Il centrosinistra italiano non è riuscito né a scuotere né, tanto meno, a far cadere il governo guidato da Giorgia Meloni. Sperava in una grande affluenza ai seggi per dare un segnale forte e dimostrare che il governo non ha più il sostegno degli elettori. L’arma del Partito democratico (Pd) di Elly Schlein e del Movimento 5 stelle di Giuseppe Conte è stato un referendum che ha avuto una partecipazione molto al di sotto del quorum, cioè il minimo richiesto per la sua validità: il 50 per cento più uno degli elettori. Ha votato invece solo il 29,8 per cento (tra i votanti in Italia e all’estero) di chi poteva farlo.

Il referendum era composto da cinque quesiti su temi di sinistra. Quattro erano sostenuti dalla Cgil, il principale sindacato italiano, ma non dalle altre grandi confederazioni sindacali, e riguardavano il lavoro: licenziamenti, indennità di fine rapporto e sicurezza sul posto di lavoro. Mentre il quinto quesito chiedeva di ridurre da dieci a cinque anni il tempo necessario a un cittadino di un paese extraeuropeo per poter presentare la domanda di cittadinanza italiana. La maggioranza degli italiani, però, invece di votare ha preferito andare al mare, come aveva suggerito il governo, che ora considera il risultato una vittoria.

Prove di unità

“L’opposizione ha cercato di trasformare i cinque quesiti in un referendum sul governo. Il risultato appare chiarissimo: il governo ne esce più forte e la sinistra più debole”, ha sintetizzato Giovanbattista Fazzolari, sottosegretario alla presidenza del consiglio.

Maurizio Landini, segretario generale della Cgil, promotrice dei referendum sul lavoro, ha ammesso la sconfitta. Un anno fa aveva detto che 25 milioni di italiani sarebbero andati a votare “per cambiare questo paese e mettere il lavoro al centro”. L’Italia non ha un problema di disoccupazione come la Spagna, le battaglie sindacali sono concentrate sul salario minimo, che non c’è, e sul superamento della precarietà.

Per i partiti d’opposizione questo è un messaggio chiaro: all’orizzonte non c’è un cambio di governo e bisognerà attendere le elezioni legislative del 2027. I sondaggi continuano a indicare l’estrema destra guidata da Meloni salda al suo posto nella maggioranza. L’opposizione guarda al prossimo test, le elezioni regionali di ottobre e novembre in Campania, Puglia, Toscana, Marche e Veneto dove spera di ottenere una vittoria di quattro a uno. Inoltre ha cercato di vedere le cose diversamente, sottolineando che i 15 milioni di elettori che hanno partecipato al referendum sono più dei 12,4 milioni che hanno votato nel 2022 per la coalizione di estrema destra. Sembra solo un modo per consolarsi dopo questo bagno di realtà.

Il Partito democratico e il Movimento 5 stelle si sono resi conto di aver perso le elezioni del 2022 perché si sono presentati divisi e ora cercano di costruire un fronte unito. Si sono spostati più a sinistra, alleandosi con Alleanza verdi e sinistra (Avs), a scapito dei due partiti centristi, Italia viva e Azione, guidati rispettivamente da Matteo Renzi e Carlo Calenda. Ultimamente questa alleanza tra Partito democratico, Movimento 5 stelle e Avs ha avuto due appuntamenti importanti per dimostrare forza e unità. Il primo è stato il 7 giugno, con una grande manifestazione a Roma a sostegno di Gaza e contro Israele, a cui hanno partecipato 300mila persone secondo gli organizzatori e 50mila secondo la questura. La risposta popolare è stata considerata un successo, ma la vera sfida al governo è stata quella referendaria.

I numeri
I risultati dei cinque referendum su lavoro e cittadinanza, dell’8 e 9 giugno 2025, percentuale (ministero dell’interno)

Tuttavia i referendum sono insidiosi. In Italia dal 1974 ce ne sono stati 19, con 77 quesiti abrogativi: per convocarli bisogna raccogliere mezzo milione di firme o serve la proposta congiunta di cinque governi regionali. Con l’aumento dei tassi di astensione ora è difficile superare il quorum del 50 per cento più uno: è successo solo una volta in trent’anni. Bisogna tornare al 2011 per trovare un referendum abrogativo che ha raggiunto il quorum, quello con i quesiti sulla privatizzazione dell’acqua, sul ritorno delle centrali nucleari e sul legittimo impedimento, una legge che favorì l’allora presidente del consiglio Silvio Berlusconi nei suoi processi. All’epoca quel risultato anticipò il cambiamento politico che cinque mesi dopo portò alla caduta del governo Berlusconi. Questa volta non sembra che andrà così.

Un altro problema era che le quattro domande sui temi del lavoro erano più tecniche. Ma il fatto che anche il quesito sulla cittadinanza non abbia avuto successo è stato motivo di orgoglio per la Lega: “La cittadinanza non è un dono”, ha commentato il leader leghista Matteo Salvini.

Due delle domande sui temi del lavoro miravano a modificare le leggi del governo Renzi, all’epoca segretario dal Partito democratico e a capo di un governo centrista e riformista. Ora il Partito democratico è più a sinistra e Renzi non fa più parte del partito perché ne ha fondato un altro. I rappresentanti della minoranza del Pd hanno criticato la parte del partito che ha sostenuto i referendum sul lavoro. “Una sconfitta profonda, grave, evitabile. Purtroppo, un enorme regalo a Giorgia Meloni e alla destra”, ha dichiarato Pina Picierno, eurodeputata del Pd.

Il risultato potrebbe avere delle conseguenze. Il governo sta già sostenendo che è assurdo spendere tanti soldi per consultazioni che alla fine non portano a nulla, e che indire un referendum dovrebbe diventare più difficile, per esempio aumentando da mezzo milione a un milione il numero delle firme richieste. Afferma che ora raccogliere il consenso è più facile perché le firme si possono ottenere anche per via digitale. Alcuni politici e commentatori propongono invece di abbassare il quorum, per esempio al 40 per cento, visto che il tetto attuale fu fissato nel dopoguerra, quando l’affluenza alle urne era sempre molto alta. ◆ as

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Questo articolo è uscito sul numero 1618 di Internazionale, a pagina 38. Compra questo numero | Abbonati