Al momento di attaccare Palma, nel nord del Mozambico, i combattenti del gruppo Al Shabab non erano molto numerosi. Secondo fonti locali e straniere, il 24 marzo erano appena un centinaio, ma sono riusciti lo stesso a prendere il controllo della cittadina costiera. Cinque giorni dopo l’organizzazione Stato islamico (Is) ha rivendicato sul settimanale Al Naba l’operazione condotta a Palma da Ahlu sunna wal jamaa, un’organizzazione nota anche come Ansar al sunna, o più semplicemente Al Shabab, “i giovani”.
Gli shabab a quel punto si sono potuti ritirare da Palma: avevano dimostrato di poter cogliere di sorpresa il governo mozambicano e minacciare un enorme progetto per l’estrazione di gas naturale nella penisola di Afungi gestito dal gruppo francese Total. Pochi giorni dopo l’attacco, l’azienda ha annunciato il ritiro di tutto il suo personale dal paese. Una fonte ben informata assicura che l’operazione è stata “uno shock” per il governo, e aggiunge: “Speriamo che sia salutare”. Le forze di sicurezza mozambicane si erano impegnate a proteggere una zona cuscinetto larga 25 chilometri dal perimetro degli impianti. Ma era un obiettivo irrealizzabile, perché non teneva conto delle popolazioni che vivono in questa parte della provincia del Cabo Delgado.
Gli shabab sono riusciti a esigere una forma di pedaggio dai trafficanti di droga?
Due letture
Il tempismo dell’attacco sembra dar ragione al dipartimento di stato di Washington, che a marzo ha deciso d’includere il gruppo, rinominato Isis-Mozambico, nella lista delle organizzazione terroristiche straniere. Alla luce degli ultimi eventi sono due le letture possibili: o gli Stati Uniti hanno dato un’importanza esagerata a un movimento rurale locale, e hanno fatto il gioco alla propaganda degli strateghi dell’Is; o, al contrario, è la prova dell’importanza della milizia mozambicana, finora sottovalutata.
La realtà è più complessa. Se da un lato è evidente che il gruppo dirigente dell’Is non ha legami concreti e regolari con gli affiliati nel Cabo Delgado, c’è da dire che i combattenti mozambicani devono per forza essere entrati in contatto con l’Is per fare la loro dichiarazione di lealtà nel 2019. Per questo sono servite conoscenze e garanzie fuori dalla portata di semplici contadini. La prima azione di Al Shabab risale all’ottobre del 2017, contro i commissariati della città portuale di Mocimboa da Praia. Alcuni combattenti si sono infiltrati, o semplicemente insediati, in un posto che conoscevano bene e dove avevano appoggi e amici. Poi hanno sviluppato dei metodi che usano ancora oggi: dove arrivano, bloccano le strade, svuotano i villaggi e compiono violenze raccapriccianti. Nel più totale silenzio: non fanno dichiarazioni né hanno comandanti conosciuti.
Quando si è formato il movimento? In un articolo sulla rivista Journal of Eastern African Studies, lo storico della Queen’s university di Belfast Eric Morier-Genoud parla di alcuni giovani che hanno studiato teologia all’estero, in Arabia Saudita o in Sudan, e che sarebbero tornati in Mozambico negli anni duemila per dare vita a un gruppo di protesta che condivideva un determinato sistema di valori.
In maggioranza di etnia mwani e macua, questi giovani si oppongono ai leader della comunità musulmana locale, adottando un’interpretazione letterale del Corano e negando la validità degli hadith (l’insieme di parabole sulla vita di Maometto e dei suoi compagni), tanto che pregano solo tre volte al giorno ed entrano in moschea con le scarpe. Si appoggiano alla contestazione sociale e politica di una parte della loro comunità emarginata, che perfino in questa provincia molto povera assiste all’accaparramento delle risorse da parte dei baroni del partito al potere, il Frelimo, molti dei quali originari della comunità makonde.
Quest’area è ricca di risorse. Nel distretto di Montepuez i minatori che estraevano rubini sono stati cacciati via per far posto a un’azienda vicina al governo. Alcuni sarebbero andati a ingrossare le fila di Al Shabab, i cui capi hanno stretto legami anche in Tanzania. Qui esistono delle reti di proselitismo jihadista e di reclutamento attraverso le quali s’inviano uomini a combattere in Somalia per Al Shabaab (il gruppo somalo ha lo stesso nome, ma è legato ad Al Qaeda).
João Feijó, ricercatore dell’Osservatorio del mondo rurale (Omr), ha pubblicato un rapporto con le testimonianze di alcune donne ridotte in schiavitù dagli shabab mozambicani. Descrive un movimento ben strutturato. Le donne rapite svolgono lavori domestici o sono date in spose ai combattenti, ma prima sono mandate in villaggi abbandonati dove vengono indottrinate. I miliziani sono originari del Cabo Delgado, ma anche stranieri: tanzaniani, keniani e somali. Alcuni vengono dall’Uganda, un paese che ha inviato agenti dell’intelligence per affiancare le forze di sicurezza mozambicane in questa lotta.
In Mozambico è importante capire che ruolo svolga esattamente il gruppo Stato islamico (Is), scrive il ricercatore Joseph Hanlon sul sito della Bbc. L’idea degli Stati Uniti è che l’Is abbia preso il controllo dell’insurrezione nel Cabo Delgado e l’abbia dirottata. La maggior parte degli studiosi mozambicani pensa, invece, che la rivolta di Al Shabab sia ancora condotta a livello locale, con obiettivi locali. Dopo l’attacco di fine marzo a Palma molti (anche a Washington) spingono per una risposta militare. Tuttavia, spiega Hanlon, nessun paese può offrire assistenza militare a Maputo per combattere dei contadini. Invece lottare contro un nemico globale come l’Is può giustificare un intervento. In questo caso “l’Is e gli Stati Uniti sembrano avere un interesse comune a promuovere l’importanza della componente jihadista di Al Shabab”. Il governo di Maputo, guidato dal Fronte di liberazione del Mozambico (Frelimo), cerca di evitare che gli osservatori stranieri e i mezzi d’informazione locali indaghino sulle vere ragioni del conflitto, perché scoprirebbero che l’élite politica si è arricchita mentre la gente comune del Cabo Delgado s’impoveriva.
In Mozambico “il governo, il Frelimo e i grandi industriali sono le stesse persone”, scrive New Frame. E tutti si sono fatti incantare dal miraggio del gas. La scoperta, nel 2010, delle seconde riserve di gas naturale dell’Africa ha spinto l’élite politica ed economica a immaginare che il paese sarebbe diventato una specie di Abu Dhabi o di Qatar. “Povertà e disuguaglianze stavano crescendo, ma i politici erano convinti che non si dovessero spendere soldi per lo sviluppo rurale perché l’industria del gas naturale liquefatto avrebbe arricchito tutti”, e avrebbe perfino alimentato il turismo. Ma con il passare degli anni, gli accordi segreti e i primi attacchi degli shabab, i progetti stranieri si sono ridimensionati. L’unico investimento non offshore rimasto è quello della Total, oggi temporaneamente sospeso. ◆
La ricerca di Feijó parla di un gruppo composito, che si è ampliato nel corso degli anni. Alcuni aderiscono per vendicarsi degli abusi delle forze di sicurezza; altri sono stati attirati da un programma “rivoluzionario” che promette di rovesciare uno stato fallito, incompetente e corrotto. Secondo il ricercatore, Al Shabab usa combattenti molto giovani ed è organizzata in gruppi relativamente autonomi, di una decina di componenti, per un totale di più di tremila combattenti. Che non vivono solo di saccheggi. Il Cabo Delgado è una tappa del traffico mondiale di eroina. Palma era uno snodo importante di questa rete, come Mocimboa da Praia.
Gli shabab sono riusciti a esigere una forma di pedaggio dai trafficanti di droga? È possibile, visto il pragmatismo di cui danno prova. “Secondo alcune testimonianze tra loro ci sono persone che bevono alcol”, riporta Feijó. “Vanno nei bar per avvicinare i militari e comprare da loro informazioni. Sborsano fino a trentamila metical (400 euro), la paga di un anno per un militare”. ◆ gim
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Questo articolo è uscito sul numero 1406 di Internazionale, a pagina 30. Compra questo numero | Abbonati