorità alla spesa sociale e al benessere dei cittadini invece che a un massiccio riarmo.
Più indipendenti
Dopo aver appreso della lettera a Rutte, la Casa Bianca ha ribadito che tutti gli alleati europei devono raggiungere il 5 per cento: è una dichiarazione insolente e irrispettosa delle decisioni di un alleato. Dimostra – ancora una volta – che la Nato è un’organizzazione subordinata agli Stati Uniti, che difende solo gli interessi statunitensi e le cui decisioni sono prese dal presidente degli Stati Uniti. Questo dovrebbe far riflettere sulla necessità di raggiungere una difesa comune europea autonoma, che renda il continente indipendente da Washington e ci permetta di difendere i nostri valori e interessi, a modo nostro, e non loro. Una strada che gli europei sostengono compattamente secondo tutti i sondaggi e perfettamente percorribile mettendo in comune i soldi che i 27 stanno già spendendo, ma che molti dei suoi leader – per paura o per convenienza – sono riluttanti a intraprendere.
La Nato s’impegna ad aumentare la spesa militare al 5 per cento del pil, come ordinato da Donald Trump, osserva El Diario. “È il principale risultato del vertice dell’Aja. Il testo include l’espressione generica ‘alleati’ e non ‘tutti gli alleati’, il che consente un’interpretazione flessibile. ‘Questo impegno comprenderà due categorie essenziali di investimenti: almeno il 3,5 per cento del pil per le esigenze di difesa fondamentali’, si legge nella dichiarazione, e l’1,5 per cento per la protezione delle infrastrutture sensibili e il rafforzamento dell’industria della difesa”. L’unico paese a non aver sottoscritto l’impegno è la Spagna, che intende restare al 2 per cento del pil e contro cui Donald Trump ha rivolto parole minacciose: “Pagherà il doppio”.
“Il segretario generale della Nato Mark Rutte ha organizzato un vertice su misura per Trump, durato solo mezza giornata”, continua il quotidiano spagnolo. “Il testo si compone di cinque punti: una dichiarazione insolitamente breve e limitata riguardo all’Ucraina, che pure è una priorità per i paesi europei. Per la prima volta dall’invasione russa la partecipazione di Volodymyr Zelenskyj al vertice è stata relegata in secondo piano, ridotta alla cena di gala e a incontri bilaterali. Le aspettative dell’Ucraina sono state ridimensionate nella dichiarazione finale, senza promesse concrete sul suo futuro nella Nato. Anche il linguaggio nei confronti della Russia è meno duro rispetto a testi precedenti in cui era indicata come la ‘minaccia più grande e diretta alla sicurezza degli alleati’. Questa volta s’invoca l’unità dei partner ‘di fronte a profonde minacce e sfide alla sicurezza, in particolare quella rappresentata dalla Russia per la sicurezza euroatlantica e la persistente minaccia del terrorismo’. Non si fa menzione della Cina né dell’Iran. Ciò che è chiaramente affermato nella dichiarazione è l’impegno dei 32 stati alleati a rispettare la clausola di difesa reciproca e collettiva, nonostante i dubbi sollevati da Trump”. ◆ sm
È una questione di grande importanza. Dalla creazione dell’Alleanza atlantica, nel 1949, nessun paese europeo aveva osato forzare il braccio degli Stati Uniti: Washington ha sempre deciso e gli altri si sono adeguati. Se questa volta gli europei sono riusciti a introdurre qualche sfumatura nella decisione finale, è già un successo. Se la Spagna resterà ferma sulle sue posizioni e avrà il sostegno di altri alleati, non solo sarà razionalizzata una decisione presa da una sola persona – Donald Trump – senza riguardo per gli interessi degli altri paesi coinvolti, ma si farà capire al presidente statunitense che non può fare e disfare a suo piacimento, che la sua volontà non è legge al di fuori del suo paese e che l’Europa non è alla sua mercé.
È una rappresaglia? Piuttosto una forma di pressione. Ricordiamo che sanzioni o restrizioni commerciali, come i dazi, devono essere imposte all’intera Unione, non a un singolo paese dei 27, perché almeno su questo punto siamo uniti e quindi la risposta deve essere unitaria. In Spagna non dobbiamo dimenticare che gli Stati Uniti hanno un surplus commerciale con Madrid e, soprattutto, che mantengono l’accesso a delle basi militari ora più che mai essenziali per il transito delle loro navi e dei loro aerei verso il Medio Oriente. In ogni caso, è chiaro che se più paesi dell’Unione aderissero all’iniziativa spagnola sarebbe più difficile per Trump prendere provvedimenti contro di loro.
Le cose potrebbero cambiare e la Nato potrebbe perfino cominciare a perdere la sua aura di unica opzione per la difesa dell’Europa. L’Alleanza atlantica non è mai stata un’organizzazione per la pace o la difesa ma uno strumento di dominio, e ora cercherà di coinvolgere i paesi europei nella lotta degli Stati Uniti contro la Cina, in cui non hanno alcun interesse. Ha svolto il suo ruolo durante guerra fredda e se è ancora lì, nonostante il mondo di oggi abbia ben poco a che fare con quello del 1991 e ancor meno con quello del 1949, è perché l’Europa non ha voluto o non ha potuto costruire la sua alternativa. È ora che l’Unione europea si rimetta in moto, e questa folle corsa agli armamenti della Nato verso il nulla lo dimostra ancora una volta.
Finché questa alternativa non sarà realtà, lasciare la Nato sarebbe un salto nel buio. Ma questo non significa che dobbiamo sottometterci alle decisioni prese da una potenza egemonica. La paura non è un’opzione. ◆ as
José Enrique de Ayala è un generale spagnolo in pensione. Si occupa di strategia e difesa per il centro studi FundaciónAlternativas.
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Questo articolo è uscito sul numero 1620 di Internazionale, a pagina 28. Compra questo numero | Abbonati