Giornalista, traduttrice, ex deputata del Partito comunista (Pci) e fondatrice della rivista il Manifesto (poi diventata un quotidiano), Rossana Rossanda è morta nella notte tra sabato 19 e domenica 20 settembre, nella sua casa di Roma, a 96 anni. Debilitata da un ictus, la donna che nella sua autobiografia si era definita una “ragazza del secolo scorso” aveva ormai ridotto fortemente la propria attività.

La sua ultima apparizione pubblica risale alla primavera del 2019, alla Casa internazionale delle donne di Roma, per sostenere le candidate di sinistra alle elezioni europee.

Rossana Rossanda, a Roma nel 1987 (Bettina Flitner, laif/Contrasto)

Rossana Rossanda era nata nel 1924 a Pola (oggi in Croazia) nel cuore di quell’Istria diventata da poco italiana e che dopo la seconda guerra mondiale sarebbe tornata alla Jugoslavia. Proveniente da una famiglia della borghesia irredentista locale, Rossanda era partita per Milano agli inizi degli anni trenta, quando la sua famiglia era stata mandata in rovina dalla grande depressione.

Nel capoluogo lombardo aveva terminato gli studi nei migliori istituti cittadini, come il liceo Manzoni.

L’impegno nella resistenza

Nel 1940 si era iscritta alla facoltà di lettere, dove aveva incontrato il filosofo Antonio Banfi, che le aveva fatto scoprire il marxismo in una versione personale priva di ogni forma di determinismo. Per Rossanda, Banfi fu una sorta di mentore, nonché il padre di suo marito Rodolfo.

Cresciuta in un ambiente borghese e protetto, Rossanda decise di impegnarsi attivamente nella resistenza. Nel mondo dei partigiani diventò “Miranda”. Quell’esperienza la segnò profondamente, tanto che molto tempo dopo ha rimpianto il fatto di aver conosciuto la guerra tra i 17 e i 21 anni e di non aver “ballato neppure una sola estate”. Nel 1947 entrò ufficialmente nel Pci di Palmiro Togliatti, che le aveva affidato il compito di gestire la Casa della cultura di Milano. Quest’incarico le permise di stringere legami importanti con diversi grandi intellettuali europei dell’epoca. Fu lei a organizzare l’incontro tra il leader del Pci e Jean-Paul Sartre, nel 1961 a Roma. Nel 1963 fu eletta deputata nelle liste del Pci.

Ma all’attività parlamentare Rossanda ha sempre preferito il ruolo di agitatrice e la battaglia delle idee. Il 23 giugno del 1969 uscì il primo numero del Manifesto, una rivista mensile fondata da Rossanda insieme a Lucio Magri, Luigi Pintor e Valentino Parlato con l’obiettivo di animare l’ala sinistra del partito dopo l’affermazione della linea più moderata al congresso del 1968.

Nel secondo numero, la rivista pubblicò un editoriale intitolato “Praga è sola”, che denunciava le esitazioni del Pci e la freddezza della sua condanna dell’invasione della Cecoslovacchia da parte dei carri armati sovietici nell’anno precedente. L’articolo ebbe una enorme risonanza.

Un’impronta chiara

In quel modo si consumò la rottura: nel novembre del 1969 la redazione del Manifesto fu radiata dal partito. E così ebbe inizio anche una nuova avventura editoriale. Nel 1971 nacque il quotidiano il Manifesto. Comunista senza essere filosovietico, simpatizzante del maoismo pur respingendo il totalitarismo, il quotidiano ha avuto un percorso originale, sostenendo le lotte sociali e femministe mentre il paese viveva al ritmo delle convulsioni degli anni di piombo.

Senza mai occuparsi della direzione operativa del quotidiano, Rossanda lo ha animato intellettualmente, lasciando un’impronta chiara. Con il passare degli anni si era progressivamente allontanata dal Manifesto, senza però lasciarlo ufficialmente. Se ne andrà solo nel 2012, a 88 anni, a causa di dissidi interni alla redazione.

Qualche mese prima aveva sorpreso molti amici aiutando il suo compagno di lotte Lucio Magri a raggiungere la Svizzera per ottenere il suicidio assistito. A chi le rimproverava quella decisione, rispondeva che era rimasta accanto a Magri e gli aveva tenuto la mano fino alla fine. ◆ as

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Questo articolo è uscito sul numero 1377 di Internazionale, a pagina 35. Compra questo numero | Abbonati