Rahma Nur è un nome noto per chi si occupa di pedagogia in Italia. È una delle poche insegnanti afrodiscendenti nella scuola italiana e una delle poche che interviene pubblicamente sui dilemmi dell’istruzione. Di fatto è una figura poliedrica, che coniuga la passione per l’insegnamento e la poesia con un afflato da attivista. Se il suo essere maestra è la pelle che indossa quotidianamente con alunni e colleghi, la poesia è la sua altra pelle. Una poesia che non è però occasionale, ma viene dal respiro che l’alimenta, e dalle profondità del suo essere somala, paese di poeti, e allo stesso tempo italiana. In questo senso la raccolta I, too, sing Italia, la seconda di Nur, è straordinaria. Regala a chi la legge l’emozione di una “conversazione” ancestrale che Rahma ha diviso in cinque percorsi: Cartografie, Genealogie, Testimonianze, Intersezioni e Resistenze. Possono essere attraversate come percorsi singoli, o mescolate. E in ogni canto la poeta svela una parte di questa variegata diaspora familiare, nata dalla perdita di un paese a causa di una guerra civile, e di una ricostruzione. Immagini di donne in fuga si mescolano a quella di una bambina che studia le tabelline. Roma e Mogadiscio diventano lati di uno stesso prisma, dove la poeta prega, ama, canta. Una geografia fatta di sogni.
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Questo articolo è uscito sul numero 1620 di Internazionale, a pagina 86. Compra questo numero | Abbonati